Venghino in chiesa, venghino siori e siore con l’ultimo show del prete clown. Si mangia, si beve e si fa festa per salutare il 2017. Non è teatro dell’assurdo, ma quanto è accaduto il 31 dicembre scorso a Marcellise, in provincia di Verona. Che ormai in chiesa si pranzi sembra cosa sdoganata, anche se mai sufficientemente stigmatizzata. Ma che la chiesa serva non solo come refettorio con la scusa dei poveri, bensì come luogo dato agli spettacoli notturni, con tanto di clownerie e gran finale col “3-2-1 buon anno!”, è cosa nuova che fa rabbrividire.
Se poi si aggiunge il fatto che il clown in questione altri non è che il parroco, il gioco è fatto. Il soggetto protagonista ha un nome e cognome: si chiama don Paolo Pasetto ed è il giovane titolare della parrocchia di Marcellise, inserita nell’unità pastorale di “San Martino vescovo” nel comune di San Martino Buonalbergo. Un prete sociale, e ti pareva, che nella località ha persino fondato una comunità chiamata “Sulle orme”. Un prete che con la scusa dell’apertura verso l’altro, con le sue stramberie liturgiche chiude la porta a tanti altri che vorrebbero soltanto un ministro di Dio e non un…, assist facile, pagliaccio.
Il video che mostriamo per la campagna #salviamolechiese ci arriva proprio da uno di loro. Un parrocchiano che dopo averlo ricevuto da uno dei partecipanti al veglionissimo di San Silvestro in chiesa, ha detto basta. La sfrontatezza liturgica di don Paolo infatti va avanti da tempo, persino nonostante le lettere inviate al vescovo di Verona, il quale formalmente, fino ad oggi si è sempre giustificato dicendo di non avere “prove” per inchiodare il sacerdote alle sue responsabilità. Che sarebbero quelle di tenere nel massimo onore il Signore nel suo tempio.
Perché non c’è soltanto l’una tantum del San Silvestro clownesco, dove peraltro ci si chiede se in quel giorno così simbolico, sia stato almeno proclamato il solenne canto del Te Deum. In chiesa don Paolo dà il peggio delle sue perfomance, soprattutto a messa. Stando infatti a quanto raccontano sul suo conto diversi sacerdoti, che secondo il principio della correzione fraterna dopo avergli parlato personalmente hanno provato col vescovo e ora allargano le braccia, don Paolo nella “sua” messa concentra tutto il caravanserraglio di obbrobri provenienti dal catalogo delle messe fai da te, al limite dell’invalidità. O comunque esplicitamente sacrileghe.
Almeno stando a quanto è stato rappresentato formalmente al vescovo anche recentemente, ad esempio, le parole della consacrazione vengono fantasiosamente modificate, il pane utilizzato è “diverso” da quello prescritto dalle norme liturgiche perché ci sia materia valida e lo stesso pane consacrato (?), a fine messa viene dato ai fedeli da portare a casa, come fosse la (absit iniuria) doggy bag. E poi la comunione fai da te, con i fedeli che si avvicinano alla mensa e prendono le particole da soli come andassero in frigo a farsi uno spuntino. E che dire della predicazione? A don Paolo deve piacere così tanto che la affida ai parrocchiani. La messa di Marcellise infatti, raccontano i bene informati, sembra un’assemblea di condominio.
La cosa imbarazza l’unità pastorale di San Martino tanto che il parroco moderatore, contattato dalla Nuova BQ, si limita a chiedere poco clamore perché il vescovo è informato della cosa. Ma il fatto è che il clamore ormai è esploso come un torrente impetuoso dato che è il sacerdote il primo a non mostrare nessun imbarazzo nella sua vita pubblica e pastorale. Che ha ricadute spirituali serie per le anime affidategli.
A cominciare dalla condizione in cui costringe i suoi parrocchiani, i quali vanno in giro a raccontare le aberrazioni liturgiche del loro parroco, non per esporlo al pubblico ludibrio, ma per avere un conforto spirituale da altri sacerdoti vista la grande sofferenza che provano. Perché il punto in fondo è questo: se proprio non si vuole riconoscere che la profanazione di un luogo sacro e della messa offendono Dio, forse si potrebbe meditare almeno sulla sofferenza che questo provoca nei fedeli che cercano semplicemente di tenere viva la fiammella della fede.
Perché la creatività liturgica, e questo certi liturgisti à la page non lo ammetteranno mai, ma è vero, porta dolore. Dolore in chi cerca un gancio in mezzo al Cielo e invece trova pagliacci intenti a glorificare il proprio ego, sofferenza nel vedere come il Salvatore possa essere umiliato e inchiodato ancora una volta alla croce nella sua casa, nel suo corpo. Insomma: don Paolo sarà anche un grande clown e un artista di strada affascinante, ma in molti fedeli sta provocando ferite spirituali che andrebbero rimarginate cominciando col ristabilire a chi spetta il culto e a chi l’onore. E’ forse l’unico modo per iniziare davvero a #salvarelechiese.
Andrea Zambrano in La NBQ