La “correzione filiale” indirizzata a papa Francesco da oltre 60 studiosi cattolici e pastori della Chiesa ha avuto in tutto il mondo uno straordinario impatto. Non è mancato chi ha cercato di minimizzare l’iniziativa affermando che il numero dei firmatari «è limitato e marginale».
Ma se l’iniziativa è irrilevante, perché le ripercussioni sono state tanto ampie, su tutti i media dei cinque continenti, compresi paesi come la Russia e la Cina? Una ricerca su Google News, ricorda Steve Skojec su One peter five ha dato il risultato di oltre 5.000 notizie, mentre oltre 100.000 sono le visite sul sito www.correctiofilialis.org in 48 ore.
L’adesione su questo sito è ancora aperta, anche se solo alcune firme saranno rese visibili. È necessario ammettere che la ragione di questa eco mondiale è una sola: la verità può essere ignorata o repressa, ma quando si manifesta con chiarezza ha una sua forza intrinseca ed è destinata a diffondersi. Il principale nemico della verità non è l’errore, ma l’ambiguità. La causa della diffusione di errori ed eresie nella Chiesa non è dovuta alla forza di questi errori, ma al colpevole silenzio di chi dovrebbe difendere a viso aperto la verità del Vangelo.
La verità annunciata dalla “correzione filiale” è che papa Francesco, attraverso una lunga serie di parole, atti e omissioni, «ha sostenuto, in modo diretto o indiretto (con quale e quanta consapevolezza non lo sappiamo né vogliamo giudicarlo)» almeno «sette proposizioni false ed eretiche, propagate nella Chiesa tanto con il pubblico ufficio quanto con atto privato». I firmatari insistono rispettosamente affinché il Papa «rigetti pubblicamente queste proposizioni, compiendo così il mandato di Nostro Signore Gesù Cristo dato a Pietro e attraverso di lui a tutti i suoi successori fino alla fine del mondo: “Ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli”».
Nessuna risposta è giunta finora nel merito della correzione, ma solo maldestri tentativi di squalificare o dividere i firmatari, concentrando il fuoco su qualcuno dei più conosciuti, come l’ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi. In realtà, come lo stesso Gotti Tedeschi ha dichiarato in un’intervista a Marco Tosatti del 24 settembre, gli autori della Correctio hanno compiuto un atto di amore alla Chiesa e al Papato.
Sia Gotti Tedeschi che un altro illustre firmatario, lo scrittore tedesco Martin Mosebach, sono stati applauditi lo scorso 14 settembre all’Angelicum da un pubblico di oltre 400 sacerdoti e laici, comprendente tre cardinali e diversi vescovi, in occasione del convegno sul decennale del motu proprio Summorum Pontificum. Altri due firmatari, i professori Claudio Pierantoni e Anna Silva, hanno espresso le medesime idee della Correctio in un convegno sul tema “Fare chiarezza”, organizzato il 23 aprile dalla Nuova Bussola Quotidiana, con il sostegno di altri porporati, tra cui il defunto cardinale Carlo Caffarra.
Molti altri sottoscrittori del documento occupano, o hanno occupato, posti di rilievo nelle istituzioni ecclesiastiche. Altri ancora sono eminenti universitari. Se all’interno del mondo cattolico gli autori della Correctio fossero isolati, il loro documento non avrebbe avuto l’eco che ha ottenuto.
La Correctio filialis è solo la punta di un vasto iceberg di malcontento per il disorientamento in cui oggi si trova la Chiesa. Una Supplica filiale a papa Francesco è stata sottoscritta nel 2015 da circa 900.000 firmatari in tutto il mondo e una Dichiarazione di fedeltà all’insegnamento immutabile della Chiesa sul matrimonio presentata nel 2016 da 80 personalità cattoliche ha raccolto 35.000 firme. Un anno fa, quattro cardinali hanno formulato i loro dubia sulla esortazione Amoris laetitia.
Nel frattempo, scandali di carattere economico e morale minano il pontificato di papa Francesco. Il vaticanista americano John Allen, di orientamento non certo tradizionale, ha rilevato su Crux del 25 settembre, quanto in questi giorni sia divenuta difficile la sua posizione. Tra le accuse più ridicole che vengono fatte ai sottoscrittori del documento, c’è quella di essere “lefebvriani”, a causa della firma del vescovo Bernard Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X.
La adesione di mons. Fellay a un documento di questo genere è un atto storico che chiarisce senza ombra di equivoci la posizione della Fraternità nei confronti del nuovo pontificato. Ma il “lefevrismo” è una locuzione verbale che ha per i progressisti lo stesso ruolo che la parola “fascismo” aveva per i comunisti negli anni Settanta: screditare l’avversario, senza discuterne le ragioni. La presenza di mons. Fellay è peraltro rassicurante per tutti i firmatari della Correctio. Come immaginare che nei loro confronti il Papa non abbia la comprensione e la benevolenza che ha dimostrato negli ultimi due anni verso la Fraternità San Pio X?
L’arcivescovo di Chieti Bruno Forte, già segretario speciale del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, ha dichiarato che la Correctio rappresenta «un atteggiamento pregiudizionalmente chiuso verso lo spirito del Concilio Vaticano II che papa Francesco così profondamente sta incarnando» (Avvenire, 26 settembre 2017). Lo spirito del Vaticano II, incarnato da papa Francesco, scrive a sua volta mons. Giuseppe Lorizio, sullo stesso quotidiano della CEI, consiste nel primato della pastorale sulla teologia, ovvero nella subordinazione della legge naturale all’esperienza di vita perché, egli spiega, «la pastorale comprende e include la teologia», e non viceversa. Mons. Lorizio insegna teologia presso la stessa Facoltà dell’Università Laterana di cui è stato decano Mons. Brunero Gherardini, morto il 22 settembre, alla vigilia della Correctio, che non ha potuto firmare a causa delle precarie condizioni di salute.
Il grande esponente della scuola teologica romana ha mostrato nei suoi ultimi libri a quale approdo sciagurato ci porta il primato della pastorale annunciato dal Vaticano II e propagato dai suoi ermeneuti ultraprogressisti, tra i quali lo stesso Forte e l’improvvisato teologo Massimo Faggioli che, con Alberto Melloni, si stanno distinguendo per i loro inconsistenti attacchi alla Correctio. Mons. Forte ha aggiunto su Avvenire che il documento è una operazione che non può essere condivisa da «chi è fedele al successore di Pietro nel quale riconosce il pastore che il Signore ha dato alla Chiesa come guida della comunione universale. La fedeltà va sempre rivolta al Dio vivente, che oggi parla nella Chiesa attraverso il Papa».
Dunque siamo arrivati al punto di definire papa Francesco “Dio vivente”, dimenticando che la Chiesa si fonda su Gesù Cristo, di cui il Papa è il rappresentante sulla terra, non il divino proprietario. Il Papa non è, come ha giustamente scritto Antonio Socci, un «secondo Gesù» (Libero, 24 settembre 2017), ma il 266mo successore di Pietro. Il suo mandato non è quello di cambiare o “migliorare” le parole di Nostro Signore, ma di custodirle e trasmetterle nella maniera più fedele. Se così non avviene, i cattolici hanno il dovere di rimproverarlo filialmente, seguendo l’esempio di san Paolo nei confronti del principe degli Apostoli Pietro (Gal. II, 11).
Ci si stupisce infine del fatto che i cardinali Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke non abbiano firmato il documento, ignorando, come sottolinea Rorate Coeli, che la Correctio dei Sessanta ha un carattere puramente teologico, mentre quella dei cardinali, quando arriverà, avrà ben altra autorità e portata, anche sul piano canonico. La correzione nei confronti del prossimo, prevista dal Vangelo e dal vigente Codice di Diritto canonico, all’art. 212 par.3, può avere diverse espressioni. «Questo principio di correzione fraterna all’interno della Chiesa – ha dichiarato mons. Atanasius Schneider in una recente intervista a Maike Hickson – è stato valido in ogni momento, anche verso il Papa, e quindi dovrebbe essere valido anche nel nostro tempo. Purtroppo, chiunque nei nostri giorni osi parlare di verità – anche quando lo fa con rispetto nei confronti dei Pastori della Chiesa – è classificato come un nemico dell’unità, come accadde a San Paolo; quando egli dichiarò: “Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità?” (Gal. 4,16)».
Roberto de Mattei
In: Corrispondenza Romana