Le sei sfide antropologiche dell’instrumentum laboris presentato ieri in vista del Sinodo dei giovani sono un elenco di questioni che è difficile definire nuove. Come il fatto che i «giovani non condividono» gli insegnamenti della Chiesa su «contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio». E su tutto ricompare il compito «centrale» svolto dalla coscienza. È il cuore del cosiddetto «nuovo paradigma» visto all’opera nel Sinodo precedente sulla Famiglia.
L’Instrumentum laboris che costituirà la base di partenza per i lavori del sinodo dei vescovi sui giovani, che si terrà a Roma nel prossimo ottobre, è stato presentato ieri. Frutto di una precisa volontà di raccogliere le voci dei giovani di tutto il mondo il documento si presenta come una specie di sommario di vari temi più o meno abbozzati, oppure come una sorta di fotografia della situazione giovanile. Dovrebbe essere poi la discussione dei vescovi chiamati a Roma dal 3 al 28 ottobre 2018 a orientare le indicazioni.
Tuttavia, qualche elemento di riflessione emerge spulciando il lunghissimo instrumentum laboris costituito di ben 214 paragrafi e tre parti essenziali.
Il primo aspetto che ha generato qualche perplessità è costituito dal metodo stesso. Il Papa in più occasioni ha chiesto di “ascoltare i giovani”, senza museruole, né con domande preconfezionate. C’è «la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso», aveva detto Francesco lo scorso marzo rivolgendosi ai 300 giovani dei cinque continenti, giunti in Vaticano per il pre-Sinodo. Il problema è che da quella riunione era uscito un documento che ha sollevato qualche perplessità in alcuni giovani che erano collegati tramite social da varie parti del mondo e che dovevano dare il loro contributo al testo. Secondo alcuni di loro appartenenti al gruppo di lingua inglese, in realtà il documento finale del pre-sinodo sembra non prendere in considerazione le loro valutazioni; comunque il testo esprimeva molte argomentazioni già sentite sulla chiesa retrograda, incapace di parlare ai giovani, troppo potente, etc., insomma nulla di particolarmente nuovo e originale.
In effetti l’instrumentum laboris nelle sei sfide antropologiche elenca una serie di questioni che è difficile definire nuove, si tratta spesso di un già sentito. Peraltro, il testo di lavoro riprende in gran parte ciò che è emerso dai vari questionari preparatori somministrati sia ai soliti attori (i Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche, le Conferenze Episcopali, i dicasteri della Curia Romana e l’Unione dei Superiori Generali), ma anche ai giovani on line, poi a quelli della già citata riunione pre sinodale, quindi anche altri contributi che sono arrivati spontaneamente alla segreteria del sinodo.
Non è certo una grande novità leggere che ci sono giovani che «non condividono» gli insegnamenti della Chiesa su questioni dibattute, quali «contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio», mentre altri li considerano «una gioia» (n. 53). E forse non lo è nemmeno il contributo che «alcuni giovani LGBT, attraverso vari contributi giunti alla Segreteria del Sinodo, desiderano “beneficiare di una maggiore vicinanza” e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa, mentre alcune Conferenze episcopali si interrogano su che cosa proporre «ai giovani che invece di formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e, soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa» (n. 197). Non è una novità perché sappiamo come diversi uomini di chiesa, uno su tutti è il gesuita statunitense James Martin, da tempo sono impegnati a costruire ponti verso il mondo Lgbt, non soltanto come vicinanza alle singole persone, ma come attenzione alle istanze ideologiche di quella realtà. Sebbene il Papa abbia anche recentemente chiarito che per la Chiesa l’unica famiglia pensata dal progetto di Dio è quella tra uomo e donna.
Certo, questo è semplicemente uno strumento di lavoro e quindi bisognerà poi attendere i risultati dell’assemblea dei vescovi in ottobre. Però, avendo seguito attentamente i lavori del doppio sinodo sulla famiglia, sappiamo che l’instrumentum laboris contiene già dei piccoli semi che potrebbero poi essere fatti germogliare successivamente.
A questo proposito risulta particolarmente significativo il numero 116 del documento presentato ieri, laddove si parla del ruolo della coscienza nel discernimento. Viene riconosciuto il compito «centrale» svolto appunto dalla coscienza e che esso «non si riduce al riconoscimento di essere nell’errore o nel peccato: nella consapevolezza dei limiti personali o della situazione, e di tutte le difficoltà a orientarsi, essa aiuta a riconoscere quale dono possiamo offrire e quale contributo portare, anche se magari non pienamente all’altezza degli ideali». Il riferimento è facilmente riscontrabile al paragrafo n. 303 di Amoris laetitia, all’interno del discusso capitolo VIII dell’esortazione.
Questa «coscienza», si legge in Amoris laetitia, «può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo».
È il cuore del cosiddetto «nuovo paradigma» che molti teologi leggono in Amoris laetitia e che altri pastori hanno criticato, basti pensare ai famosi dubia dei quattro cardinali che si ponevano il problema del rischio di una coscienza creativa già stigmatizzata dall’enciclica Veritatis splendor di Giovanni Paolo II.
Lorenzo Bertocchi in La NBQ