L’Italia che si rifà il profilo pare un Paese inconsapevole. Le più popolose città del Belpaese sono dotate, ormai, di no go zone islamiche, i quartieri ghetto il cui accesso è vietato ai non musulmani. Centri religiosi islamici abusivi e parcheggi inaugurati nel “nome di Allah”, sono, invece, il nuovo che avanza.
E può succedere allora che a Legnano tutti i venerdì, all’ora di pranzo agli automobilisti che non credono nel Corano è vietato il parcheggio. Un calvario imposto dalla comunità musulmana in via XX Settembre, nelle immediate vicinanze dell’Associazione culturale italo-araba, un vero e proprio luogo di culto a detta degli stessi fedeli che la frequentano. «Tutti i venerdì di preghiera, dalle 12 alle 14 – racconta la gente che abita la zona – davanti ai posti auto pubblici si posizionano delle “sentinelle” avvolte in tuniche e veli. E lì fanno parcheggiare solo coloro che credono nella religione islamica. Se non sei uno di loro ti rispondono che quel parcheggio è riservato ad altri. E guai a lamentarsi».
A Brescia dove oggi oltre il 18% dei residenti sono immigrati, e camminare per le strade principali vuol dire anche incappare in saracinesche con cartelli attaccati con lo scotch che pubblicizzano corsi in arabo e assistenza fiscale e familiare, da ieri sono esattamente due anni che una vecchia cascina è stata trasformata in moschea. Là nel 2016 l’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia) e il Qatar mettevano la prima pietra di una “nuova collaborazione” con la comunità islamica bresciana e battezzavano il parcheggio della moschea in ‘piazza Allah’. La realizzazione, a cui ha generosamente contribuito con 100 mila euro (su 140 mila) la Qatar charity foundation, è intoccabile, ed è l’orgoglio dei sessantuno mila musulmani che vivono nel bresciano.
NO-GO-ZONE (AREE VIETATE AI NON MUSULMANI)
Difficile intenderli, quelli sopra riportati, come casi marginali o, comunque, poco significativi. È da sempre che il secolarismo ama ‘consigliare’ ai cristiani, in nome dell’armonia sociale, di tenere la religione alla larga dagli spazi pubblici, perché un fatto privatissimo. E un fatto privato non dovrebbe mai essere trascinato nella pubblica piazza. Ma una piazza nuda, spogliata volutamente dell’identità culturale che caratterizza un popolo, vuol dire una piazza da vestire. E lo sa bene l’islam che, nel processo d’islamizzazione dell’Occidente in corso, ha imparato ad approfittarne. Perché alla religione islamica non basta pretendere ed ottenere la rimozione di un crocifisso o di un presepe da uno spazio pubblico.
Più spesso che fondare nuove città, i nuovi sovrani islamici hanno, fin dagli albori del loro credo, occupato le città esistenti e trasformate in base alle esigenze della nuova società islamica. Il loro è stato fin dall’inizio un processo di “trasformazione” che si è dimostrato decisivo per lo sviluppo di Medina, per esempio. Da allora lo scopo è far assomigliare i luoghi che vanno ad abitare sempre più a loro stessi, plasmarli a immagine e somiglianza di una religione che tutti dimenticano essere un progetto politico.
Ora, controllare la piazza pubblica nell’Occidente che hanno ripreso ad occupare, non implica necessariamente il controllo del territorio geografico, ma la cosa aiuta sicuramente. I musulmani in realtà già controllano e occupano un numero crescente di strade e piazze in tutta Europa. Sono gli spazi pubblici che occupano per la “preghiera”, senza fatica e con il favore delle autorità. E sono là, visibili a tutti. Devono esserlo. Impongono una presenza importante scandita da orari sui quali è vietato transigere, impongono restrizioni negli spazi pubblici, impongono zone di confine. L’islam che arriva in Europa tende a radunarsi in ghetti, le “no-go-zone”. Aree vietate ai non musulmani e pericolosissime per le donne bianche – pena le violenze sessuali -, e in cui la legge dello Stato è soppiantata dalla shari’a. Perché l’islam agisce sempre per scoraggiare l’integrazione.
IL PROCESSO DI ISLAMIZZAZIONE
E una piazza dedicata ad Allah, allora, è una vittoria, un passo in più nel processo di islamizzazione. Quel complicato processo in virtù del quale le popolazioni islamiche soppiantarono, e soppiantano, i popoli, le civiltà e le religioni dei paesi vinti. Un processo a due modalità: quella della fusione (conversione della cultura locale) e quella della conflittualità (massacri, riduzione in schiavitù).
Maometto, un signore della guerra, ha insegnato, del resto, ai suoi discepoli a pensare globalmente – Sayyid Abul A’la Maududi, uno dei più importanti teorici islamici del XX secolo, ha scritto che “l’Islam richiede la terra – non solo una parte, ma l’intero pianeta” -, ma anche ad avere pazienza ed agire localmente. Essere costretti ad un deviazione perché la strada verso casa è bloccata da musulmani scalzi in preghiera, significa proprio questo. Ma allo stesso tempo si tratta anche di una recriminazione: lamentare l’insufficienza di moschee. “Siamo qui”, ci dicono, “siamo tanti. Dateci quello che vogliamo, o vi renderemo la vita impossibile”.
I musulmani in Europa sono abituati a fare richieste, e a trovarle soddisfatte repentinamente. I menu halal, le sale di preghiera nelle scuole, l’esenzione dagli studi sull’Olocausto, gli impegni scolastici procrastinati in ossequio al Ramadan, presepi e crocifissi da mettere da parte, recite di Natale annullate, il richiamo alla preghiera del venerdì in filo diffusione per le città, sono solo alcune delle richieste avanzate e ottenute.
Eppure nei paesi a maggioranza musulmana, i cristiani non godono della medesima libertà. I cristiani che cercano di portare la loro religione nella pubblica piazza rischiano il carcere o addirittura l’esecuzione capitale. Si tratta di “condizioni” antiche stabilite dal secondo Califfo poco dopo la morte di Maometto. Il “patto di Omar” è una lista di cose da fare e non fare per “governare” la vita dei cristiani che vivono nei loro confini. Il califfo Omar volle ricordare ai cristiani, per esempio, che non sono “autorizzati a costruire o riparare chiese”; “non devono cantare a squarciagola”; “non devono mostrare croci sulle chiese o alzare la voce in preghiera”; “non devono rendere attraente la loro religione, né cercare di convertire qualcuno in essa”; “devono mostrare rispetto nei confronti dei musulmani”. Ma la lista è molto più lunga e, soprattutto, difficilmente fraintendibile.
E la sottomissione della pubblica piazza ad Allah, a Ovest del mondo, è la ragione d’essere dell’islam a cui l’Occidente sta cedendo.
di Lorenza Formicola in Basta Bugie
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano, nell’articolo seguente dal titolo “Scuola cattolica in moschea islamizzazione nascosta” parla dei bambini delle elementari seduti e scalzi sui tappeti di una moschea. Succede a Caltanissetta dove una 60ina di studenti di una scuola cattolica è stata accompagnata dalla suora a visitare la locale moschea. Un’opera nascosta di daʿwa, il proselitismo islamico, travestito da innocenti scambi “culturali”.
Ecco l’articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 aprile 2018:
Bambini delle elementari seduti sui tappeti di una moschea. Succede a Caltanissetta dove una 60ina di studenti di una scuola cattolica, L’Oasi Cristo Re è stata accompagnata dalla direttrice della scuola, una suora e da due docenti a visitare la locale moschea. Il tutto all’interno della festa dei Popoli organizzata dalla Caritas locale. Dalle cronache dei giornali si apprende che l’iniziativa è stata resa possibile grazie al coinvolgimento del Centro Islamico di Caltanissetta che dal 2009 ha una moschea nel capoluogo nisseno.
I bambini delle classi IV e V hanno mangiato dolci offerti dall’imam e ascoltato le spiegazioni sulla religione islamica. Tutto all’insegna del dialogo e dell’accoglienza. “Abbiamo dato alcune indicazioni sulla nostra religione, sul significato di alcune parole, quali ad esempio imam e siamo rimasti colpiti dalla loro curiosità”, ha dichiarato il portavoce della comunità islamica locale.
Si tratta di un’iniziativa che dietro l’apparente innocenza, mostra in realtà molti rischi. A onor di cronaca va detto che le scolaresche sono state accompagnate anche a visitare altri templi e chiese della cittadina, tra cui quello ortodosso. Ma ciò che si fatica a cogliere in questa iniziativa è l’accettare sic et simpliciter che la conoscenza passi per forza dal mescolamento delle identità.
Facile conoscere in questi termini una realtà che si vuole mostrare come amica e accogliente. Più difficile però spiegare anche le ragioni del perché queste iniziative rischiano di fare il gioco di una cultura, quella islamica, che è naturaliter anti cristiana.
Dato che ai bambini sono state spiegate alcune parole dell’Islam, chissà se l’imam avrà detto loro anche il significato della parola daʿwa. In arabo è l’azione di proselitismo dell’islam. Si tratta di una parola che letteralmente vuol dire “propaganda, appello, richiamo”. E per i musulmani l’azione di invitare il prossimo all’islam è un dovere e colui che si prodiga nel fantomatico esercizio di convincere il prossimo ad abbracciare l’islam è un dāʿī.
Ora, non c’è dubbio che l’imam di Caltanissetta sia un bravo islamico, così bravo che, aprendo le porte della moschea ai bambini, ha compiuto quello che deve fare un buon musulmano: un’azione politica che mira all’islamizzazione sociale e civile del luogo in cui agisce. Sostanzialmente, come ha detto la scrittrice somala Ayaan Hirsi Ali quello che la “lunga marcia attraverso le istituzioni fu per i marxisti del ventesimo secolo: una sovversione dall’interno, l’uso della libertà religiosa per sconvolgere quella stessa libertà” è la daʿwa per gli islamici di oggi.
Qualcuno potrebbe scandalizzarsi perché in fondo ai bambini non è stata imposta la preghiera. Vero, ma non del tutto. Nella cronaca della giornata si specifica chiaramente che ai bambini è stato fatto togliere le scarpe. Si tratta non di un gesto di bon ton, ma di un rituale di sicuro impatto che prelude ad un’attività di culto su un terreno che è considerato sacro e inviolabile nel nome dell’Islam. E sempre quel qualcuno potrebbe obiettare che anche nelle chiese italiane orde di turisti, spesso anche bambini, visitano navate e cappelle consacrate a Dio. Vero, ma in quel caso lo scopo è meramente storico artistico, non cultuale. Lo dimostra il fatto che a nessun insegnante verrebbe in mente di chiedere ai bambini di stare in ginocchio mentre ascolta le lezioni sulla Pietà di Michelangelo.
A Caltanissetta invece, tra un dolcetto e l’altro, si è parlato di Islam con i crismi con i quali di deve svolgere la corretta daʿwa. E tra questi vi è anche la compiacenza di un occidente, anche cattolico che crede, così facendo, di dare un contributo all’accoglienza e all’unione fraterna.
Ovviamente, senza dirlo, ma il messaggio finale per i bambini è il solito di stampo relativista: noi abbiamo la nostra religione e loro hanno la loro. Nessuna di queste deve avere la pretesa di essere quella vera.
Intanto però l’imam può farsi fotografare tutto contento perché in fondo il suo obiettivo è stato raggiunto e senza spaventare con paroloni minacciosi come jihad. Perché infatti laddove la jihad opera per terrorizzare e mira a sottomettere, la da’wah mira a ingannare ed asfaltare la strada dell’islamizzazione. Lo si può fare in molti modi, a cominciare dalle politiche demografiche. Ma un modo, apparentemente tranquillo, è anche quello di una visita di cortesia a base di pasticcini, che al loro interno hanno però una sorpresa sgradita: quella dell’islamizzazione inconsapevole.
Titolo originale: Piazza Allah, la silenziosa colonizzazione islamica
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 27-05-2018
Pubblicato su BastaBugie n. 567