L’Europa cerca soluzioni e risposte alla crisi determinata dai flussi di migranti illegali e dalla svolta dell’Italia, non più disposta a continuare a essere il ricettacolo dell’immigrazione clandestina. Eppure un modello di riferimento e di provato successo esiste ed è solo da imitare: l’Australia con la sua politica dei respingimenti.
L’Europa cerca soluzioni e risposte alla crisi determinata dai flussi di migranti illegali e dalla svolta dell’Italia, non più disposta col governo Conte a continuare a essere con la Grecia il ricettacolo di tutta l’immigrazione clandestina diretta nella Ue.
Eppure un modello di riferimento e di provato successo esiste ed è solo da imitare, quello australiano che non ha mai incoraggiato l’immigrazione clandestina, valutandola come un fenomeno di criminalità da combattere. “Nonostante gli ampi spazi oceanici che la circondano, l’Australia ha dovuto far fronte negli anni scorsi a crescenti flussi di immigrati illegali e richiedenti asilo provenienti per lo più da sud–est asiatico, Iraq e Afghanistan” l’autore di questo articolo sottolineava con Giuseppe Valditara e Giancarlo Blangiardo nel libro “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” (Aracne 2017). “Non si tratta di numeri paragonabili a quelli registrati in Italia, dove gli spazi marittimi da percorrere sono più ristretti, ma nel 2013 in Australia si registrò il record degli sbarchi illegali con 20 mila arrivi”.
La risposta del governo del Partito Liberale guidato all’epoca da Tony Abbott fu il varo dell’Operazione Sovereign Borders con l’impiego della Guardia Costiera per respingere le imbarcazioni di immigrati illegali e riaccompagnarle nelle acque territoriali dei Paesi da dove erano salpati, generalmente Indonesia e Sri Lanka, con i quali Canberra ha stipulato accordi simili a quelli che l’Italia ha col governo libico di Fayez al-Sarraj. Non vi sono mai state vittime tra i migranti illegali. Le imbarcazioni in buono stato venivano trainate mentre i militari australiani fornivano cibo, acqua e assistenza sanitaria a chi ne avesse bisogno. In caso di imbarcazioni in pessime condizioni o qualora i migranti riuscissero a sfuggire ai controlli e a raggiungere la costa australiana, questi venivano trasferiti nei centri d’accoglienza in Papua Nuova Guinea e nell’isola–Stato di Nauru in cui potevano chiedere asilo, ma non all’Australia.
Canberra ha attuato un notevole sforzo anche in termini di comunicazione e deterrenza con la campagna “No way” tradotta in 17 lingue con manifesti e spot diffusi in molti Paesi asiatici in cui si scoraggiano i migranti a partire. L’immagine di una piccola barca in balìa dell’oceano, accompagnata dalla frase “Non c’è modo di stabilirsi in Australia arrivando illegalmente via mare”, esortava a non fidarsi dei trafficanti. «Se viaggiate in mare verso l’Australia senza un visto, sappiate che non farete mai dell’Australia la vostra casa. Questo vale per tutti: famiglie, bambini non accompagnati, persone istruite e lavoratori specializzati. Non ci saranno eccezioni», affermava con tono sicuro il generale Angus Campbell, dal 2013 al 2015 comandante dell’operazione Sovereign Borders. “La politica australiana è quindi esattamente opposta a quella adottata in Europa e i risultati sono infatti molto diversi: nessun morto in mare negli oceani australiani contro le migliaia di vittime nel Mediterraneo; ripristino della legalità contro il trionfo del crimine organizzato; certezza che i clandestini non riceveranno il permesso di soggiorno in Australia contro la pretesa (soddisfatta per molti immigrati illegali) di scegliere il Paese europeo dove stabilirsi; l’efficace deterrenza australiana contrapposta al gonfiarsi dell’emergenza in Europa” si sottolineava nel libro citato .
L’operazione Sovereign Borders e la campagna mediatica “No Way” sono stati un successo: nel primo anno, tra il settembre 2013 e l’ottobre 2014, sono arrivate nelle acque australiane soltanto 23 imbarcazioni con 1.350 persone a bordo e solo una è riuscita a raggiungere la costa australiana senza essere intercettata. Nel maggio 2015 il premier Abbott sottolineò che «nel bloccare le imbarcazioni abbiamo anche salvato delle vite» aggiungendo che «l’operazione Sovereign Borders è una lezione che oggettivamente tutti gli Stati dovrebbero imparare ad applicare». Chiaro il riferimento all’Unione Europea la cui risposta venne affidata alla portavoce Natasha Bertaud che precisò: «La UE applica il principio di non–respingimento. Non abbiamo intenzione di cambiare questo principio, quindi il modello australiano non sarà mai un modello valido per noi».
Una risposta incauta non solo perché provocò un’impennata dei flussi migratori verso la Ue, sancendo la rinuncia dell’Europa a controllare i suoi confini, ma soprattutto perché (mai dire mai!) oggi che l’Unione è dilaniata dalla crisi dei migranti illegali in molti invocano respingimenti o blocchi navali che assomigliano molto alla ricetta australiana.
Gianandrea Gaiani in la NBQ