La settimana scorsa ero in un’altra parrocchia e andando a fare una visita ad un gruppo di ragazzi di catechismo il discorso andò a toccare, inevitabilmente, la festa di Hallowen.
Ho detto loro che un cristiano non celebra la festa di Hallowen, che è una festa macabra, un inno delirante alla morte, a mostri, spiriti, fantasmi, demoni, ma che noi celebriamo come cristiani, la bellezza, la gioia, la luce e non le tenebre, la vita e non la morte, una vita che è riuscita e che ci fa luminosi e splendenti in un amore che unisce tutti.
Spesso si pensa che parlare di santità, e non so che concetto voi abbiate della santità, sia un cammino fatto di privazioni, di sforzi che la persona si deve imporre ricercando da solo una perfezione difficile da raggiungere.
Magari, equivocando, si può pensare anche a una rassegnazione di fronte alle vicende della vita a cui l’uomo deve rassegnarsi in attesa di una consolazione e di un premio che verranno solo in un dopo. Dimenticando sempre la presenza del Signore accanto a noi.
Tre parole, come tre pennellate, per tratteggiare la santità: chiamata, risposta, dono.
Chiamata che ogni battezzato riceve assieme alla vita nuova di Figlio di Dio come ci ricorda S. Paolo: “Per mezzo del Battesimo siamo stati sepolti con lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti … così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.” Questa chiamata è per tutti i battezzati senza distinzione: “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.” Come dice il libro dell’Apocalisse.
Risposta dell’uomo nella sua libertà accettando il dono di questa chiamata, vivendo le esigenze che essa comporta, cioè: cercando di assomigliare a Gesù Cristo in tutto: pensieri, sentimenti, parole e azioni, percorrendo quella via delle Beatitudini che Il Signore Gesù ha percorso per primo, vivendo quella Carità attraverso la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui, come ricordava il papa Benedetto XVI in una delle udienze generali, e aggiungendo: “perché la carità, come un buon seme, cresca nell’anima e vi fruttifichi, ogni fedele deve ascoltare volentieri la parola di Dio e, con l’aiuto della grazia, compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’Eucaristia e alla santa liturgia; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, al servizio attivo dei fratelli e all’esercizio di ogni virtù. La carità infatti, vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr Col 3,14; Rm 13,10), dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Forse anche questo linguaggio del Concilio Vaticano II per noi è ancora un po’ troppo solenne, forse dobbiamo dire le cose in modo ancora più semplice. Che cosa è essenziale? Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell’Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo letto con Cristo, che è semplicemente l’esplicitazione di che cosa sia carità in determinate situazioni. Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di santità: l’incontro col Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla fine del giorno; seguire, nelle decisioni, gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato, che sono solo forme di carità. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo” (lumen Gentium42). Questa è la vera semplicità, grandezza e profondità della vita cristiana, dell’essere santi.”
La santità è dono che ci viene dato da colui che è santo attraverso il Signore Gesù, attraverso la sua morte e risurrezione.La Chiesa in questa festa ci invita a guardare a queste persone di tutte le età, di ogni stato di vita che hanno saputo vivere la Carità, amare e seguire Cristo nella loro vita quotidiana. Oltre a quelli che la Chiesa ci indica come fratelli maggiori, come degli indicatori di una strada che è percorribile per tutti, vi sono tutte quelle persone buone, umili, quelli che Benedetto XVI definisce persone normali, che esprimo nella bontà vissuta ogni giorno la fede.
Una fede vissuta nella partecipazione alla Messa, nella preghiera, nell’ ascolto della Parola di Dio e condividendo con il nostro prossimo, specie i poveri e i sofferenti per essere operatori di pace, misericordiosi, con cuore disponibile e puro rivolto al Signore anche nei momenti di persecuzione.
Viviamo allora questa bella festa nella gioia di una comunione che unisce noi pellegrini in cammino e coloro che hanno già raggiunto la meta, festa che unisce la terra al cielo e che volendo adoperare un’immagine potremmo pensare ad un grande mosaico che rappresenta il disegno di Dio in cui ciascun cristiano chiamato alla santità è una tessera preziosa e luminosa!
Deo gratias, qydiacdon