MUORE A 12 ANNI DOPO 3 GIORNI DI AGONIA (MA I GIORNALI HANNO DIMENTICATO DI DIRE CHE…) Sofia è stata dichiarata cerebralmente morta e i genitori hanno dato l’assenso per l’espianto degli organi (quindi… non è morta per l’incidente, ma per la sospensione dei sostegni vitali)

«Sofia muore a 12 anni dopo tre giorni di agonia», titolano le cronache in relazione al tragico incidente occorso ad una ragazza di Parma rimasta intrappolata sul fondo della piscina di uno stabilimento balneare della Versilia, per cause ancora in via di accertamento. Sofia era stata soccorsa, rianimata e portata in gravissime condizioni all’ospedale Opa di Massa dove i medici hanno fatto tutto il possibile per salvarle la vita. In seguito, si è verificato un peggioramento delle condizioni cliniche della paziente per cui l’equipe medica ha deciso di avviare la procedura per la dichiarazione della morte cerebrale, come prescritto dalla legge. Dopodiché Sofia è stata dichiarata cerebralmente morta e i genitori hanno dato l’assenso per l’espianto degli organi ma la procura ha acconsentito solo al prelievo delle cornee (ilmessaggero.it, 17 luglio 2019).

IL FAMIGERATO TEST DI APNEA
Ora, c’è da tenere in considerazione che la procedura di accertamento della morte cerebrale consiste in una serie di prove, tra cui il famigerato test di apnea. Attraverso tale esame si misura la capacità dell’individuo di regolare volontariamente (ossia in maniera automatica) la frequenza respiratoria in un dato momento. Se ad esempio decidiamo di trattenere il respiro (apnea) possiamo imporre la non attivazione del respiro spontaneo per un certo lasso di tempo (variabile per ciascuno di noi). Tuttavia, c’è un limite oltre il quale il nostro organismo impone la respirazione a prescindere dalla nostra volontà, pena la morte per asfissia. Il test di apnea non fa altro che produrre una situazione di accumulo di anidride carbonica nel sangue (con un valore soglia che corrisponde a 60 millimetri di mercurio) per verificare se si attiva spontaneamente un atto respiratorio. Il test prevede la de-connessione del paziente dal respiratore automatico per almeno 5 minuti e deve essere ripetuto per ben tre volte durante il periodo di osservazione; inoltre, il paziente deve essere libero da farmaci in grado di deprimere la funzione ventilatoria, in particolare oppioidi e curari. Inutile sottolineare che il test di apnea presenta diverse criticità per il semplice fatto che il paziente, a cui vengono di fatto sospese le cure, viene sottoposto a procedimenti invasivi che possono portare ad un peggioramento del suo quadro clinico e financo alla sua morte. Non occorre essere degli scienziati o degli esperti in materia per capire che togliere la possibilità di respirare ad un individuo che versa in condizioni critiche, per ben 5 minuti e per tre volte, non sia propriamente un toccasana per la sua salute. Nello specifico, è un po’ come se Sofia fosse stata più volte rimmersa nella piscina da dove era stata tirata fuori per verificare le sue capacità respiratorie…

DOMANDE SENZA RISPOSTA
Colpisce inoltre l’aleatorietà dell’intero processo di accertamento della morte, a partire dalla decisione di avviare le procedure.
– Perché dopo tre giorni l’equipe medica ha deciso di verificare la morte cerebrale della paziente e non subito oppure dopo una settimana o un mese?
– Cosa è cambiato nel frattempo e quali elementi oggettivi hanno indotto i medici a sottoporre la paziente agli invasivi test di accertamento invece di insistere solamente con le cure del caso?
– In più, i test predittivi della morte cerebrale sono affidabili al di là di ogni ragionevole dubbio?
– La morte cerebrale è vera morte?
In realtà, di una cosa sola siamo certi: la sfortunata ragazza non è morta per cause riconducibili direttamente all’incidente occorsole bensì per la sospensione dei sostegni che la tenevano in vita. La legge prevede infatti che una volta accertata la cosiddetta morte cerebrale il paziente venga trattato alla stregua di un cadavere. Nel caso di un accertato donatore egli viene tenuto in vita solamente allo scopo di preservare i suoi organi. Ma almeno il consenso al trapianto è realmente libero ed informato? In altre parole, la cosiddetta donazione degli organi è veramente tale?
Ai genitori di Sofia non è stato chiesto il permesso di avviare la procedura di accertamento della morte né sono stati adeguatamente informati circa i rischi che tale procedura comporta. In realtà, per chi si viene a trovare in circostanze simili l’unica scelta possibile è la morte che si vuole riservare al proprio caro: in seguito all’espianto degli organi oppure all’abbandono delle terapie e al distacco dei sostegni vitali.

Titolo originale: Eutanasia: i lati oscuri della morte cerebrale
Fonte: Corrispondenza Romana, 31 Luglio 2019
Pubblicato su Basta Bugie 628
Alfredo De Matteo

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