“11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.” (Lc 15,11-32)
Sono anch’io, Gesù, come quel figlio, che si illude di trovare la felicità lontano dalla casa del padre e poi sperimenta la degradazione e la vergona. Si vergogna per quello che ha provocato, – un tesoro prezioso dilapidato-, vergogna per la propria condizione, – non è decisamente presentabile-, vergogna per essere costretto a rubare le carrube ai maiali, mentre a casa sua c’è pane in abbondanza.
Sono anch’io, Gesù, come quel figlio che compone il discorsetto destinato ad ammansire Colui che è stato ferito ed offeso, che dà per scontato di non essere accolto con lo stesso trattamento di prima e dunque si prepara ad una giusta punizione, – non più figlio, ma dipendente!-
Sono anch’io, Gesù, come quel figlio che rimane meravigliato di fronte alla misericordia del Padre, del suo amore tenero, alla sua gioia incontenibile, ai mille segni del suo affetto, alla festa che organizza per il mio ritorno, per il mio passaggio dalla morte alla vita.
R. Laurita