La storia di Brittany Maynard,
che aveva fissato al 1 novembre il giorno della sua eutanasia, è stata ripresa dai maggiori quotidiani del mondo.
Brittany aveva 29 anni e sabato scorso si è suicidata in Oregon con “l’aiuto” dell’associazione Compassione e Scelta.
Brittany aveva un tumore al cervello: glioblastoma di quarto livello.
Il dottor Ira Byock, specialista in medicina palliativa ha affermato:
“L’hanno informata male. Potrebbe avere cure eccellenti. I suicidi assistiti non sono una scelta personale, ma un atto sociale”.
Poco prima dell’ora X questa giovane donna americana ha detto: «Mi sento ancora abbastanza bene e provo ancora gioia, risate, sorrisi con la mia famiglia e gli amici e non mi sembra il momento giusto».
Sentirsi ancora troppo vivi per dire addio a una vita che in fondo amava ancora. Sentirsi importante per le persone che le stavano attorno: sentirsi come vorremmo sentirci tutti, sempre, soprattutto nei giorni più difficili e tristi.
Chi ha appoggiato Brittany nella sua scelta ha sfruttato il suo dolore parlando di compassione e morte dignitosa!
Spesso i fautori dell’eutanasia dicono che nessuno vorrebbe continuare a vivere dipendendo dagli altri ma la verità è che noi non siamo padroni della nostra esistenza e che dipendiamo continuamente da quanti abitano la nostra vita: dal momento in cui nasciamo fino al momento in cui moriamo non esiste un singolo istante che non sia vissuto grazie alla presenza di qualcun altro.
E’ nella relazione con le persone che amiamo che costruiamo la nostra esistenza.
La storia di Brittany deve ricordarci che la vita umana ha sempre una sua intrinseca dignità, che nessuna malattia potrà mai cancellare: No alla mercificazione del dolore, No all’Eutanasia!
Samuele Maniscalco
Responsabile Campagna Generazione Voglio Vivere