A Padova il vescovo acconsente senza batter ciglio alla richiesta di un medico di vaccinare in chiesa, contravvenendo alle stesse disposizioni della Cei. Non c’erano altri luoghi? «Sì, ma io frequento quella parrocchia», dice il medico alla Bussola. Una falsa carità che svela come ormai il vaccino sia un idolo di fronte a cui inginocchiarsi.
Quando il vaccino chiama tutti si mettono sull’attenti. Un esempio di come la campagna vaccinale rappresenti ormai una priorità su tutto e tutti ci arriva da Padova dove il parroco della chiesa di San Paolo ha messo a disposizione la chiesa per effettuare gli inoculi. “Vaccino in chiesa”, titolano entusiasti i giornali locali. Non è la prima volta che accade, ma è la continuazione di quella che ormai sta diventando un’abitudine che calpesta il sacro ed eleva il siero a nuovo idolo di fronte al quale tutto si deve fermare e tutto si deve regolare senza neppure interrogarsi.
Siamo nel quartiere Sant’Osvaldo di Padova. È qui che il parroco don Paolo Rizzato ha ricevuto la richiesta di un medico di medicina generale di poter utilizzare la chiesa per effettuare le vaccinazioni dei suoi pazienti. Il sacerdote, ben contento della richiesta e per nulla dubbioso circa l’inopportunità della cosa, oltre che la sua legittimità secondo le norme canoniche, ha sottoposto il quesito al vescovo patavino Claudio Cipolla e in men che non si dica, la dottoressa ha ottenuto il placet di poter vaccinare i suoi pazienti dentro il tempio. Appuntamento per questa mattina, tra le due messe del giorno.
Problemi? Neanche uno, stando a quanto riferisce Daniela Toderini alla Bussola. Tutto avviene sull’onda della vaccinocrazia che come un rullo compressore schiaccia tutto, figuriamoci le perplessità.
«Anzitutto non è una location insolita – spiega la dottoressa -. L’hanno fatto anche a Palermo e poi ricordo che in alcune chiese sono stati accolti molti senza tetto in passato, i quali hanno bivaccato per diversi giorni. Il mio ambulatorio non è capiente a sufficienza mentre la chiesa possiede le caratteristiche ideali».
Chiediamo perché non si sia rivolta all’Asl di Padova, lei che ne è dipendente, oppure all’hub vaccinale allestito in Fiera a Padova. Risposta: «Perché i miei pazienti sono anziani e non voglio scomodarli con i mezzi pubblici e poi io sono un medico di medicina generale e non vado a vaccinare in hub».
Insistiamo: nei paraggi del suo ambulatorio c’è anche un cinema, il Rex, che guarda caso è chiuso e anche una bocciofila, anch’essa chiusa, oltre a un circolo tennis. Insomma: anche ammesso di non poter ricorrere all’hub in Fiera, ci sarebbero altre strutture che potrebbero ospitare i suoi pazienti. «Sì, il cinema potrebbe andare bene – prosegue -, ma la chiesa ha caratteristiche ancora più adatte, areazione, uscite etc… e poi: frequento la parrocchia e conosco il parroco. Mi è venuto più semplice chiedere a lui».
Ecco svelato l’arcano. Non essendo in uno sperduto villaggio del Burundi, dove la chiesa spesso è l’unico luogo coperto da un tetto e igienicamente accettabile, ma in una delle città più importanti del Veneto, che bisogno c’era di utilizzare una chiesa?
È chiaro che tutte le motivazioni che hanno animato la dottoressa Toderini avrebbero dovuto essere vagliate dall’autorità ecclesiale che si sarebbe dovuta chiedere se fosse opportuno aprire le porte di un luogo di culto per questo scopo, se proprio, insomma, non c’era altra strada da percorrere per evitare una profanazione come quella che invece avverrà stamattina.
Ma questa domanda, se non è obbligatorio che se la faccia un medico, dovrebbe essere di rigore da parte dell’autorità ecclesiastica. Invece a Padova, dal vescovo in giù sono apparsi tutti d’accordo: il vaccino è la cosa più importante, se un medico chiama, bisogna accontentarlo perché questo è ciò che conta davvero oggi. E bisogna accontentarlo anche se le motivazioni della richiesta, la comodità o la vicinanza per i pazienti, non stanno in piedi. Anzi, per certi versi appaiono quasi come una pretesa scientista: siccome io sono medico e il vaccino è il nuovo idolo, fatevi da parte e non discutete.
Il comunicato stampa della diocesi sprizza entusiasmo da ogni poro e anche al telefono la portavoce del vescovo si stupisce delle nostre domande insistenti non appena le ricordiamo che la stessa Cei, nell’invitare il cardinal Bassetti tutti i vescovi e i parroci a mettere a disposizione le parrocchie, si è premurata di specificare che i luoghi di culto erano esclusi dalla campagna vaccinale. Invece, come abbiamo visto anche altrove, qualcuno fa finta di niente oppure pensa di potersi giustificare dietro una scusa sempre più valida della regola, tanto nessuno controllerà e nessuno interverrà, soprattutto se c’è il timbro della benedizione episcopale.
La storia di Padova condensa in un solo fatto di cronaca tre elementi ormai portanti di una Chiesa di Stato ormai senza più alcuna identità: anzitutto il vaccino come idolo al quale piegarsi senza fare domande, proni a qualunque tipo di richiesta come se all’infuori del vaccino non ci fosse nient’altro, neppure la ragione. In secondo luogo la chiesa come luogo polivalente per qualunque tipo di servizio come è stato evidenziato dalla campagna #salviamolechiese: si è cominciato con i pranzi di solidarietà, si è proseguito con gli spettacoli, ora il convento passa le vaccinazioni.
Infine il falso solidarismo che spaccia per carità cristiana quello che è invece è solo opportunismo e disinteresse verso le stesse regole che i vescovi si sono dati. Un quadro desolante che proietta la Chiesa e le chiese di mattoni nell’irrilevanza più totale, che oggi vengono usate per uno scopo e domani verranno richieste per altri.
La diocesi ha precisato che la mini-campagna durerà solo per oggi e per una cinquantina di pazienti che si vaccineranno stamattina, ma si è resa disponibile a riaprire la chiesa qualora ce ne fosse la necessità. A precisa domanda, la dottoressa Toderini ci ha detto di avere mille vaccini da fare. Campa cavallo…
A. Zambrano in LNBQ