XXXIV Domenica ordinario anno A – alla fine quanto avremo amato farà la differenza … – omelia con genitori e ragazzi del catechismo.
Vangelo Mt. 25, 31-46
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Celebriamo la festa di Gesù Re dell’ universo, ma che cosa significa celebrare questa festa e dire che Gesù è Re, come è Re Gesù?
È importante capirlo. Gesù è un Re che non sta lontano, ma che si fa vicino, svestendosi della sua grandezza di Dio.
Non so se tutti conoscano e abbiano letto questo il libro di Mark Twain il principe e il povero. Molti l’ hanno letto in chiave sociologica, ma a me è venuto subito in mente di fare una lettura diversa, in chiave religiosa soprattutto in questa festa, quando mi chiedevo, come faccio a spiegare ai mie bimbi, ai ragazzi che tipo di Re è Gesù.
A questo proposito cerco di riassumere questa storia.
La vicenda del principe Edoardo VI e del povero Tom Canty e’ ambientata a Londra al tempo in cui regnava Enrico VIII Tudor che è ammalato, sta morendo e il Regno sta attraversando un momento di buio e di tristezza, la popolazione è oppressa da coloro che si approfittano di questa condizione. Mercenari, luci rapaci che si vogliono sostituire al Re.
Qualcosa di simile è avvenuto tanto tempo fa, all’ inizio quando qualcuno ha suggerito all’ uomo di voler essere come Dio.
Edoardo è somigliantissimo a un altro bambino, che si chiama Tom, un ragazzo povero. la famiglia di Tom e’ composta dalla madre molto apprensiva, dalla nonna e dal padre che non faceva che picchiare i figli, ubriacandosi e bestemmiando di continuo; Tom, come Edoardo ha infatti due sorelle. Tom sarebbe diventato re ed Edoardo avrebbe fatto la parte del povero e cosi’ accade.
Edoardo si ritroverà, così in mezzo
alla strada e verrà maltrattato da diverse persone, fra cui il padre del
finto re ed alcuni mendicanti. Egli incontra, pero’, alcune persone
buone, in particolare Miles Hendon che lo aiuteranno a ritornare sul trono. Con grande sollievo dei due ragazzi. Il futuro re così sperimenta tutta la povertà di tanti suoi sudditi e sarà saggio, generoso, mite.
Alla fine Tom diviene un grande amico di re Edoardo.
Questa è una storia, ma Gesù che è il grande Re ha fatto qualcosa di simile. Si è messo addosso quello che noi siamo, tranne il peccato, ha sperimentato la nostra esistenza la nostra vita, con tutte le cattiverie che si possono incontrare e trovare, anche la morte, perché non solo noi fossimo suoi amici, ma per innalzarci, portarci assieme a Lui nel suo Regno, che non è un Regno di confusione, di cattiveria, di ingiustizia, di odio, di violenza, ma che come sentiremo, se stiamo attenti: “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”.
Ha cercato il nostro bene non avendo paura di mettersi addosso l’ abito della nostra povertà, cioè di quello che noi siamo.
Lo spiega bene S. Paolo che scrive ai cristiani di una città che si chiama Filippi:
Cristo Gesù.
6Egli era come Dio
ma non conservò gelosamente
il suo essere uguale a Dio.
7Rinunziò a tutto:
diventò come un servo,
fu uomo tra gli uomini
e fu considerato come uno di loro.
8Abbassò se stesso,
fu obbediente fino alla morte,
alla morte di croce.
9Perciò Dio lo ha innalzato
sopra tutte le cose
e gli ha dato il nome più grande.
10Perché in onore di Gesù,
in cielo, in terra e sotto terra,
ognuno pieghi le ginocchia,
11e per la gloria di Dio Padre
ogni lingua proclami:
Gesù Cristo è il Signore. (Filippesi 2)
Allora celebrare questa festa significa riconoscere in quel Gesù che è morto in croce per noi, che si e fatto davvero povero il vero Re che dona la sua vita per gli altri, perché gli altri noi possiamo avere una vita senza fine, quella che sarà per sempre, eterna.
Se Gesù che è Re ha fatto questo anche noi dobbiamo seguire la sua strada, spogliandoci un po’ di noi stessi e del nostro egoismo.
Tutti noi nella nostra vita abbiamo dovuto superare qualche esame. Il Vangelo di oggi ci dice cha quando compariremo davanti al Signore anche noi dovremo superare un esame, un giudizio che verrà fatto su dei gesti molti concreti e che ci scavano dentro perché non sono così scontati.
“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”
L’esame che dovremo superare sarà quello sulla Carità, quel comandamento dell’amore che sempre torna fuori nel Vangelo, proclamato da Gesù.
Vi è, però, una domanda che viene posta a Gesù: “quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Oggi, purtroppo nel cuore di molti vi è un grande macigno, che è quello dell’indifferenza. Indifferenza a Dio che diventa indifferenza all’ uomo e a quell’ uomo che più di ogni altro versa, ma per davvero, in situazioni autentiche di bisogno, di povertà, che sono tante! Certamente quelle materiali, ma il mondo della povertà è ampio. Il mondo dei malati, degli anziani, degli “strani”, di quelli che non ce la fanno da soli a vivere, dei non amati.
Vedete come alla fine, tutto si misura sulla nostra capacità di amare.
“La Chiesa cattolica conta, tra i suoi figli, migliaia e migliaia di persone che hanno consacrato tutta la vita per soccorrere i poveri e curare i lebbrosi. Da quale fonte esce questo incredibile eroismo, che si ripete di secolo in secolo”(Gandhi)
La fonte non è altro che il comandamento dell’amore vissuto veramente con verità. Quante canzoni parlano d’ amore, quante fiction, quante opere letterarie, ma se non lo concretizziamo è meglio rimanere in silenzio, riflettere e cominciare ad agire.
Come si fa?
Come diceva il Santo curato d’Ars il segreto è semplice: “dare tutto e non trattenere niente”. Cerchiamo di camminare su questa strada perché possiamo sentire, per la misericordia del Signore, quelle parole: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”.
Sarà così gioia vera, gioia eterna!
Deo gratias, qydiacdon