Ci siamo mai chiesti se noi dovessimo spiegare a qualcuno che cos’è la speranza cosa diremmo? Perché oggi voglio parlarvi della speranza? Perché sia nella prima lettura che nel Vangelo se andiamo a vedere troviamo questa cosa, strana, ma mica tanto che si chiama speranza, che è poi quella che permettere a ciascuno di noi, quando è trascorso un giorno un po’ difficile( ET ) di pensare e vedere il domani con occhi nuovi.
Per Geremia e per il popolo di Israele è il ritorno dall’esilio, e Geremia è felice di poterlo annunciare al popolo, per Bartimeo è la speranza di poter riacquistare la vista.
Tanti hanno cercato di dare definizioni della speranza. Io ve ne dico due, anzi tre.
Quando il mondo dice, “Rinuncia”, la speranza sussurra, “Prova ancora una volta.”
(Anonimo)
Non c’è medicina come la speranza, nessun incentivo così grande, e nessun tonico così potente come l’attesa di qualcosa che accada domani.
(Orison Swett Marden)
Un poeta francese, Peguy la descrive così: La Fede è una Sposa fedele. La Carità è una Madre.La Speranza è una bambina da nulla. (…) La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi e non si nota neanche…e dice che la gente crede che siano le due sorelle più grandi a trascinare quella più piccola, in realtà la più piccola, che sta nel mezzo, tira le altre due.
Insomma sembra proprio che sia la speranza che mandi avanti la vita delle persone e anche la storia del mondo.
Vi voglio raccontare una piccola storia … che si racconta in Africa:
La favola del colibrì Antica leggenda africana
Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.
Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.
Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.
Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese: «Cosa stai facendo?». L’uccellino gli rispose: «Cerco di spegnere l’incendio!».
Il leone si mise a ridere: «Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?» e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco.
Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume.
Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.
A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato.
Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: «Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che insieme si può spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo». ( Q2.net)
Di fronte all’ incendio che sembra non lasciare scampo, mentre gli animali adulti stanno a discutere un piccolo minuscolo colibrì comincia a gettare gocce d’ acqua sul fuoco sperando di poterlo rallentare, magari spegnerlo … sperando di salvare gli altri animali … e il suo esempio è contagioso. Gli altri cuccioli di animali invece di prenderlo in giro, come fanno i grandi, perché il colibrì sapete quanto misura. Bè ce ne sono di varie dimensioni, ma viene chiamato l’uccello mosca, questo per dirvi quanto sia grande, alcuni misurano solo 6 cm circa.
La speranza è contagiosa, perché noi tutti abbiamo bisogno di sperare, di sperare che domani sia diverso da oggi, che il mondo possa cambiare ed essere migliore, che io possa essere migliore… bisogna sperare e credere!
Bartimeo crede davvero che Gesù possa intervenire a suo favore, lo possa guarire, questa è la fede! Alla fine cosa gli dice Gesù: «Va’, la tua fede ti ha salvato»
Ma in cosa speriamo noi?
Che l’uomo risolverà i suoi problemi andando a fondare colonie su Marte?
No, la nostra speranza è una sola: il Signore Gesù, morto e risorto e che incontreremo; che ci sarà una seconda venuta del Signore in cui tutte le cose che noi crediamo le vedremo e le godremo in tutta la loro bellezza; che saremo felici per sempre; che la morte non ci separerà più dai nostri cari! Tutto questo sulla Parola del Signore, sulla sua Risurrezione.
Il cieco Bartimeo è stato guarito e ci vede, ma sapete perché ci vede bene?
“E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.” Non basta avere il dono della vista, ma bisogna vedere con gli occhi della fede e della carità, così saremo anche noi non più ciechi, anche se abbiamo il dono della vista.
Deo gratias, qydiacdon