Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Parola del Signore
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Vi annuncio una gioia grande, un segno, un annuncio, questo è quanto ci suggerisce il Natale del Signore e la Parola che abbiamo ascoltato.
– Vi annuncio una gioia grande … dice il Vangelo. Signore vogliamo che tu ci illumini di questa gioia, anche se il nostro cuore è ancora un lacerato, perché don Alessandro è voluto andare a celebrare Natale lassù, anche se siamo convinti che in questo momento è vicino a noi, ma anche noi siamo vicini a lui, in quel Signore che viene nell’ umiltà e nella debolezza. Ancora il nostro grazie, ma nello stesso tempo l’impegno per accogliere un segno, piccolo, come è piccolo un bimbo appena nato. Allora lasciamoci prendere, inondare, direi quasi ubriacare da questa gioia, come accade ai genitori di un bimbo nato.
– Quello che abbiamo davanti a noi è un segno piccolo, debole anche perché porta in sé tutta la sua fragilità umana, tranne quella del peccato. “Un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” . Quel bimbo diventa il segno di tutti gli indigenti della terra e in un modo particolare dei bambini che soffrono per l’egoismo di un mondo che ricco cerca di soddisfare ben oltre le esigenze, povero non ha nulla e non fa nulla per alleviare le loro sofferenze. In quel bimbo vi sono tutti gli scartati della terra, che non hanno voce, non hanno diritti, non hanno forza.
– L’ annuncio è un annuncio di pace. Non una pace che si fonda sugli armamenti, pensate un miliardo e 800 milioni di dollari, gli ultimi stanziati, ma che si fonda sull’ umiltà, sulla consapevolezza della nostra fragilità, ma soprattutto sulla nostra difficoltà di amare come ama il Signore che diventa dono e diventa perdono. La logica del dono è una logica difficile da praticare e a volte anche da accettare verso chi si rivolge, ma è la logica dell’ amore che ci viene ad insegnare quel bimbo che ora contempliamo nel presepe, ma che poi vedremo sulla croce.
Andiamo fino a Betlem. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto non sia stato per i pastori. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti, e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d’Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi
patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste… per andare a trovare che? “Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia.
Andiamo fino a Betlem, come i pastori. L’importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la pena lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di avere sbagliato percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi dell’onnipotenza di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove egli continua a vivere in clandestinità.
(Don Tonino Bello)
Auguri di buon Natale a tutti e tu da lassù don Alessandro non farci mancare i tuoi.
Qy, diacdon