Paola Desi e Maria Grimaldi sono una coppia omosessuale che vive a Priolo in provincia di Siracusa. Dato che Paola è disabile, Don Sebastiano Gulinello, il parroco della chiesa che frequentano le due donne, aveva dato incarico ad un suo delegato di portarle la comunione ogni domenica a casa. Poi il 3 aprile scorso le due donne si uniscono civilmente e il parroco decide di non comunicare più Paola. Così Don Sebastiano: “Purtroppo non posso farci niente, io le conosco e mi dispiace, non è un fatto personale è una legge della Chiesa! Io seguo il Catechismo ma questo non significa che il Signore non voglia bene a queste due donne. Loro possono venire in Chiesa e continuare a seguire la loro fede, ma la comunione non posso dargliela, non è un mio capriccio.
Secondo me poi il loro errore è stato pubblicizzare il loro matrimonio su Facebook, lo hanno visto tutti e la gente non lo accetta. Persino l’Arcivescovo mi ha telefonato chiedendomi se questa coppia frequentava la chiesa e mi ha ribadito che per loro le porte sono aperte, ma che non avrebbero potuto accedere al sacramento dell’Eucarestia”.
Il principio generale in merito alle disposizioni necessarie per ricevere l’Eucarestia possiamo rinvenirlo nel documento di Giovanni Paolo II Reconciliatio et paenitentia. Il Santo Padre ad un certo punto sta parlando di quanti vivono non in grazia di Dio e appunta: “la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, finché non abbiano raggiunto le disposizioni richieste” (n. 34). Più nello specifico e limitatamente al caso che a noi qui interessa, Il Codice di diritto canonico al canone 915 così dispone: “Non siano ammessi alla sacra comunione […] gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”.
Questo canone sintetizza il pensiero di Tommaso D’Aquino: “Riguardo ai peccatori bisogna distinguere. Alcuni sono occulti; altri manifesti o per l’evidenza dei fatti, come i pubblici usurai e i rapinatori; oppure per la sentenza di un tribunale ecclesiastico o civile. Ebbene, ai peccatori manifesti non si deve dare la santa comunione, neanche se la chiedono. Scrive in proposito S. Cipriano: ‘Per la tua gentilezza hai creduto di dovermi chiedere il parere sugli istrioni [al tempo era una categoria di persone dedite al vizio Ndr] e su quello stregone che, stabilitosi in mezzo a voi, continua ancora nel suo vergognoso mestiere: se a costoro si debba dare la comunione come agli altri cristiani. Credo che disdica e alla maestà divina e alla disciplina evangelica lasciar contaminare la santità e l’onore della Chiesa da contagi così turpi e infami'” (Summa Theologiae, III, q. 80, a. 6 c.).
Per il Codice di diritto canonico e per Tommaso le signorine Desi e Grimaldi dunque dovevano essere considerate peccatrici manifeste e responsabili di peccato grave secondo la Chiesa (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357), già prima che pubblicassero su Facebook la notizia della loro unione civile e già prima della celebrazione dell’unioni civile. Lo erano già ad esempio quando sono andate a vivere assieme. Fin da allora il parroco doveva astenersi dal dare loro la comunione.
L’associazione Stonewall GLBT Siracusa è scesa in campo. Citiamo alcuni stralci della dichiarazione resa da Alessandro Bottaro, suo presidente: “Se la cosa non fosse stata resa pubblica nessun problema. […] L’amore fra due donne che se resta celato nell’ombra può essere tollerato, pubblicamente invece dileggiato e discriminato con l’esclusione peggiore”. Dato che Bottaro fa la glossa al pensiero della Chiesa occorre verificare, tramite la “VAR dottrinale”, cosa la Chiesa dice sul punto per vedere se l’interpretazione del presidente di Stonewall è corretta.
Le condotte omosessuali sono di per sé intrinsecamente disordinate al pari della condizione omosessuale (cfr. CCC n. 2357), sia che siano palesi che occulte. La Chiesa quindi non le tollera mai. La pubblicità o meno di un peccato grave rileva invece ad esempio sull’ammissione alla santa comunione. Se il peccato è occulto, ossia esistente ma sconosciuto, il sacerdote deve dare la comunione.
Sempre Tommaso nel medesimo luogo citato sopra così si esprime: “Invece se i peccatori non sono notori ma occulti, non si può negare la santa comunione quando la chiedono. Perché, essendo ogni cristiano ammesso alla mensa del Signore per il fatto che è battezzato, non gli si può togliere il suo diritto se non per una ragione manifesta. […] S. Agostino afferma: ‘Noi non possiamo escludere nessuno dalla comunione, se non nel caso che abbia spontaneamente confessato la sua colpa, o sia stato processato e condannato da un tribunale ecclesiastico o civile’. Nondimeno il sacerdote che è al corrente della colpa, può ammonire privatamente il peccatore occulto, oppure avvertire genericamente tutti in pubblico di non accostarsi alla mensa del Signore prima di essersi pentiti dei propri peccati e riconciliati con la Chiesa. Poiché dopo il pentimento e la riconciliazione, non si può negare la comunione neppure ai peccatori pubblici, specialmente in punto di morte”.
Tommaso ci sta dicendo che, in primo luogo, dopo una valida confessione anche il peccatore manifesto può accedere alla comunione, magari in certe particolare modalità così da evitare scandali. In secondo luogo il peccato occulto è quello non certo, magari possibile, addirittura probabile, ma non certo. Facciamo un esempio: ci sono delle dicerie che riguardano alcune condotte assai gravi di Tizio e che giungono alle orecchie del sacerdote.
Cosa deve fare costui? Dovrà privatamente incontrare questa persona, chiedere spiegazioni, semmai ammonirla se ha ancora qualche dubbio e ricordare a tutti che occorre essere in grazia di Dio per accostarsi alla santa comunione, ma se poi Tizio, una volta che avesse assicurato al sacerdote che sono solo dicerie, si presentasse per ricevere la comunione, il sacerdote dovrà concederla.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma nel dubbio non sarebbe meglio non dargliela? Risponde sempre l’Aquinate: “Sebbene per un peccatore occulto sia peggio peccare mortalmente ricevendo il corpo di Cristo che essere infamato, tuttavia per il sacerdote che lo amministra è peggio peccare mortalmente infamando ingiustamente un peccatore occulto, che permettergli di peccare mortalmente; perché nessuno deve commettere un peccato mortale per evitare la colpa di un altro. Perciò S. Agostino ha scritto: ‘È una compensazione pericolosissima commettere noi qualche cosa di male allo scopo che un altro non faccia un male più grave’. Il peccatore occulto però da parte sua è tenuto a preferire l’infamia alla comunione sacrilega” (Summa Theologiae, III, q. 80, a. 6, ad 2).
Il Maestro domenicano sta spiegando che se un sacerdote rifiuta di dare la comunione ad una persona perché pensa che abbia peccato mortalmente ma non ne ha la certezza, compie lui stesso peccato mortale perché sceglie di infamare la persona. Poco importa, relativamente a tale peccato mortale, che questa persona davvero non sia in stato di grazia, ciò che rileva è il giudizio dato senza prove certe: un azzardo grave che occorre sempre evitare. E dunque il sacerdote non può peccare mortalmente per evitare che quella persona comunicandosi compia forse un atto sacrilego. Di contro il peccatore occulto, che ha compiuto un peccato mortale, non deve mai comunicarsi e se il sacerdote gli rifiuta la comunione, anche senza prove certe, per lui questo fatto rappresenta solo una grazia, perché gli evita di compiere un atto sacrilego, gli evita – come dice San Paolo – di mangiare la propria condanna (1 Cor. 11, 29)
Torniamo alle parole di Bottaro il quale così prosegue: “La solita schizofrenia cattolica dell’accogliere la persona omosessuale, purché si eviti di esserlo”. Non c’è schizofrenia nell’accogliere la persona che pecca, ma non il peccato della persona. Il cristiano accoglie la persona peccatrice non purché eviti di essere peccatrice, ma nonostante sia peccatrice. Anzi: proprio a motivo del fatto che è peccatrice abbisogna di maggiore accoglienza affinché non sia più tale. E’ noto infatti che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm. 5, 20). In conclusione sono da rigettare queste parole di Bottaro: “Stonewall da sempre denuncia questa visione distorta della religione cattolica, che nulla ha a che fare con la fede”, dato che sono i suoi giudizi a distorcere il senso della religione e della fede cattolica.
Un’ultima annotazione che riguarda invece la presa di posizione del presidente di Arcigay di Siracusa, Armando Caravini che così si esprime sul caso delle due donne: “Trovo inaccettabile quanto accaduto e chiedo immediatamente un incontro con il Vescovo di Siracusa per poter approfondire l’accaduto e poter trovare, in maniera celere, una soluzione ad una situazione che ha del paradossale con la speranza che il Vescovo possa darci spiegazioni su questo triste accaduto e prendere una posizione”.
Sinceramente pare a noi paradossale la volontà di mercanteggiare sulla dottrina cattolica e sulla relativa disciplina normativa della Chiesa, quasi che le verità e le norme a tutela di queste potessero essere in qualche modo oggetto di un accordo convenzionale, come se si dovesse aprire un tavolo di trattativa tra i sindacati del comparto gay e la Chiesa cattolica che non vuole dare la giusta retribuzione eucaristica ai suoi fedeli lavoratori.
Sulla santissima Eucarestia non si può mediare, né trovare un accordo perché Cristo eucarestia non è nella disponibilità di nessuno. Che poi debbano essere i rappresentati di realtà gay ad indicare come si debba interpretare la fede cattolica, la dice molto lunga sui cosiddetti segni dei tempi.
(Tommaso Scandroglio, La Nuova Bussola Quotidiana, 26 giugno 2018)