“Eccomi Signore manda me” è la risposta del profeta Isaia che ha visto la grandezza di Dio e, come accade sempre, quando l’uomo fa questa esperienza scopre tutta la sua inadeguatezza, la sua piccolezza e fragilità. Nello stesso tempo è anche consapevole di vivere “in mezzo a un popolo dalle labbra impure”. Un popolo dove dilaga la corruzione e che non ha più punti di riferimento.
Ecco, quindi, che alle parole: “chi manderò, chi andrà per noi”, dichiara di essere pronto ad andare. Il cristiano è un mandato un inviato come il profeta nel mondo per essere testimone della fede aderendo al Vangelo, annunciando che siamo in cammino verso un futuro che va oltre il tempo e oltre la storia e che è pienezza di vita. Per tanti aspetti sembra che il mondo di oggi non sia poi così dissimile da quello di Isaia. Il cristiano è chiamato a confrontarsi con un contesto difficile dove la fede viene confusa in una Babele di linguaggi e di proposte che riducono l’uomo a quello che non è, lo riducono solo alla dimensione umana, terrena, materiale, preda e vittima di passioni e istinti insensati. Linguaggi che negano la trascendenza e la dimensione interiore, spirituale che è presente in ciascuno di noi.
E anche se noi siamo uomini dalle labbra impure, basta che l’amore misericordioso del Signore ci tocchi, come il carbone ardente con cui il Serafino tocca le labbra di Isaia, per ritrovare la consapevolezza e la gioia della missione. Spesso noi siamo portati a sottolineare le difficoltà che si incontrano nell’ annuncio del Vangelo, che ancora risuona dalla barca di Pietro per tutto il mondo: dalla Chiesa, attraverso la quale il Signore vuole annunciare la verità evangelica. In questa barca ci siamo anche noi che riceviamo l’amore misericordioso del Signore attraverso i Sacramenti e la parola. Non dobbiamo essere “profeti” spenti che non annunciano con le parole e con la vita il Vangelo, offrendolo ad ogni uomo e ogni donna affinché possa accogliere e gioire con noi dell’incontro con il Signore.
Un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l’Apostolo a « prendere il largo » per la pesca: « Duc in altum » (Lc 5,4). Pietro e i primi compagni si fidarono della parola di Cristo, e gettarono le reti. « E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci » (Lc 5,6). (…)
Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!» (Giovanni Paolo II al termine del Giubileo dell’anno 2000)
Duc in altum! ” Il comando di Cristo è particolarmente attuale nel nostro tempo, in cui una certa mentalità diffusa favorisce il disimpegno personale davanti alle difficoltà. La prima condizione per “prendere il largo” è coltivare un profondo spirito di preghiera alimentato dal quotidiano ascolto della Parola di Dio. L’autenticità della vita cristiana si misura dalla profondità della preghiera, arte che va appresa umilmente “dalle labbra stesse del Maestro divino”, quasi implorando, “come i primi discepoli: ‘Signore, insegnaci a pregare!’ (Lc 11, 1). Nella preghiera si sviluppa quel dialogo con Cristo che ci rende suoi intimi: ‘Rimanete in me e io in voi’ (Gv 15) (Giovanni Paolo II MESSAGGIO PER LA XLII GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI)
Sulla Parola di Gesù non dobbiamo avere timore e, come Pietro, ripetere “sulla tua parola getterò le reti”. Sulla sua Parola essere nel mondo, ma non del mondo seminatori di speranza, ma anche richiamando al cambiamento di vita, che prima che agli altri, è richiesto a noi.
Se questo vale per il singolo credente, per ogni battezzato vale per tutta la Chiesa. Una Chiesa che non si fa mondanizzare, che non piega ai venti dell’errore e alle seduzioni, opera del maligno, che la vorrebbe asservita e mondanizzata. Anche se possiamo sperimentare la fatica e la solitudine è Gesù che sa dare energia e forza al nostro annunciare, al nostro agire e operare quando è in conformità con il Vangelo.
Scrive il Cardinal Biffi:il segreto della vitalità della Chiesa non sta tanto nella sua ansia di rendersi più credibile e accettabile agli uomini, quanto nella sua umile e sincera volontà essere più credente e più vicina a Dio e alla sua legge d’amore.
“Sulla tua Parola getterò le reti”, le reti della mia vita, dei miei giorni luminosi o grigi, quando incomprensioni o difficoltà , la sofferenza e il dolore squarciano l’orizzonte della mia vita, delle nostre vite, diventa una professione di fede da pronunciare sempre nell’ arco della giornata accettando la volontà di Dio anche quando questa è amara e difficile, perché solo Gesù, il Signore, ha parole di vita eterna.
Deo gratias, qydiacdon