Anche se la storia ci consegna che presso gli antichi era più facile concepire una molteplicità di divinità collegandole alle forze della natura o a quei fenomeni che
l’uomo non riesce a spiegare con la sola ragione, e ve ne sono ancora oggi, non è difficile immaginare o ricondurre tutto ad un’unica entità divina.
Molto più difficile accettare che via sia un Dio unico, ma che nello stesso tempo questo Dio sia tre persone e non un Dio che assume ora il volto del Padre, ora il volto del Figlio, o della Spirito Santo.
Celebriamo oggi la solennità della SS Trinità. Cioè un Dio unico in tre persone: Padre, Figlio, Spirito Santo.
Ma cosa vuol dire, per noi cristiani celebrare e professare la fede nella Trinità?
Fermiamoci a riflettere!
Celebriamo la festa di Dio che è “amore”, come ci ricorda S. Giovanni nella sua prima lettera, (Gv cap 4), e come ci ricorda anche la Parola che abbiamo ascoltato.
“Dio è amore”, l’amore è una relazione. Abbiamo sentito qualche tempo fa che qualcuno ha “sposato” sé stesso notizia ripresa sia sui social, che dai giornali. Ma è questo l’amore? L’amore è apertura all’ altro. Forse molti di voi ricordano il mito di Narciso. Questo giovane bellissimo che non riuscì ad amare altri che sé stesso, fino a morirne.
Ora il Dio che si rivela e che ci ha fatto conoscere Gesù non è un Dio unico chiuso in sé stesso, che si autocompiace della sua perfezione, che è distante e lontano da noi, non è, come ad esempio il Dio dell’Islam che pretende la sottomissione del credente e non
l’amore. Non è neppure il Deus ex machina, cioè un Dio che dall’ esterno non condivide le vicende dell’uomo. Non è nemmeno il motore immobile che pensa a se stesso, alla sua perfezione, e a nient’altro che la riguardi, come affermavano i filosofi greci.
“Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. 10In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.” Scrive nella sua prima lettera l’apostolo Giovanni ( 1Gv 4,9-10). E nel Vangelo leggiamo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.”
Dio, come, è uscito allo scoperto, ha dichiarato l’amore per la sua creatura, che siamo poi io e voi e nel Signore Gesù si è fatto conoscere, svelandoci un volto di tenerezza e di misericordia. Come si presenta Lui stesso a Mosè sul sacro monte:
“ Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso”.
Questa caratteristica di Dio, quanto Egli sia capace di muoversi a compassione, di sentire la nostra sofferenza ci si svela dall’ incarnazione alla Pasqua di Gesù. In Lui l’amore si trasforma in dono pieno, totale, un dono d’amore per ciascuno di noi. Davvero possiamo dire: “Quale Dio è come il nostro Dio?”
Se Gesù allora ci svela ed è l’immagine del Dio invisibile la fede in Lui diventa determinante. Una fede che viviamo nella nostra condizione di fragilità e di debolezza per cui tante volte cadiamo nel peccato, ma il Signore non ci abbandona e ci tende sempre la mano per risollevarci.
Stamattina una persona mi ha detto: “Ho paura di Dio”, che non è quel sano “Timor di Dio” che ciascuno di noi è chiamato ad avere, riconoscendo che Dio è Dio e noi siamo creature – cosa di cui tanti si dimenticano oggi-.
Più che avere paura di Dio dobbiamo lasciarci amare da Lui, anche se a volte può sembrare che avvenga esattamente il contrario. Conosciamo forse tutti quell’episodio della vita di S. Teresa d’Avila che, in un momento di particolare sofferenza, chiedeva: “Perché devo soffrire tanto Signore?” Ed il Signore rispose: “Perché ti amo molto Teresa”. La Santa, che non ha perse mai l’ironia neppure nei momenti più drammatici della sua vita, gli rispose con estrema sincerità: “Oh Gesù mio, allora preferirei che Tu mi amassi un po’ di meno”. Bello vedere come i santi sono persone che nella loro vita soffrono ciò che soffriamo tutti, che anche loro chiedono che il dolore venga alleviato, questo significa che sono “umani”, non marziani e che la santità è via aperta a tutti.
Non deve però mai venire meno la fiducia in Questo Dio che ci ama e che è accanto a noi comunque e quando meno comprendiamo più fortemente dobbiamo affidarci e abbandonarci a Lui, certi che opererà sempre per il nostro bene.
Ma se la festa della Trinità è la festa dell’amore di Dio per noi, deve anche essere la festa in cui noi manifestiamo il nostro amore per Lui. Come?
Prendo ancora in prestito le parole dell’apostolo Giovanni:
“11Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. 12Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. 13In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. 14E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo.”
Amandoci gli uni gli altri e testimoniando con la vita e con le opere che Gesù è il Signore e il vivente!
Siamo lieti, quindi, in questa festa!
Ancora una volta il Signore ci riempie di speranza. Chiediamo che si realizzi per noi quello che dice Paolo nella seconda lettura: “tendiamo alla perfezione, facciamoci coraggio a vicenda, abbiamo gli stessi sentimenti, viviamo in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi.”
Che significa poi che tutto il nostro agire, parlare, essere chiesa abbia la sua anima in Dio stesso e la Carità, l’ amore, sia la logica del nostro vivere, affinché, andando oltre quelli che sono gli ideali umani di fraternità e uguaglianza, possiamo far trasparire in noi un piccolo riflesso di quell’ amore e di quella comunione che è la Trinità.
Ad maiorem Dei gloriam, qydiacdon