Le norme italiane che hanno introdotto il green pass rafforzato e l’obbligo per gli over 50 contrastano con il regolamento UE n. 2288/2021 in materia di certificazione verde, in quanto incidono sulla libera circolazione delle persone. Ragion per cui qualsiasi giudice, investito della questione, ha il potere-dovere di non applicare queste norme.
La forte tensione sociale creata dall’introduzione, nell’ordinamento costituzionale italiano, della certificazione verde (cartacea o digitale) Covid-19 e dalla sua graduale estensione a quasi tutti gli ambiti della vita sociale da parte del legislatore d’urgenza pone alcune riflessioni non più procrastinabili in merito alla compatibilità della normativa italiana vigente rispetto al regolamento (UE) n. 953/2021.
In via preliminare, è necessario chiarire l’ambito di intervento dell’Unione Europea: favorire la libera circolazione delle persone e coordinare le politiche sanitarie tra i ventisette Stati membri i quali, ai sensi dell’art. 11, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 953/2021, rimangono, comunque, liberi di imporre «restrizioni per motivi di salute pubblica». Questo significa che i singoli ordinamenti statali dispongono della discrezionalità di adottare o meno il c.d. «green pass» e di prevedere per quali strutture, servizi o attività è richiesto, ma non possono spingersi fino al punto di derogare alle finalità indicate nella fonte comunitaria derivata, violando in questo modo l’ambito di competenza dell’Unione Europea quale risulta delineato dal Trattato di Lisbona del 2007.
Pertanto, se investito della questione, un giudice interno dovrebbe chiedersi:
a) come mai il regolamento (UE) n. 2288 del 21 dicembre 2021, di modifica del n. 953/2021, ha stabilito che la validità della certificazione verde Covid-19, a seguito del primo ciclo di vaccinazione, sia di 9 mesi ed al momento senza limiti dopo la dose c.d. «booster», mentre il Governo Draghi, con il decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, l’ha ridotta a 6 mesi dopo la seconda dose? La differente durata della validità non pone seri problemi sia ai cittadini europei che vengono in Italia, che a quelli italiani che vanno all’estero, incidendo sulla loro libera circolazione nell’intero territorio dell’Unione?;
b) se il regolamento (UE) n. 953/2021, all’art. 3, paragrafo 1, contempla, in ragione della competenza comunitaria a coordinare le politiche sanitarie dei 27 Stati membri, tre diverse modalità per ottenerne il rilascio (vaccinazione, tampone rapido o molecolare, avvenuta guarigione), perché il legislatore italiano ha introdotto, a far data dal 15 febbraio 2022 ed ai sensi del decreto-legge 07 gennaio 2022, n. 1, l’obbligo del possesso della certificazione verde Covid-19 in forma «rafforzata» (vaccinazione e certificato di avvenuta guarigione) per gli over 50 o, con il decreto-legge n. 229/2021, a partire dal 10 gennaio 2022, la medesima tipologia di «green pass» per accedere ad un servizio di ristorazione o per partecipare ad un convegno? Il coordinamento in materia di sanità pubblica non è fine a se stesso, ma costituisce una conseguenza necessaria della libera circolazione delle persone e delle merci nel mercato interno e, come tale, funzionale ad essa.
In ragione, dunque, dei contrasti tra le fonti interne ed il regolamento (UE) n. 953/2021, il giudice italiano, senza sollevare questione di costituzionalità in via incidentale davanti alla Corte, ha il potere-dovere di procedere alla non applicazione dei decreti-legge o delle rispettive leggi formali di conversione, assicurando in questo modo il primato del diritto dell’Unione Europea sul diritto interno (si veda la storica sentenza c.d. «Granital» n. 170/1984 della Corte costituzionale). Almeno una volta possiamo dire che…ce lo chiede veramente l’Europa.
Daniele Trabucco * costituzionalista un La NBQ