“Dio ha bisogno degli uomini” è il titolo di un bellissimo film degli anni ’50. La trama è molto semplice. Il parroco se ne va vinto dallo scoraggiamento. Gli abitanti dell’isola, suoi parrocchiani, aggrediscono marinai e passeggeri di imbarcazioni che passano vicino all’isola a scopo di rapina uccidendoli anche. La domenica gli isolani vanno in chiesa. Non si rassegnano di fronte al sacrestano che ha chiuso la porta con il catenaccio; vogliono la Messa. Allo zio che insiste perché apra il sacrestano grida “avete cacciato il prete, la Messa non c’è”. Lo zio ribadisce “A mezzogiorno anche se il pane manca, la fame si sente lo stesso”. Il sacrestano apre e in un abbozzo di predica dice ai suoi concittadini “Noi siamo poveri, siamo miserabili ma Dio non è lontano da noi Infatti ‘Dio per essere Dio ha avuto bisogno di farsi uomo’”.
La tesi del film è affascinante. Dio per farsi riconoscere, per essere sè stesso davanti agli uomini ha avuto bisogno di diventare come uno di loro. Anche noi per essere noi stessi, per essere veramente uomini abbiamo bisogno di diventare “gli altri” a partire da coloro che non sono riconosciuti come tali. Come ha fatto Gesù che si è fatto schiavo per noi. In questi giorni le strade delle città sono inondante di luci variopinte. Esprimono gioia e cooperano a crearla. Il Natale fa sentire ad ogni uomo che non è solo, che è espressione di una Presenza Infinita che si è fatta vicina. L’Emmanuel (Dio con noi) si è reso visibile. Anche i non credenti vengono coinvolti in questa festa di luce. Ma la gioia non è tale se non è di tutti Questo mare di luci diventa crudele se non vengono rimosse le tenebre dell’egoismo.
L’uomo non è proprietario né di se stesso né dei beni, è un amministratore; non deve muoversi per interesse, ma per amore e deve donare se stesso. Quando nel nostro agire abbiamo come unico scopo noi stessi, trasformiamo gli altri in strumenti, in occasioni da sfruttare o ingombri da eliminare, con la conseguenza di disuguaglianze, sopraffazioni, oppressioni. Se invece riconosciamo il prossimo come nostro uguale, come lo è in realtà, smettiamo di accettare le differenze, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti di vita e accettiamo la complementarietà vicendevole.
Come conseguenza sul piano economico l’uomo non può tenere per sé ciò che manca all’altro e deve impostare tutta l’economia in modo che ogni persona abbia il necessario per la crescita. Poiché il prodotto di una nazione è limitato, ciò che uno ha di più di un altro è tolto a chi ha meno: di qui la logica conseguenza che non possiamo tenere per noi ciò che manca agli altri.
Cristo ci apre a una nuova concezione della professione: non un mezzo per ricavare per sé, ma uno spazio per manifestare l’amore e una nuova organizzazione di un nuovo tipo di famiglia, non rinchiusa in sé, ma a servizio ed in funzione degli altri. Il mondo di oggi con le sue tensioni, conflitti, contraddizioni, guerre, anche se non si rende conto, attende Cristo.
Don Oreste Benzi
Dal centro di documentazione dell’Associazione Comunità “Papa Giovanni XXIII”