(Corrado Gnerre, Le Cronache di Papa Francesco – 2 settembre 2021)
Eccoci tornati dopo la pausa estiva. Ci sarebbe tanto da scrivere, molti ci hanno chiesto di commentare le esternazioni di papa Francesco fatte alla radio spagnola Radio Cope, così abbiamo cominciato una bozza, ma che è stata interrotta perché, nel frattempo, siamo rimasti pienamente concordi nella lettura di un articolo dell’ottimo prof. Corrado Gnerre, pubblicato ne Il Cammino dei Tre Sentieri. In quest’articolo il prof. Gnerre non si occupa dell’ultima intervista del Papa, ma proprio del cuore del problema di questo pontificato. Abbiamo deciso di proporlo ai nostri lettori, affinché si possa meglio capire che la drammatica crisi che sta vivendo il mondo cattolico — come più volte abbiamo sostenuto — non comincia il 13 marzo del 2013 e non finirà con questo papa. Finché non si deciderà di curare la causa e non i sintomi (è stato questo l’errore di Benedetto XVI), la “pandemia rivoluzionaria” cominciata con Lutero non giungerà al termine.
Mai come oggi il Cattolicesimo rischia di affondare nel clericalismo
Tutto il Cristianesimo può essere sintetizzato nell’immagine della vite e dei tralci che riporta il Vangelo di San Giovanni (Giovanni 15). Gesù dice che Lui è la vite e che noi siamo i tralci e che se questi (i tralci) non sono innestati nella vite, si seccano e sono buoni solo per essere gettati nel fuoco. E’ un’immagine che sintetizza il Cristianesimo perché centra tutto sulla Vita di Grazia. Gesù non cita mai la parola “linfa”, eppure è proprio la linfa la vera protagonista. Se i tralci si seccano è perché sono staccati dalla vite e dunque non possono dalla vite attingere la linfa. E i tralci, senza la linfa, non possono che inaridirsi e morire. La linfa è l’immagine della Grazia. Gesù fa, pertanto, capire che non può esserci vita cristiana senza la Grazia. Il tutto confermato dal dato teologico: se non si ha la Grazia santificante, si possono anche fare le cose più grandi di questo mondo, ma nulla vale per la vita eterna. I meriti per il Paradiso si acquistano solo ed unicamente nello stato di Grazia, perché è Dio che salva e non è l’uomo che salva se stesso. Abbiamo iniziato questa sosta con un’immagine del genere per analizzare tutto quel “mondo”, interno alla Chiesa e fuori la Chiesa, che plaude alle varie svolte ecclesiali che stanno avvenendo negli ultimi anni, le cui radici però sono abbastanza remote.
A proposito del pontificato di Francesco, molti dicono che il suo grande merito sarebbe quello di aver avvicinato alla fede molti “lontani”. Non siamo d’accordo o — perlomeno — potremmo anche esserlo, ma si deve ben capire in che termini.
Se per “avvicinamento” si intendono istintive simpatie, e frasi del tipo: come è simpatico, aperto, rivoluzionario questo papa… allora, tutto sommato, potremmo anche essere d’accordo. D’altronde è sotto gli occhi di tutti quanto il mondo stia promuovendo il pontificato di Francesco. Da Vanity Fair, al Time, per arrivare alla rivista rock Rolling Stone c’è una sequenza di copertine dedicate al Vicario di Cristo. E non è roba da poco. Ma se invece per “avvicinamento”, s’intende altro, allora non mi sembra proprio che chi plaude a questo pontificato abbia ragione. Alludo al fatto che l’unico e vero “avvicinamento”, relativamente a ciò di cui si sta parlando, non può che essere la conversione. E non ci sembra affatto che conversioni vi siano. Anzi, se la simpatia dei “lontani” sembra evidenziarsi, la perseveranza dei “vicini” sembra sempre più vacillare per (ci addolora dirlo) oggettivi gesti e parole scandalose che non possono che disorientare: dal Dio che non è cattolico, dalla coscienza individuale come criterio di tutto, dal proselitismo come peccato grave, fino a catechesi ambigui sul valore non assoluto dei Comandamenti (clicca qui), per non parlare dei noti passaggi dell’ Amoris Laetitia.
Il problema, ancora una volta, è come rapportarsi al mondo. Certo, se si dicono cose che il mondo vuol sentire, gli applausi si ricevono, eccome. Ma se invece si persevera nell’affermare, costi quel che costi, la verità senza sconti, allora dal mondo si ricevono le pietre, ma si è sulla strada giusta. Chi plaude vorrebbe invitarci ad un’analisi sociologica del pontificato di Francesco, ma non non deve essere questa la chiave. Anzi: è proprio la chiave sociologica che li smentisce, perché, per quanto riguarda le convinzioni e la vita cristiana (cioè lo ripetiamo: le vere conversioni), i dati non salgono, tutt’altro.
Chi sta davvero a contatto con i giovani e con le persone in carne e ossa questo lo sa molto bene.
Con correttezza, pacatezza e rispetto, ma certe cose si devono dire allorquando molte anime corrono il rischio di perdere la bussola della Sana Dottrina. Altrimenti un giorno il Signore potrà chiederci del perché del nostro silenzio. Ovviamente, operando questa critica, non vogliamo sposare semplicistiche soluzioni di chi riconosce come legittimo papa il dimissionario Benedetto XVI o di chi opta per criteri sedevacantisti. Soluzioni ingenue e contraddittorie. I primi a sentirsi in comunione con colui che invece professa comunione con papa Francesco; i secondi ad essere costretti a spiegare come la Chiesa possa reggersi venendo meno per tanto tempo le ragioni della giurisdizione.
La vera mondanizzazione non sta nelle scarpe rosse, nell’andare su auto di grande cilindrata, nemmeno nel vivere in qualche stanza finemente affrescata, bensì è nel rendere la Chiesa cortigiana della storia, nel dire sempre e comunque ciò che il mondo vuol sentirsi dire. Non vogliamo credere che da parte di papa Francesco ci sia davvero questa intenzione (questo lo può sapere solo Dio), ci limitiamo a constatare. Così come constatiamo (ma non è una sorpresa che un errore causi sempre l’errore opposto) che in questi quattro anni sta aumentando ciò che pur si denuncia e si vorrebbe combattere: il clericalismo.
Mai come oggi il Cattolicesimo rischia di affondare nel clericalismo.
Il clericalismo, infatti, non consiste nei privilegi formali, bensì nel tentativo di “mondanizzare” il Mistero.