Un anno decisivo, il 1917. Con la Grande guerra in pieno corso di svolgimento, gli Stati Uniti di Woodrow Wilson intervenuti a sconvolgere l’assetto delle forze in campo e il fronte italiano in rotta a Caporetto, eventi entrambi considerati fondamentali per la deriva del conflitto bellico. Un ruolo altrettanto importante venne giocato dal ritiro dalle ostilità dell’Impero russo, sconvolto dall’interno dal vento rivoluzionario che aveva deposto il dominio zarista di Nicola II e costruito i presupposti per la futura Unione sovietica. Un susseguirsi di eventi e ondate di protesta, contro l’arretramento sociale della Russia e una guerra che, al fianco delle forze dell’Intesa, stava costando all’Impero ben più di quanto potesse sopportare e che avevano trovato nel bolscevico Lenin la figura carismatica in grado di guidare i soviet verso il rovesciamento dell’opprimente e ormai logorato potere della dinastia Romanov. La cancellazione, con efferata violenza, della casata imperiale dalla Storia avvenne in nome di un’idea ambigua di repubblica che, di lì a oltre 70 anni, avrebbe costituito uno dei due “poli politici” terrestri. Sono trascorsi cento anni da quella che, convenzionalmente, viene definita Rivoluzione d’ottobre, evento culminante del processo di elevazione bolscevica avviato già nel 1905 che, di fatto, seppe sconvolgere l’assetto geopolitico preesistente e gettare le basi di un mondo nuovo il quale, di lì a poco, sarebbe sfociato nel regime stalinista e nella gelida morsa del comunismo di guerra. Se sia possibile o meno, a dieci decadi dalla presa del Palazzo d’Inverno, parlare di eredità della Rivoluzione è argomento di dibattito. In Terris lo ha chiesto al professor Adriano Roccucci, docente di Storia contemporanea presso l’università di ‘Roma Tre’.
Professore, al di là delle vicende storiche che portarono alla caduta dell’Impero zarista, cosa resta oggi della Rivoluzione?
“Certamente si tratta di un evento che ha segnato un passaggio di grandissima rilevanza nell’Età contemporanea, in modo particolare in Europa ma anche a livello mondiale. Oggi leggiamo gli eventi del 1917 anche alla luce del fallimento storico del comunismo. L’eredità, se così si può dire, nasce proprio dalla storia: gli oltre 70 anni in cui l’Unione sovietica è esistita, non possono essere considerati una parentesi storica che si può chiudere, continuando come se non ci fosse stata. La Rivoluzione russa e i suoi sviluppi hanno infatti inciso da punti di vista molteplici, innazitutto da quello geopolitico. Oggi, ad esempio, abbiamo 15 Stati sovrani nati dopo la fine dell’Urss: i confini e, in qualche modo, anche l’identità di una parte di quegli Stati, possono essere considerati il prodotto dell’ingegneria amministrativo-federale dell’Unione sovietica. Nella stessa misura, si può parlare di eredità e conseguenze guardando ai processi di modernizzazione che si sono sviluppati in quest’area, senza dimenticare un portato di violenza legato alla rivoluzione bolscevica che ha segnato profondamente quelle regioni e che si esprimeva in quel flusso di brutalizzazione avviata con la Prima guerra mondiale”.
E dal punto di vista ideologico?
“I paradigmi della rivoluzione, oggi, sono molto cambiati. Il progetto, rivoluzionario, in particolare nella sua versione leninista, è decisamente uscito dal palcoscenco del XXI secolo. Rivoluzione, d’altronde, è un lemma che si è legato ad altre esperienze storiche: con la fine degli anni 70 e la rivoluzione iraniana cadde il paradigma della rivoluzione stessa, che divenne in nome di un popolo sottomesso al potere di un’elite (come era quello dello scià di Persia) e non più di ideologie liberazioniste di tipo marxista: un liberazionismo, quindi, che acquisiva un connotato religioso. Negli ultimi 20 anni, ad esempio, abbiamo assistito a eventi come le rivoluzioni colorate o la primavera araba…”.
Eventi diversi…
“Il concetto di Rivoluzione si è profondamente modificato, anche perché quella bolscevica si iscriveva in un quadro di visione della storia, quale era quella del marxismo, di tipo teleologico: la storia aveva un suo fine, quello della costruzione della civiltà comunista, in quella che si può definire una forma – come hanno detto alcuni – di escatologia secolarizzata, di messianismo. Il nostro mondo, oggi, non mi pare presenti delle ideologie che, in qualche modo, si iscrivano in questo asse di visione della storia: non c’è più il marxismo né l’idea del progresso. In fondo, l’ultima cultura politica che prevedeva un compimento della storia, come annunciato da Francis Fukuyama con il famoso saggio ‘La fine della storia’, in realtà si è ritrovata smentita dagli esiti degli ultimi 20 anni. La Rivoluzione, come è stata pensata dal pensiero europeo e da lì esportata nel mondo, a partire dalla Rivoluzione francese e poi con la Rivoluzione russa dell’ottobre del 17, oggi non sembra più avere la stessa rilevanza”.
Nella Russia moderna, dunque, esistono ancora tracce del bolscevismo o le diverse contestualizzazioni storiche non ci consentono tali ipotesi?
“La Russia di Putin è figlia della sua storia, nella quale c’è l’Urss e, prima ancora, l’Impero russo. Ci sono delle linee di continuità nella cultura politica del mondo russo che possiamo riscontrare oggi. Questo, però, non vuol dire che vi sia l’esistenza di concezioni o pratiche sempre uguali nel tempo. Esse si modificano e, oggi, sono certamente diverse da quelle che potevano verificarsi sotto l’Unione sovietica o sotto l’Impero zarista. Certo, si può trovare una trama che le accomuna e la Russia di Putin cerca certamente di trovare una sua configurazione anche dal punto di vista ideologico. Ma è un ideale che, mi pare, non si possa iscrivere nel discorso bolscevico e comunista: piuttosto riprende, ad esempio, alcuni filoni del pensiero conservatore russo di fine ‘800 inizio ‘900”.
La Rivoluzione del ’17 sortì effetti decisivi sulla Grande guerra ma, allo stesso tempo, portò a una delle più cruente repressioni sui cristiani dell’Età contemporanea…
“Sì, la vicenda della comunità cristiana principale, quella della Chiesa ortodossa russa, è stata segnata dalla persecuzione. La politica dei bolscevichi, all’indomani dell’ottobre ’17, è stata fin dai primi passi dichiaratamente scagliata contro la Chiesa ortodossa e aveva dei connotati evidentemente antireligiosi. La vicenda dell’ortodossia russa, e poi anche delle altre confessioni cristiane, soprattutto negli anni 30, è stata investita dalla repressione, con numeri altissimi di vittime: si calcola, secondo le stime più attendibili, che in Unione sovietica siano stati uccisi, solo per motivi di fede, almeno 1 milione di fedeli ortodossi. I conti, inoltre, parlano di più di 300 vescovi ortodossi uccisi assieme a decine di migliaia di esponenti del clero: è stata una persecuzione di massa e, fino alla fine dell’Urss (o quantomeno fino al 1988), pur con fasi diverse, le comunità cristiane, anche se magari, dopo la guerra, non più in un sistema che praticava la persecuzione cruenta come negli anni 20 e 30, sono vissute in un contesto di pressione da parte dello stato e in un contesto culturale e ideologico che faceva dell’ateismo antireligioso uno dei pilastri dell’architettura sovietica”.
Da In Terris