Ieri è stato pubblicato il nuovo rapporto sulla Libertà di Religione 2018 di Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione di diritto pontificio presieduta da Alfredo Mantovano e diretta da Alessandro Monteduro. Il quadro che emerge, come ci si poteva immaginare, non è dei migliori. Nel mondo, 1 cristiano su 7 vive in un paese in cui il cristianesimo è perseguitato. In questo inizio del XXI Secolo, il maggior persecutore dei cristiani, nel mondo, è il radicalismo islamico.
Ieri è stato pubblicato il nuovo rapporto sulla Libertà di Religione 2018 di Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione di diritto pontificio presieduta da Alfredo Mantovano e diretta da Alessandro Monteduro. Il quadro che emerge, come ci si poteva immaginare, non è dei migliori. Nel mondo, 1 cristiano su 7 vive in un paese in cui il cristianesimo è perseguitato. Nel periodo preso in esame, dal 2016 al 2018, si riscontra un aumento della repressione religiosa in ben 17 Stati. La tendenza è complessivamente negativa: solo in 4 Stati la situazione è migliorata. E solo in due Stati (Kenya e Tanzania) la persecuzione dei cristiani, ad opera del movimento jihadista al Shabaab in quei casi, può dirsi complessivamente conclusa. Il maggior persecutore dei cristiani, nel mondo, è il radicalismo islamico.
Infatti la maggioranza dei paesi in cui si registra una persecuzione, è a maggioranza musulmana e governata da regimi islamici che applicano la sharia. Su 21 Stati in cui la persecuzione è conclamata e non è “solo” discriminazione, ben 14 sono regimi islamici e altri 3 sono Stati post-comunisti con una maggioranza islamica.
Le “eccezioni” sono notevoli. Il comunismo è ancora un grande persecutore dei cristiani in Corea del Nord, lo Stato più repressivo in assoluto, e in Cina, che, come abbiamo visto più volte su queste colonne, sta dando un giro di vite repressivo a tutte le religioni nel nome della “sinicizzazione”. Anche in Laos e Vietnam, regimi comunisti mai riformati, i cristiani sono tuttora discriminati. Vita dura per le religioni, non solo quella cristiana, ma anche quella musulmana, anche nelle repubbliche post sovietiche dell’Asia centrale, tutte a maggioranza islamica, di Uzbekistan e Turkmenistan (persecuzione conclamata), Azerbaigian, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan (discriminazione). In Eritrea, un regime nazionalista e militarista, tiene in pugno tutte le religioni autorizzate, controllandone strettamente le istituzioni. In Bhutan e nel Myanmar i persecutori sono i buddisti, ai danni di tutte le minoranze cristiane, indù e musulmane. Fra gli Stati che non ci si aspetterebbe di vedere c’è la Federazione Russa (caso di “discriminazione”), che ha cacciato del tutto la Chiesa cattolica dalla Crimea e ha messo al bando i Testimoni di Geova. C’è una Turchia sempre meno laica (sempre “discriminazione”, non persecuzione vera e propria) in cui la minoranza cristiana denuncia di subire una demonizzazione sempre più diffusa nei media di Stato. Si trova una conferma della situazione allarmante in India, che è stata al centro di un processo di involuzione della libertà religiosa causato dall’ascesa del nazionalismo indù: gli attacchi ai cristiani sono raddoppiati, raggiungendo quota 756 nel 2017.
È comunque impossibile non notare come tutti gli altri casi di persecuzione siano ad opera di regimi e gruppi islamici. Non è solo una persecuzione di Stato. In Pakistan, per esempio, come dimostra il caso Asia Bibi, le autorità e la magistratura, sono decisamente più tolleranti rispetto a masse fanatizzate che chiedono in piazza l’impiccagione della “blasfema” cristiana. In Egitto, dove è al potere il generale laico Al Sisi, i cristiani subiscono rapimenti, conversioni forzate e attentati, fra cui le due stragi di Minya, l’ultima avvenuta lo scorso 2 novembre. «Questa situazione non è causata dal governo, che sarebbe più facile affrontare, ma dalla mentalità fanatica e criminale diffusa in quasi tutto l’Egitto, a causa dei Fratelli musulmani, i salafiti e tutti questi gruppi che si trovano in tutto il territorio egiziano, e che sono lasciati liberi di fare tutto quello che vogliono da più di mezzo secolo, soprattutto per diffondere il proprio pensiero. Quindi affrontare una popolazione fanatica e chiusa di mente è più difficile che fronteggiare un governo ingiusto o un dittatore» – dice mons. Botros Fahim, testimone, quest’anno, di Aiuto alla Chiesa che Soffre, vescovo proprio di Minya – «Alcuni giudici sono musulmani fanatici, e giudicano non secondo le leggi ma secondo la “sharia islamica”, e ciascuno di loro dipende dalla propria scuola islamica e dalla relativa tendenza a favore o contro i cristiani. Al-Azhar, suprema autorità islamica in Egitto, non fa il suo dovere e non riveste un ruolo per il rinnovamento del pensiero e del linguaggio islamici tradizionali e fanatici, i quali alimentano la mentalità chiusa, aggressiva e violenta contro le altre religioni. A causa di tutto ciò, ed altro ancora, i cristiani soffrono in continuazione, in Egitto, e in tanti dei Paesi islamici. E la Chiesa continua ad offrire con fede e speranza, unita al suo Signore morto e risorto, martiri, sangue, sacrifici…».
L’altra testimone di Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’avvocatessa cattolica pakistana Tabassum Yousaf, racconta episodi terribili di persecuzione dei cristiani suoi conterranei, tutti ad opera di folle o singoli fanatici, con la complicità diretta o indiretta delle autorità governative. È il caso di Binish Paul, ragazza di 18 anni resa paralitica dal ragazzo musulmano che la corteggiava e voleva imporle la conversione all’islam. Poiché rifiutava la conversione è stata gettata dalla finestra. È il caso di Vikram, studente di Karachi, che ha perso un occhio dopo il pestaggio subito dai suoi compagni musulmani, perché cristiano. È il caso della famiglia Kharian: indebitata con una famiglia musulmana molto più facoltosa, ha subito da parte dei creditori il sequestro (ai fini della conversione all’islam) dei tre figli di 13, 9 e 7 anni, di cui non si sa più nulla. È il caso, molto simile, della famiglia Kareem Nagar, convertita all’islam in cambio di un prestito di denaro. Il creditore, a conversione avvenuta, ha festeggiato esponendo striscioni per le strade con i nomi dei convertiti (forzati). Non c’è pace nemmeno per i defunti: nella città di Lahore, in un quartiere islamico, la gente protesta perché non venga costruito un cimitero per cristiani. Non c’è giustizia, né aiuto per i figli delle vittime della violenza: i tre bambini di Shama e Shahzad (i due sposi cristiani accusati di blasfemia e gettati in una fornace), non hanno alcun aiuto, non hanno di che vivere e non vanno a scuola. Non c’è pace per i bambini in generale: Farah e Nazia, 14 e 13 anni rispettivamente, stuprate e picchiate da musulmani facoltosi e ben protetti dall’ambiente politico.
La Yousaf ritiene che i cristiani siano particolarmente vulnerabili, perché non sono istruiti e dunque non conoscono i loro diritti. Non sono istruiti, perché sono discriminati nella scuola e nell’istruzione. «Anche se ora c’è un’istruzione gratuita nelle scuole pubbliche – spiega l’avvocatessa – le condizioni per gli studenti e per gli insegnanti cristiani sono pietose. Per esempio non possono bere l’acqua dagli stessi rubinetti dei musulmani, né possono andare negli stessi bagni. Se un cristiano beve l’acqua dallo stesso rubinetto di un suo compagno musulmano, questo deve essere purificato recitando versetti sacri, rituali e preghiere. I cristiani, nella scuola e nella società, sono considerati e chiamati “choora” (intoccabili), “Bhangi” (impuri). Siamo chiamati anche “Eisai” (seguaci di “Eisa”), poiché nel Sacro Corano, Gesù è chiamato “Eisa” e i suoi seguaci “Eisai”, definizione che assume un significato sociale ed economico di “intoccabili e impuri”».
La persecuzione dei cristiani è ormai istituzionalizzata in Afghanistan(nonostante la presenza di contingenti internazionali), poiché i cristiani non possono praticare la fede in pubblico. È una repressione totale in Arabia Saudita, sempre più intensa in Indonesia, ancora intensa in Siria e in Iraq (nonostante la sconfitta dell’Isis e del suo Stato Islamico nei due paesi), in Libia, nella Gaza governata da Hamas, in Niger, in Sudan, in Somalia. In Nigeria, nonostante le sconfitte subite da Boko Haram, la persecuzione avviene ora per mano dell’etnia fulani. Benché vi siano anche motivazioni etniche ed economiche (pastorizia contro agricoltura stanziale), Acs considera che la violenza dei fulani sia sempre più definibile come un fenomeno di persecuzione religiosa: «Se le differenze etniche e il tentativo di impossessarsi delle terre coltivate costituiscono fattori rilevanti, la natura delle violenze dei fulani e in particolare i numerosi attacchi contro i cristiani raccolti in preghiera, sottolineano la crescente influenza del movente religioso. I vescovi locali hanno più volte denunciato l’esistenza di una “chiara agenda” per islamizzare un’area prevalentemente cristiana».
Incluso nel rapporto anche l’aumento della violenza antisemita e di quella terroristica in Europa, in Francia in particolare. Anche in questo caso, ad opera di gruppi armati legati all’Isis e alla galassia radicale islamica. D’esportazione o locale, imposto dallo Stato o praticato da masse fanatizzate, è l’islam radicale il singolo maggior persecutore dei cristiani in questo inizio di XXI Secolo.