Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
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La prima parola che vorrei mettere all’inizio della nostra riflessione è apparenza. Cosa assai diffusa oggi in cui si guarda agli altri non per quello che sono o hanno veramente nel cuore, per ciò per cui amano e sperano, ma per quello che possiedono e possa giustificare un certo status sociale, economico, politico. Dimentichi che l’apparenza spesso non rispecchia
l’essenza di una persona e che nel mondo vi sono persone vere e autentiche, coerenti con ciò che dicono e che fanno .
Quando noi incontriamo queste persone il primo sentimento che nasce in noi è quello dello stupore: “Possibile che esistano persone così?
È quello che accade nel Vangelo di oggi. Questo Gesù che torna a casa fra i suoi che non riconsiderano quella che è stata la sua esperienza a Cafarnao e tuttora.
«Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?».
Come è accaduto per tanti, anche per noi come è accaduto a me. Ricordo sempre quando, da poco ordinato, incontrando una mia parente mi disse sei diventato uno scarafaggio nero. Era un po’ anticlericale.
Gesù non viene accolto dai suoi compaesani perché viene banalizzato e dato per scontato. Lo conoscono, conoscono la sua famiglia, i suoi parenti com’è possibile che sia animato da una sapienza simile e che abbia compiuto le cose di cui abbiamo sentito dire? Se questo accade sotto un aspetto, dall’altro perché ciò che dice è scomodo e mette tutti sul banco degli imputati. Gratuità, servizio, giustizia, oblatività,
rinuncia, sacrificio, amore gratis … quanto e cosa facciamo per questi valori che sono per molti, troppi, fuori dagli schemi. Certo se ne sente parlare, ma la prassi, l’agire in questo senso com’è?
Allora subito nasce l’incomprensione, ci si scandalizza. È vero anche gli uomini di chiesa, che dovrebbero essere dei nuovi profeti sono fragili ed errori sono stati commessi da papi, vescovi e da semplici cristiani. Forse succede anche a noi di non riuscire sempre a dare una grande testimonianza di fede nella nostra vita e ci uniformiamo al pensiero banale che guida la logica del mondo, cedendo a piccoli e grandi compromessi.
Accade che anche i cristiani tentino di addomesticare il Vangelo, correggerlo o che si sentano migliori rispetto a tanti altri.
Quando giunge qualcuno che richiama alla verità diventa scomodo per tutti.
Così è accaduto ai profeti nella storia del popolo ebraico, così succede a Gesù.
L’essenza del ruolo in senso biblico è che il profeta è qualcuno che “parla nel nome di Dio”. Il rapporto tra Dio e il suo popolo è basato su un’alleanza: “il patto”, dunque il profeta è qualcuno che richiama il popolo di Dio a rispettare i termini dell’alleanza, ammonisce il popolo e lo esorta a rispettare l’alleanza stabilita da Dio.
Ma noi sappiamo bene richiami e rimproveri non sono accettati bene da nessuno.
Scrive un commentatore: “il destino dei profeti, lo stesso Gesù lo sperimenta è di essere ignorati in vita e celebrati da morti. Ancora intorno a noi uomini e donne profetizzano, leggono la realtà, ci richiamano all’ essenziale, innalzano la loro voce nel deserto mediatico che ci circonda.
Un vecchio polacco parkinsoniano (Giovanni Paolo II) ha richiamato forte il valore della pace, ammonendo i potenti del mondo che – garbatamente- gli hanno sorriso e lo hanno ignorato, accorrendo poi devoti alle sue esequie” (Curtaz)
“Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”
Deo gratias, qydiacdon