Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
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Continuiamo la lettura del capitolo del Vangelo di Giovanni può essere opportuno richiamare il contesto.
La folla ha vissuto l’ esperienza della moltiplicazione dei pani e dei pesci e vuole fare re Gesù, Egli è sconcertato. Il gesto compiuto aveva la finalità di indurre i discepoli a giocarsi di fronte ai problemi, ma ciò non è stato capito. La folla ha capito che Dio avrebbe definitivamente risolto le loro difficoltà.
Gesù inizia allora un discorso duro con un’affermazione che aumenta ancora di più l’incomprensione.
Egli pretende di essere l’unico in grado di saziare la fame del cuore, una fame che non può essere saziata dalla dimensione del fare, ma quella dell’ essere e per noi cristiani dal credere in Lui.
Certo questo imbarazza un po’ perché se questo è vero quanto vi è di umanamente valido nel Vangelo vale per tutti, credenti e non credenti.
Quei valori a cui tanti si richiamano, riempendosi la bocca, ma non attuandoli praticamente. Sto pensando al valore della solidarietà e alla parabola del buon samaritano. Sto pensando al valore della libertà che permette a Gesù di incontrare i lebbrosi e anche coloro che non sono ebrei guarendo, non dividendo come purtroppo sta accadendo anche oggi fra noi.
Ma chi è questo Rabbì che si sottrae alla notorietà, che indica un’altra fame da saziare oltre a quella materiale: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Di fronte all’ affermazione che Gesù fa di sé a tutti viene offerta una grande occasione per chiedersi quale conoscenza abbiamo di Lui?
Il mondo laico ha una sua conoscenza, spesso fatta su frasi fatte, notizie inesatte o addirittura tendenziose, oppure riconoscendolo come il promotore di valori al limite dell’impossibile da realizzare, ma questa è ancora una conoscenza esteriore che esclude il coinvolgimento personale.
Questo è un rischio che posso correre anch’io, cristiano. Posso conoscere i Vangeli benissimo nei minimi particolari, i detti e i discorsi di Gesù, le parabole e quant’altro che lo riguarda e fermarmi lì. Nessuna incidenza nella mia vita personale, nessuna applicazione pratica, e nessun cambiamento che coinvolga il mio agire e il mio operare.
Un commentatore – mettendo in guardia i cristiani scrive- “Così, per esempio si può essere al corrente di tutti gli avvenimenti e i pettegolezzi ecclesiastici, e non avere nessuna conoscenza vitale e trasformante di Gesù (…) Così posso studiare gli evangeli e tutte le loro interpretazioni, e tutte le questioni sottili suscitate dall’ evento cristiano, ma avere il cuore senza speranza, senza gioia, senza amore”
Ma vi è anche una conoscenza diversa, che non è quella intellettuale delle sociologie, delle filosofie ed anche delle teologie. Quella conoscenza che nasce dalla fiducia. Quella stessa fiducia che hanno due sposi che pronunziano il loro sì e che affidano le loro vite l’uno nelle mani dell’altra.
E’una conoscenza che trasforma noi stessi, ma non solo e tramite noi cambiare il mondo e le ingiuste strutture che così spesso lo governano.
Una conoscenza che permette la comprensione di quello che noi facciamo e ad essere misericordiosi con gli altri e con quello che fanno.
“Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.” Scrive S. Paolo.
Se la nostra vita si può paragonare al cammino di Elia verso l’Oreb per fuggire alla regina Gezabele (1 lettura), e per camminare occorre nutrirsi, per potere attraversare il deserto e lo scoraggiamento che può prendere il nostro cuore, Gesù con la sua Parola, con la sua Persona si propone come nutrimento e sostegno. A noi, cristiani viene affidato un compito in più quello di diventare noi stessi pane e nutrimento per gli altri credenti e non credenti. Per questa umanità che lotta, spera e ama.
Deo gratias, qydiacdon