Dal vangelo secondo Marco cap.12
Contro i maestri della Legge
Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
La piccola offerta di una vedova
41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
La parola che il Signore oggi ci rivolge ci pone davanti due vedove. Una delle categorie ultime della società al tempo di Gesù. Spesso la vedova si vedeva costretta, per vivere, a mendicare o, peggio, a prostituirsi. La condizione della vedova, perciò, era la peggiore che si potesse immaginare: sola, senza sussistenza economica, disprezzata perché mendicante o prostituta. Eppure, come gli orfani, le vedove sono una di quelle categorie particolarmente amate da Dio, come ci ricorda anche il salmista: “il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi.” (Slm 146)
Ma anche il profeta Isaia dice: “imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». (Isaia 1,17).
Queste due vedove, pur così distanti cronologicamente nel tempo hanno qualcosa che li accomuna!
Sia di fronte alla richiesta del profeta, la prima, sia nel dare il proprio obolo al tempio tutte e due danno
“ quello che a loro è necessario per vivere”.
Ambedue vivono una condizione di miseria. Alla prima viene chiesto dal profeta di adoperare quel po’ che gli resta, per sfamarlo. Cosa avremmo fatto se noi saremmo stati al suo posto? Come avremmo agito, secondo la logica del buonsenso. L’ unica garanzia che la donna ha è la parola del Signore, che attraverso il profeta , gli garantisce che non verrà meno né la farina né l’ olio. Ma è una parola che non è immediatamente verificabile, esige davvero una fiducia incondizionata.
Anche a noi il Signore rivolge la sua Parola, ma quale credito gli diamo?
La vedova del vangelo!
Anche la vedova del vangelo si comporta in modo illogico. È difficile per noi capire il motivo della sua totale donazione, perché donare tutto? Aveva due monetine, avrebbe potuto darne solamente una che era una già grande quantità, è il cinquanta per cento di tutto quello che possiede, non è poco, ma ella “dà tutto”, dona tutto a Dio , perché questoè il significato dell’ offerta.
Espressione di una donazione più grande che è quella di affidarsi completamente, totalmente al Signore. Buttare la propria vita nelle sue mani e non in senso metaforico o spirituale, ma totale, nella fiducia che Dio si prenderà cura di lei. È quella cosa così difficile da fare per noi … buttarsi totalmente nella braccia di Dio, confidare che, comunque, Lui si prende cura di noi.
È quella cosa che si chiama Provvidenza, questa spericolatezza che ci permette di andare al di là, oltre la logica umana. La spericolatezza tipica dei santi, di cui abbiamo da poco celebrato la solennità.
Ecco, quindi, affacciarsi nella nostra mente delle domande: dobbiamo perciò essere imprevidenti o incoscienti? Come si fa? Interrogativi più che giustificati oggi con la situazione di insicurezza che stiamo vivendo sotto ogni punto di vista. Un certo modo di impostare la questione è quello di cercare un equilibrio tra quelle che sono le esigenze, i beni che possiedo e quelle di una responsabilità di appartenere alla comunità cristiana, al culto, alla carità!
I giudei avevano risolto il problema, la misura era un quinto del patrimonio e la decima. Questo è un modo di porsi e di trovare le risposte. Proviamo a metterci però in un’altra prospettiva.
Ci mettiamo davanti a Dio, davanti al crocifisso e lì davanti metto anche tutto il resto.
In questa prospettiva tutto cambia. Il mio conto corrente nei confronti del Signore è in rosso, perché mi ha dato un apertura di credito illimitata: mi ha dato tutto e tutto quello che ho, che ho conseguito mettendo a frutto i doni che non mi sono dato da solo, mi mettono nelle condizioni di debitore.
Ho, perciò, un debito di riconoscenza senza fine, perché il Signore per me ha offerto tutto, la sua stessa vita.
Riconoscere questo è la rivoluzione della fede, riconoscere questo vuol dire fare di me stesso, di quello che io sono e di quello che ho una risposta vivente al dono di Dio, divenendo io stesso dono.
Dare in elemosina è un modo di esprimere questa risposta. La risposta più adeguata, però è quella della totalità, come scrive un biblista, ( Monari). “ È l’ unica misura corretta che si possa usare nei confronti di Dio, dargli meno, fosse anche il novantanove per cento, significherebbe non conoscerlo come Dio, ma considerarlo una potenza mondana limitata.
Naturalmente dare a Dio e dare in elemosina non si equivalgono: a Dio doniamo anche i sentimenti, i moti del cuore, le sofferenze e l’ obbedienza della vita.”
Questo, però, non toglie che rispondere anche con l’elemosina, con il denaro o il patrimonio, proprio per l’ importanza che rivestono nella nostra vita, per riaffermare il primato di Dio, denotano come noi viviamo e siamo consapevoli che a Dio tutto dobbiamo e che gli siamo grati.
Oggi celebriamo la giornata del ringraziamento “ per i frutti del lavoro e dell’ingegno dell’uomo”.
L’ obolo della vedova ci insegna a sottarci alla schiavitù delle cose e del possedere, ci ricorda che i beni sono beni da condividere. Oggi la ricerca e l’ attaccamento ai beni materiali e al denaro arriva fino ad essere una forma di patologia alimentata dall’ egoismo sfrenato. Ringraziamo Dio per i doni della sua Provvidenza, riprendiamo consapevolezza che noi non siamo i padroni del creato, ma che vi siamo come amministratori e che dobbiamo custodire questo preziosissimo bene non solo perché ci è necessario per sopravvivere, ma perché
è dono d’amore e di misericordia e davanti al Signore. Nell’ Eucaristia che celebriamo interroghiamoci su quanto siamo disposti a dare al Signore: il superfluo di chi ama apparire, che può essere anche tanto, o l’ obolo della vedova, che è tutto, ricordandoci che il Signore non guarda alla quantità, ma al cuore.
Soli Deo Gloria, qydiacdon