Era il 30 ottobre 1999. In piazza San Pietro, a Roma, erano convenuti docenti, famiglie e alunni della Scuola cattolica italiana, al termine della loro Assemblea nazionale. Ad accoglierli, c’era Giovanni Paolo II, che spiegava la «fioritura delle scuole cattoliche» con la «passione educativa, che ha accompagnato la Chiesa attraverso i secoli» ed esprimeva ai tanti presenti il suo «affetto, stima e la più viva solidarietà per l’opera alla quale vi dedicate», tenendo conto di come «l’esperienza delle scuole cattoliche» porti «in sé un grande patrimonio di cultura, di sapienza pedagogica, di attenzione alla persona, di reciproco sostegno con le famiglie».
Ancor più nell’Europa unita, osservò Giovanni Paolo II, «è ancora più ampio lo spazio per la scuola cattolica, di sua natura aperta all’universalità», ma soprattutto «fondata su un progetto educativo, che evidenzia le radici comuni della civiltà europea. Anche per questa ragione è importante che in Italia la scuola cattolica non si indebolisca, ma trovi piuttosto nuovo vigore ed energie». Da qui il Pontefice invocò «un pieno riconoscimento della parità giuridica ed economica tra scuole statali e non statali, superando antiche resistenze estranee ai valori di fondo della tradizione culturale europea», ritenendo ovviamente insufficienti i passi sino ad allora (e sino ad oggi) compiuti in tal senso.
Alla politica papa Wojtyla chiese il rispetto del «diritto delle famiglie e dei giovani ad una piena libertà di scelta educativa» ed alla Chiesa chiese «ogni opportuno sforzo e collaborazione» tesi a «migliorare la qualità della scuola cattolica ed evitare di restringere ulteriormente i suoi spazi di presenza nel Paese». Una promozione con lode, insomma, è il caso di dirlo, ma anche un impegno ad orientare il sostegno, «la solidarietà e la simpatia di tutta la comunità ecclesiale, dalle Diocesi alle parrocchie, dagli istituti religiosi alle associazioni ed ai movimenti laicali» verso la scuola cattolica, che «rientra a pieno titolo nella missione della Chiesa».
Ancor più per questo amareggia constatare come oggi proprio in alcuni settori della Chiesa il clima sia cambiato e come addirittura alcuni Vescovi giungano a porre in discussione, quando non a mettere in dubbio, oltre al ruolo, anche l’importanza e l’efficacia della Scuola cattolica nella propria Diocesi. Ci è stato segnalato, in tal senso, l’intervento tenuto dal Vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, in occasione dell’Assemblea delle scuole cattoliche svoltasi lo scorso 6 ottobre dinanzi ad oltre 4.800 studenti (intervento peraltro registrato e pubblicato sul sito della sua Diocesi).
Dopo aver evidenziato come nella sue zona d’origine, Camerino, la presenza della Chiesa tra i banchi fosse merce rara, ha proseguito, affermando: «Dovete convertirmi alle scuole cattoliche. Dovete dimostrarmi il vantaggio, il guadagno formativo, spirituale, ecclesiale e quindi anche umano, che viene rispetto ad un impegno dei credenti nella scuola di tutti», vale a dire quella pubblica (indirettamente bollando la paritaria come “élitaria”…). Affermazioni sconcertanti e scoraggianti, non c’è che dire, benché non siano trascorsi anni luce da quel discorso, più che mai esaustivo, fatto da Giovanni Paolo II…
Certo, subito dopo mons. Napolioni ha precisato d’essere quasi stato “convinto” da quanto visto nelle scuole della sua Diocesi e sicuramente si obietterà anche come il suo discorso vada interpretato e contestualizzato, come va di moda fare nella Chiesa d’oggi, dove il dubbio metodico pare spesso aver occupato gli spazi che furono d’un Magistero inequivocabile… Tuttavia, ci sia consentito dire come si stesse meglio quando i pastori parlavano schiettamente al proprio gregge (ed ancor più agli altri), senza dover ricorrere a interpretazioni, a provocazioni o a battute più o meno riuscite. Quando cioè, come fece Pio XI nell’enciclica Divini Illius Magistri, si specificava non esservi «adeguata e perfetta educazione all’infuori dell’educazione cristiana», quando si definiva «contraria ai principi fondamentali dell’educazione la scuola cosiddetta neutra o laica», di fatto, in quanto tale, «irreligiosa», precisando: «Giacché, non solo per il fatto che vi si impartisce l’istruzione religiosa (spesso con troppa parsimonia) una scuola diventa conforme ai diritti della Chiesa e della famiglia cristiana e degna di essere frequentata dagli alunni cattolici. A questo effetto è necessario che tutto l’insegnamento e tutto l’ordinamento della scuola, insegnanti, programmi e libri, in ogni disciplina, siano governati dallo spirito cristiano» e ciò «in tutti i gradi, non solo elementare, ma anche media e superiore». Quel che oggi non avviene e che, quindi, rende ancor più preziosa la presenza della scuola cattolica, nelle Diocesi ove vi sia.
Leone XIII esortava i genitori a rivendicare «il diritto di educare come conviene i figli nel costume cristiano, specialmente tenendoli lontani da quelle scuole nelle quali corrono il pericolo di assorbire il veleno dell’empietà», forse perché ben consapevole dell’ammonimento di San Cipriano: «C’è un male peggiore della persecuzione, è l’avvelenamento perfido della mentalità», ciò che in questa società, schiava del modernismo, abbonda a danno di tutti, specie dei più giovani. E sarebbe bene che anche i Vescovi lo tenessero presente…
L.B. – Corrispondenza Romana