Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
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Cecità e … speranza, questo è il titolo che metterei al testo del Vangelo di questa Domenica.
Gesù compie questa guarigione nei confronti di questo cieco, Bartimeo. Essere ciechi è una condizione di sofferenza terribile. Desiderare di vedere la luce e non poterla vedere, magari quando sentiamo il calore del sole su di noi. Riesco a percepire suoni, ma non riesco a vedere i colori dei fiori, del cielo. Toccando posso percepire i tratti di una persona, ma non posso vedere il colore dei suoi occhi. Se a tutto questo, poi, si aggiunge anche una condizione di indigenza fisica come ritrovarsi? Questa è la condizione di Bartimeo che grida a Gesù, quella di una cecità fisica dalla quale vuole essere liberato. Non è questa l’unico tipo di cecità presente oggi, ve ne sono anche altre che ottenebrano gli occhi di tante persone e anche di tanti cristiani che credono di vedere.
Vi è una cecità che potrei, forse, definire sociale. Quella di tanti. Quella che non raccoglie il grido degli ultimi, come Bartimeo, che mendicava Quelli che non ce la fanno a causa dell’indigenza economica. Tante persone e famiglie che non riescono a far fronte a bisogni che sono elementari. Andando in giro nelle Caritas parrocchiali potreste avere i numeri di quante famiglie sono sostenute. Non solo, una cecità, che non rispetta diritti fondamentali quali la libertà e l’autodeterminazione, la giustizia, la vita e la stessa famiglia, e non sa chinarsi verso chi è nel bisogno, e dire prendi la mia mano alzati.
Una cecità che abbagliata dai tanti innumerevoli progressi della tecnica pensa possano essere questi a dare il senso ultimo della vita.
Scrive un commentatore: “Presbiti ci lasciamo incantare dalle enunciazioni grandi e astratte (fatte a seconda dei momenti e delle situazioni ndr) e ci sfugge la realtà che ci sta vicino, sulla quale possiamo efficacemente operare. Siamo pronti a commuoverci e ad indignarci per le grandi ingiustizie della società, a proposito della quali ci è consentito di fare poco, e siamo incapaci di vedere la pena del nostro vicino di casa o addirittura di qualcuno della nostra famiglia, per la quale potremmo fare molto”
Che dire, poi, come accade non raramente della nostra cecità famigliare, quando anche in famiglia vorremmo che tutto ci fosse dato, non disponibili a riconoscere nell’altro il suo valore, nell’accettare punti di vista diversi, il positivo e il buono che vi è.
Vi sono poi i falsi vedenti. Quelli che credono di vedere bene, questo anche fra tanti cristiani. Pensano di vedere bene, ma poi come tanti indulgono alla seduzione e al fascino dell’ apparenza, di ciò che è esteriore, e dimenticano di essere anche loro in cammino sulle strade del mondo assieme a tante altre persone di buona volontà che cercando la luce illuminano.
A tutte queste associo anche una cecità spirituale. Quella che troppo presa dalle tante cose non si ferma a riflettere sui valori dello spirito in senso ampio, sulla verità dei sentimenti, su cosa significhi veramente amare e che cosa implichi un amore vero, autentico, che non abbandona, ma si fa accanto compagno di viaggio in una storia più grande in cui tutti siamo coinvolti, questo vale per ogni persona credente o non credente.
Cecità spirituale che per il cristiano diventa un rapporto formale con Dio e non alimentato dal cuore, quella che avevano coloro che rimproveravano Bartimeo che gridava la sua disperazione, ma la sua voce è più forte e riesce a vincere…
Per noi che siamo qui significa vincerla mettendoci in gioco perché non è solo compito dei preti e affini, portare luce e speranza, ma nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei condomini, anche nei bar e nelle discoteche, la dove la gente vive, lotta, spera e ama deve esserci un cristiano che possa illuminare con la sua presenza.
Preghiamo perché ciascuno di noi possa esserlo!
Deo gratias, qydiacdon