VI Domenica ordinario C – Beatitudini e guai …

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Oggi ci viene riproposto il vangelo delle beatitudini, quello che qualcuno ha definito come la Magna Charta del cristianesimo, quello che Ghandi ha qualificato come tutto il cristianesimo. Un discorso difficile che va contro la logica del mondo che proclama ben altre beatitudini e  beati. Beati i ricchi, beati, i potenti, beati i famosi, chi ha successo, chi è grande e appariscente sul grande palcoscenico del mondo.
Perché, quindi proclamare beati i poveri chi ha fame, chi piange? Beati nella misura in cui si riuscirà a comprendere che quelle che sono le realtà transitorie del mondo non bastano all’ uomo per avere la felicità e scoprire il vero senso della vita, che abbiamo bisogno di altro, di Qualcun’ altro.
Un giornalista ha scritto: “Con tutto il progresso che abbiamo raggiunto
(ma che oggi dimostra tutta la sua fragilità –aggiungo io) non siamo in pace né con noi stessi né con il mondo intero. Anzi l’uomo non è mai stato tanto povero spiritualmente povero come da quando è diventato ricco materialmente” ( TizianoTerzani) 

Sembra un assurdo, ma l’esperienza della povertà, del nostro limite, della nostra insufficienza ci aiutano a scoprire, ad investigare, a scendere nel grande mistero della vita. Usciamo un po’ dal pensare che il cristianesimo sia il rimedio soprannaturale contro la sofferenza – come diceva Simone Weil- ma un impiego soprannaturale della sofferenza, anche se questa fa ancora parte della nostra esperienza umana. Sofferenza che a volte appare contro l’uomo con tutto il suo carico di dolore e non solo per noi, ma anche per i nostri cari.

Nel testo delle Beatitudini si parla di poveri e ricchi e io vorrei che ci chiedessimo chi sono questi poveri e questi ricchi di cui parla il Vangelo, guardando noi stessi e senza dare giudizi, ma ancorati all’ insegnamento di Gesù.

I poveri sono coloro che non riconoscono nel mondo la realtà a cui il cuore si rivolge. Senza difesa e senza garanzia si affidano totalmente al Creatore per avere l’appagamento dei loro desideri riguardo la giustizia, la fraternità, la mitezza, l’amore, la vita, la morte; insomma in tutti quei desideri di bene che sono nel loro cuore. Per riprendere le parole del profeta della prima lettura: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti».

Questi poveri sono oggi tuttora fra noi, non sono lontani da noi e non sono solo quelli che vengono a cercare accoglienza. Per fare un esempio pensiamo a quei padri e quelle madri che non rifuggono dai loro compiti primari e non accampano continuamente il loro diritto alla “di vivere la loro vita”, ma pensano solo ai figli che il Signore gli ha dato.”

Chi sono i ricchi?
Riprendiamo ancora le parole del profeta nella prima lettura: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
e pone nella carne il suo sostegno”
Sono quelli che ripongono la loro speranza solo nei beni materiali, nelle possibilità economiche, in ciò che dispongono e negli appoggi di chi è potente, dimenticando che tutto è destinato ad andare perduto nel momento in cui la nostra vita si conclude.

Concludo dicendo che vi può essere una ricchezza e una povertà spirituale.
La ricchezza spirituale per chi crede è quella della fede e di cui dobbiamo seguire gli insegnamenti. Per chi non crede è quella che apre al bene, al vero, alla bellezza, a sapersi farsi vicini ai poveri di questo mondo.

La povertà spirituale è quella che ripiega l’uomo su se stesso e lo rende incapace di apertura, di disponibilità, di vicinanza verso gli altri, per i cristiani è quella che gli impedisce di testimoniare con forza e vigore l’amore come ci ha insegnato Gesù.

Deo gratias, qydiacdon

Mons. Alfano: Chi è attaccato ai suoi averi non potrà mai essere mio discepolo. - Arcidiocesi di Sorrento - Castellammare di Stabia

 

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