Penso che tutti noi abbiamo portato dentro un “sogno”, una speranza, un progetto da realizzare. Per qualcuno si è realizzato, per altri forse ancorano, per altri ancora si sta forse realizzando, non senza difficoltà, magari per qualcuno si è infranto portando amarezza e delusione, di fronte alla quale la Parola che abbiamo ascoltato e il Natale che ci apprestiamo a vivere vuole donare luce e speranza.
L’ evangelista Matteo, che scrive per dei cristiani che provengono dal giudaismo ci racconta la venuta di Gesù fra noi dalla parte di Giuseppe, a differenza di Luca che la porge dalla parte di Maria.
Giuseppe, come tutti noi, ha anche lui il suo “sogno”: quello di formare una famiglia con la sua amatissima promessa sposa Maria con la quale è fidanzato. Sappiamo che il fidanzamento nella cultura del popolo di Israele aveva un significato molto diverso e più profondo di quello che viene dato oggi nella nostra cultura, se ha ancora un significato. Al tempo di Giuseppe i promessi sposi pur non abitando assieme potevano vivere coniugalmente.
Il sogno di Giuseppe si incontra con il “sogno di Dio” che è quello di ricondurre l’ uomo a quel rapporto e a quella dignità sciupata con il peccato originale. “Il sogno di Dio” è quello di quel Padre che attende il figlio per riportarlo in casa, per mettergli l’ abito nuziale e fare festa. E si sa quando Dio entra nella vita dell’ uomo, nelle nostre vite porta sempre un po’, oppure anche tanto, sconvolgimento, una novità, un ribaltamento di quello che noi pensiamo, vediamo e desideriamo: “ Le mie vie non sono le vostre vie, i miei pensieri non sono i vostri pensieri”, dice il Signore.
Ed accade così anche per Giuseppe!
Si ritrova con la sua promessa sposa in una situazione diversa da come l’ aveva pensata, immaginata secondo i suoi progetti, e questo vale anche per il bambino che Maria porta in grembo che non è suo. Il suo sogno, il suo progetto gli è stato tolto. Che fare?
La legge suggerisce di denunciare questa situazione con tutte le sue conseguenze, e la conseguenza è la lapidazione, la morte per Maria e per il figlio che porta in grembo. Il cuore, però, è pieno di amore verso di lei, tant’è che vuole salvarla, non esporla allo scandalo e alla condanna prescritta dalla legge.
Proviamo a pensare, per un attimo a quali possono essere stati i suoi sentimenti! Disorientamento? Certo! Delusione? Può darsi! Amarezza? Fallimento? Chissà quali altri sentimenti …
Ma ecco che Dio, che ha già fatto la sua proposta a Maria, fa la sua proposta anche a Giuseppe: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Una proposta fatta in sogno! Chi di noi la direbbe degna di fiducia o non la penserebbe come ad una raffigurazione suggerita dal nostro desiderio di un lieto fine ad una situazione drammaticamente surreale.
Non è così per Giuseppe che è credente, come Maria e accetta quella verità che Dio gli propone. Come per Maria anche per Giuseppe tutto si gioca sul piano di quella fede, che animò Abramo quando: “ per fede, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.” (Eb.11,8)
Anche Giuseppe e Maria, per fede si affidano ad un progetto che sconvolge le loro vite, ma che è affidabile perché viene da Dio.
Leggiamo che Giuseppe è “un uomo giusto”, ma non solo perché cerca una modalità per salvare Maria senza esporla a quanto prescrive la legge, ma perché crede alle promesse che Dio fa anche quando queste risultano, a dire poco, scomode, improbabili e non corrispondono ai nostri desideri, al nostro ”sogno”. Così fa Giuseppe, rimanendo saldamente ancorato a Dio.
Quest’ uomo silenzioso diventa per noi esempio e domanda: siamo anche noi capaci di affidarci al Signore, come ha fatto lui?
Noi che siamo ammalati di conferme, anche nei confronti di Dio al quale chiediamo continuamente dei segni. Ma il Signore dissemina continuamente segni della sua presenza nella nostra vita, ma che possiamo scoprirli solo quando ci apriamo a Lui e non semplicemente con le parole: quando, alle parole, segue la vita.
Certo non è semplice, è impegnativo e può essere anche incomprensibile umanamente, come è stato per Maria e Giuseppe. Eppure Maria, che sembra venga tolta a quel progetto umano di famiglia che Giuseppe ha, le viene ridata in un modo diverso, sublimata dall’ amore di Dio. Egli l’ accoglie e l’ ama di un amore nuovo: casto, rispettoso, disinteressato, in una relazione illuminata da quella fede e quel sì a Dio che tutti e due hanno pronunciato.
Questa fede sarà quella che illuminerà anche il suo rapporto con quel figlio: Gesù – Dio salva-, per cui egli non sarà un padre sminuito, sarà lui a dare il “nome”, ma sperimenterà quella realtà comune a tutti i genitori, che non sempre ne sono consapevoli: che i figli non sono nostri, non ci appartengono, ma noi siamo chiamati ad accoglierli e ad accompagnarli con gioia e nella speranza.
Concludo con un pensiero, che ho trovato leggendo qua e là, ma che diventa anche un impegno concreto da vivere in questi giorni:
“Ci avviciniamo al Natale, non lasciamoci prendere dalle corse senza senso o da tristezze perché non abbiamo una famiglia come vorremmo, viviamo con apertura le relazioni che abbiamo, qualunque esse siano, introduciamo, come Giuseppe, amore, rispetto e generosità nelle nostre relazioni di parentela, di amicizia o di semplice vicinanza.”
(Carla Sprinzeles)
Deo gratias, qydiacdon