Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
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La domanda che il Signore Gesù pone ai suoi, la pone anche a noi. La pone sempre. Non solo nel ciclo delle letture degli anni liturgici, ma ci viene posta ogni volta che noi dobbiamo fare qualcosa, dire qualcosa, accostarci a qualcuno nella nostra vita. Non solo: «La gente, chi dice che io sia?», ma e soprattutto: “Chi sono io per te”.
“Mi viene in mente un fatto o una storia di quel prete che all’inizio del catechismo chiedeva ai suoi bambini chi era Gesù del quale avevano sentito parlare. Facile immaginare le risposte dei bimbi: “un uomo speciale… il Figlio di Dio, la sweconda persona della SS. Trinità, [risposta da teologi in erba], la persona più importante del mondo … fino a che…
Fino a che un bimbo uno dei bimbi scoppiò a piangere … era un bambino problematico … alla domanda perché piangi? Rispose: “Oggi ho picchiato mio fratello prima di venire in Chiesa, poi entrando ho visto la grande Croce vicino alla porta. E lì c’era Gesù e ho visto che stava soffrendo e mi viene da piangere”. Non sapeva dire chi era Gesù, ma pensando a lui no smetteva di piangere. Il piccolo Giovanni non sapeva dare una vera risposta, ma aveva capito una cosa importante: non si può capire chi è Gesù se non ci si lascia coinvolgere da Lui!” (Gervasi in La Chiesa . it omelie bambini).
Ecco perché questa domanda ci viene rivolta sempre e richiede il nostro coinvolgimento, altrimenti si corre il rischio di fare come Pietro, che avendo risposto bene poi non sa accettare quelle che sono le conseguenze della sua risposta. Infatti abbiamo mai valutato, meditato con profondità quella che è la risposta di Pietro: «Tu sei il Cristo»?
Che dovrebbe essere anche la nostra risposta! Significa riconoscere in Gesù certamente l’inviato, l’atteso, ma anche riconoscerlo come Colui che viene a spiegarci come stanno le cose che riguardano Dio e la vita dell’uomo e non per costringerci e opprimerci, ma per orientare la nostra vita verso il vero, il bello, il buono, verso la verità e la libertà. In Gesù tutto ritrova senso anche quando dobbiamo affrontare il dolore e la morte, perché egli ci dice che la morte sarà vinta dalla luce e dalla vita della risurrezione.
“il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.”
Nel Signore Gesù noi vediamo il volto di Dio, nella sua pietà, nella sua accoglienza noi vediamo l’amore e la tenerezza di Dio, nel perdono sperimentiamo il perdono e la misericordia di Dio.
Se rispondo come Pietro, che cioè Gesù è il Signore della mia vita dovrò, però, ascoltare la sua Parola, accogliere le sue esortazioni, accettare le sue esigenze e i comandamenti ripercorrendo nella mia vita il sentiero che Lui stesso ha tracciato, anche quando questo comporta dolore, sofferenza, persecuzione, rifiuto, pagare con la vita, come sta avvenendo per tanti cristiani in tante parti del mondo non dimenticando mai la parola ultima: risorgere.
Accettare Gesù come Signore e guardare la croce non è così semplice. Accettare come Signore della tua vita uno che secondo la nostra visione umana è uno sconfitto, ingiustamente condannato, torturato, sconfessato anche dai suoi più intimi e crocifisso. Ma come accade per il seme che deve morire per germogliare a far nascere una nuova pianta, da quella morte nasce la vita. Non dimentichiamo mai che Gesù è il risorto e il vivente!
Ecco lo scandalo, la seconda parte del Vangelo, quella in cui Pietro prende in disparte Gesù e pretende di essere lui ad insegnare a Gesù. E quello che facciamo anche noi tante volte quando pretendiamo di insegnare Dio a fare il Dio. Vorremmo che mettesse a posto tutto come vorremmo noi e allora Signore perché non fai questo o quest’ altro, quello lo devi mandare sicuramente all’ inferno … e che più ne ha più ne metta.
Lo scandalo di Pietro è anche lo scandalo di tanta persone che hanno una fede debole, piccola, vacillante, tiepida, che quando si tratta di testimoniare con verità e coerenza si tira indietro oppure alimenta colpevoli silenzi anziché gridare la verità del Vangelo. Oltre che gridata la verità del Vangelo va poi concretamente vissuta, come ci ricorda S. Giacomo nella seconda lettura, con quell’ esempio assolutamente attuale e calzante. (Giac 2,14-18)
Ancora una volta Gesù ci mette in guardia occorre perdere, cioè dare tutto per avere tutto, questo non fa della nostra vita una tragedia, ma una storia a lieto fine
“La metà è la felicità senza termine [la vita senza termine], ed è assicurata a tutti coloro che partecipando alla sorte del Figlio di Dio crocifisso, parteciperanno anche alla sorte del Figlio di Dio che regna glorioso. Come dice S. Paolo, noi siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria (Rm 8,17).” (card. Giacomo Biffi)
Deo gratias, qydiacdon