Di fronte alla confusione e al disorientamento provocati nei cattolici dal moltiplicarsi di interventi di pastori che svuotano di senso la fede che la Chiesa ha professato per venti secoli, cresce la domanda sul compito di quanti vogliono mantenersi fedeli alla vera Tradizione. Per questo ospitiamo volentieri la lettera inviataci da monsignor Antonio Livi, che indica una strada precisa e avvia un dibattito.
Caro direttore,
negli ultimi tempi tu hai avuto spesso occasione di polemizzare garbatamente con Avvenire, rilevando come sia diventato l’organo di quella che io definisco «l’eresia al potere». Io non posso che condividere la tua coraggiosa e disinteressata battaglia giornalistica, anche perché, come ben sai e a suo tempo hai riferito sul tuo giornale, già nel 2012 Avvenire, a firma del suo direttore Marco Tarquinio, mi “scomunicò” letteralmente per aver io osato criticare i discorsi eterodossi di Enzo Bianchi, regolarmente ospitati dal quotidiano ufficialmente cattolico tanto quanto dal quotidiano di orientamento massonico La Stampa.
A quel tempo Avvenire si presentava come «quotidiano di ispirazione cattolica, per amare chi non crede», il che poteva anche essere vero, ma bisognava aggiungere «per odiare chi invece crede».
In realtà, per compiacere l’eresia rahneriana che già nel 2012 era al potere nell’episcopato mondiale e tra i cardinali di Curia (e ancora papa Francesco non era succeduto a papa Benedetto e monsignor Galantino non era ancora il segretario generale della Cei), il quotidiano ufficialmente cattolico sosteneva soltanto gli autori che sapessero argomentare più o meno brillantemente contro il dogma e la morale della Chiesa Cattolica e a favore della Riforma luterana, ignorando o condannando tutti coloro che tentassero di argomentare contro l’eresia e a favore dell’ortodossia, e non in nome della Chiesa pre-conciliare ma in nome della Tradizione aggiornata al Vaticano II, quale è esposta nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ma il caso di Avvenire, per quanto scandaloso, non è che la conseguenza di quella che il cardinale Ratzinger, al momento di diventare papa Benedetto, deprecò come «dittatura del relativismo». Si tratta di una dittatura ideologica che si serve della «svolta antropologica» di Karl Rahner per svuotare di senso la fede che la Chiesa ha professato per venti secoli e ha formalizzato nei dogmi (vedi il mio trattato su Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca filosofia religiosa, terza edizione con aggiornamenti, Leonardo da Vinci, Roma 2017).
Viene svuotata di senso innanzitutto la nozione di Rivelazione dei misteri soprannaturali; poi viene sostanzialmente negato il dogma iniziale, quello della divinità di Cristo, rivelatore del volto del Padre e dell’azione dello Spirito Santo; di conseguenza, si rinnega l’intenzione salvifica di Cristo, il quale ha istituito la sua Chiesa perché «annunci il Vangelo a ogni creatura e faccia suoi discepoli tutti gli uomini».
La falsa teologia ha finito per presentare la Chiesa cattolica come una delle tante comunità religiose i cui meriti, agli occhi degli uomini del nostro tempo, sarebbero solo quelli “politici”, ossia la promozione dei diritti dell’uomo e della pace tra i popoli. Questa ideologia sta facendo scomparire dalla coscienza dei cattolici la verità (tradizionale, ma anche recentemente ribadita dal documento vaticano Dominus Iesus) circa l’unicità della Chiesa nel portare al mondo la salvezza che solo Cristo può donare.
Oramai, ben pochi cattolici sanno che cosa dicono quando nella liturgia domenicale viene proclamata dicendo: «Credo […] la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica». La fede nella missione divina della Chiesa fondata da Cristo viene meno quando si riesce a convincere i cristiani che nulla di quanto finora era ritenuto dogma e legge morale ha più valore, e che la Chiesa Cattolica deve “riformarsi” radicalmente, fino a scomparire per fondersi in una comunità etica universale, come vagheggia Hans Küng, che di Rahner è il più noto allievo. La “soluzione finale” alla quale puntano gli strateghi del relativismo dogmatico è il pensiero unico dell’umanesimo ateo (vedi il materiale documentario raccolto da Danilo Quinto in Disorientamento pastorale, con una mia Introduzione teologica, Leonardo da Vinci, Roma 2016).
Ma allora, che fare? Quello che si deve fare mi sembra evidente: alla prepotenza di chi, avendo un potere ecclesiastico di indottrinamento, ne abusa per snaturare i fini apostolici per i quali Cristo ha istituito la Chiesa, deve contrapporsi una sorta di resistenza attiva da parte di chi il potere non lo ha ma ha la coscienza del proprio dovere davanti a Dio.
Ognuno, secondo la propria condizione nella Chiesa, deve fare la sua parte,spinto dal dovere assoluto di professare personalmente la verità rivelata (virtù della fede) e di farla arrivare integra agli altri, sia nel dialogo diretto con quante più persone possibile, sia con l’uso dei mass media, ri-orientando così un’opinione pubblica cattolica ormai disorientata (virtù della carità). Tutto ciò va fatto, in ogni caso, nel rispetto delle singole persone che esercitano nella Chiesa una legittima autorità di magistero e di governo (questo richiede la virtù dell’obbedienza) e rispettando anche i limiti delle proprie conoscenze della storia della Chiesa delle diverse situazioni pastorali in tutto il mondo (questo richiede la virtù dell’umiltà) e soprattutto valutando il giusto rapporto tra i fini che ci si propone di raggiungere e i mezzi che tal fine si adoperano (questo richiede la virtù della prudenza).
Quando dico che ognuno, tenendo conto della propria condizione nella Chiesa, deve fare la sua parte, penso innanzitutto a quanto dovevano fare e in alcuni casi hanno fatto i vescovi cattolici, a cominciare da quelli appartenenti al collegio cardinalizio. Sono stati di grande esempio il cardinale Carlo Caffarra e gli altri tre cardinali (uno dei quali è poi morto) che presero l’iniziativa di esporre al Papa i cinque “dubia” riguardo alla dottrina contenuta nell’esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco. L’iniziativa sembra essere stata del tutto inutile, ma a prescindere dal suo esito pratico (che forse si rivelerà effettivo nel lungo periodo), essa ha fornito ai cattolici la conferma che taluni orientamenti dottrinali di quel documento pontificio sono passibili di interpretazione eterodossa e quindi vanno prima o poi rettificati dalla medesima autorità magisteriale che li ha prodotti.
Molti altri vescovi hanno preso iniziative analoghe, anche se meno pubbliche o meno notorie. Penso ad esempio agli interventi pubblici di monsignor Athanasius Schneider, vescovo di Astana in Kazakistan, come anche alle numerose lettere di allarme di fronte alla deriva relativistica della pastorale che monsignor Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia, indirizzò alla Santa Sede dal 1993 al 2009. Si tratta di considerazioni teologiche che furono pubblicamente apprezzate dai Papi cui erano indirizzate (san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), anche se a quegli apprezzamenti e condivisioni di criterio circa i pericoli per la fede derivanti dalla «dittatura del relativismo» non seguì alcun atto di governo che rimediasse a quella evidente deriva dottrinale.
Anche in questo caso, considero esemplare – a prescindere dall’efficacia pratica del momento – il comportamento coraggioso e sincero di quel vescovo, tanto che ho deciso di raccogliere e pubblicare quelle lettere in un volume di prossima uscita nelle librerie (Mario Oliveri, Un vescovo scrive alla Santa Sede sui pericoli del relativismo dogmatico, Leonardo da Vinci, Roma 2017).
Riguardo a tutte queste iniziative da parte dei vescovi – che io considero ispirate a sincero amore per la Chiesa e quindi a responsabilità pastorale, unitamente alla dovuta prudenza e al rispetto dell’autorità – ci sono state anche delle severe critiche da parte di chi, come il professor Roberto de Mattei, le ritiene troppo timide. L’autorevole storico, in un articolo pubblicato in Radici cristiane, sostiene che i quattro cardinali hanno parlato solo di “ambiguità” nei documenti del Magistero attuale, mentre avrebbero dovuto denunciare la presenza in essi di vere e proprie eresie. Io non condivido questa opinione, perché non mi sembra teologicamente corretto parlare, in riferimento ai discorsi e agli scritti di papa Francesco, di “eresie” in senso formale (in un capitolo del libro che ho prima citato, Teologia e Magistero, oggi, ho illustrato i motivi per cui è impossibile basarsi sull’ipotesi di un Papa eretico), così come non è prudente spingere i vescovi, e in particolare i cardinali, ad assumere iniziative che rappresenterebbero uno scisma ancora più drammatico di quello provocato dalle critiche di monsignor Lefevbre agli insegnamenti del Vaticano II e alla riforma liturgica che ne conseguì.
Quanto all’uso dei mass media, in Italia è davvero esemplare il lavoro che tu, caro direttore, stai svolgendo da tanti anni con La Nuova Bussola Quotidiana e con Il Timone, due testate (una quotidiana e l’altra mensile) che contribuiscono efficacemente a ri-orientare l’opinione pubblica cattolica con la tempestività degli interventi e con la competenza dei suoi numerosi e valenti collaboratori, tra i quali non posso non nominare l’ex arcivescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, e recentemente anche un laico come Stefano Fontana, particolarmente competente in materia di Dottrina sociale della Chiesa.
Quanto all’elaborazione di studi di critica teologica, per molti anni ha lavorato in tal senso monsignor Brunero Gherardini, già decano della facoltà di Teologia della Pontifica Università Lateranense, autorevole studioso della teologia luterana, il quale ha contribuito a precisare il significato dogmatico della nozione cattolica di Tradizione (alla quale sono estranee le ideologie dei cosiddetti “tradizionalisti” cattolici) con degli studi di grande valore storico-dogmatico, in uno dei quali ha anche pubblicato una “lettera aperta” al papa Benedetto XVI illustrandogli la necessità di intervenite autorevolmente, con un documento pontificio, per spiegare i criteri teologici per i quali egli ha sostenuto che gli insegnamenti del Concilio Vaticano II non sono mai in discontinuità con la Tradizione (è la teoria dell’«ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa»).
Monsignor Gherardini ha poi diretto fino al 2014 la rivista vaticana di critica teologica Divinitas, capace di una critica equilibrata e sempre scientificamente rigorosa delle tendenze ereticali che si andavano diffondendo all’interno delle istituzioni accademiche della Chiesa. Io stesso ho dato vita all’Unione apostolica “Fides et ratio” per la difesa scientifica della verità cattolica. Essa si esprime, in rapporto agli eventi dell’attualità, attraverso il sito www.fidesetratio.it ma ha anche patrocinato una collana di studi teologici intitolata “Divinitas Verbi”, il cui primo volume, Teologia e Magistero, oggi (a cura di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2017) accoglie studi di Serafino Lanzetta, Ignacio Andereggen ed Enrico Maria Radaelli.
Ma torno a quanto avevo posto in cima all’elenco dei doveri di resistenza di ogni cattolico: il dovere assoluto di professare personalmente la verità rivelata e di farla arrivare integra agli altri, nel dialogo di amicizia con quante più persone possibile.
Antonio Livi in
La NBQ