Un carrello della spesa e dentro tre bambini in costume da bagno. Sorridono e accanto a loro ci sono degli adulti, forse sono i loro genitori? O forse, chissa? Però sono in posa, tutti allegramente sorridenti davanti ai flash dei fotografi che ieri a Reggio Emilia hanno documentato il ReEmilia pride, il primo gay pride reggiano. I lettori della Nuova BQ conoscono la storia. E qui non si farà altro che dare conto non tanto del suo svolgimento, d’altra parte i gay pride sono tutti uguali, si gioca a chi è più trasgressivo. Ma di questo simbolo.
E ieri a sfilare lungo le vie della città del tricolore di trasgressivo c’era molto, ma soprattutto appartenente alla letteratura gaia: striscioni, qualche donna vestita da suora, molti cartelli sui diritti, sull’uguaglianza nella diversità, i soliti “smutandati” con borchie e short in latex. Insomma: il solito catalogo dei pride, ai quali anche qui hanno preso parte le istituzioni pubbliche cittadine e regionali.Però c’era quel carrello della spesa. E dentro c’erano dei bambini. Già grandi, vista l’età quindi non doveva servire come passeggino. Ma anche se le intenzioni dovessero essere le più svariate, a molti che hanno guardato la foto è sembrato un simbolo. Se vuoi anche involontario, ma dato che il gay pride è anche una fortissima rivendicazione del diritto di acquistare i bambini con la cosiddetta gestazione per altri, ecco che il simbolo involontario a molti è parso questo. D’altra parte la richiesta di una legge per l’adozione dei figli da parte dei persone dello stesso sesso è uno dei leit motiv della causa Lgbt. “Noi siamo quelli che vogliono comprare i bambini, siamo quelli che spenderebbero milioni per strappare dal seno materno i neonati”. Una pratica, quella dell’utero in affitto che è la nuova campagna della milizia Lgbt. Dopo aver ottenuto le nozze, che importa se ancora simil, il nuovo orizzonte è questo: comprare i bambini. Daltronde non c’è da stupiprsi. Che cosa ci si aspetta da un gay pride?
Però resta la tristezza di quei piccoli, sorridenti. Perché cosa sorridevano? Usati per uno slogan? per un messaggio da mandare alle istituzioni? Alla politica e anche alla Chiesa così attenta recentemente alle rivendicazioni di chi rifiuta il progetto creatore di Dio? In quell’immagine non c’è nessun pride, non c’è nessun orgoglio come fa notare, unico tra i politici il senatore di Idea Carlo Giovanardi:
“Le foto diffuse del gay pride di Reggio Emilia mostrano bambini seminudi in un carrello della spesa circondati da persone più o meno vestite. Sarebbe interessante sapere se questa è l’ennesima provocazione o una allusione alla nota rivendicazione dell’ala più oltranzista del movimento LGBT a favore delle adozioni dei bambini e all’acquisto degli stessi attraverso l’utilizzo della ripugnante pratica dell’utero in affitto da parte di coppie omosessuali (pratica egualmente aberrante se praticata da coppie eterosessuali). Ancora più interessante sarebbe conoscere le opinioni del Sindaco di Reggio Emilia e degli amministratori con la fascia tricolore che con la loro partecipazione al Pride hanno avvallato queste rivendicazioni che nulla hanno a che fare con il rispetto dei diritti e la lotta contro le discriminazioni”, ha detto all’Ansa.
C’è un’ideologia che è disposta a passare su tutto, a che sulla pelle dei più piccoli per affermare un diritto che in natura non esiste. E neppure nel cuore dell’uomo. Quella posa, anche involontariamente, ha preso a significare questo, almeno nel sentire di molte persone.
Che cosa si può rispondere a questa impostazione, a queata idea di uomo così sganciata dalla realtà? Come ci si può opporre a questa ideologia che sta lentamente diventando dittatura del desiderio sul diritto naturale? Che sta diventando gaystapo e gaycrazia? Quando anche servirsi dei più piccoli da scandalizzare è diventato normale e normato, chi potrà rimettere le cose su un binario non solo decente, ma soprattutto rispettoso per l’uomo e per il progetto di Dio?
Qui le risposte sono confuse e ad oggi ci duole constatare come le gerarchie ecclesiastiche non riescano a fare altro che abbozzare timidamente una risposta che è soltanto un giocare in difesa.
Servono altri simboli e nel caravanserraglio reggiano che ieri ha toccato il fondo con quei bambini nel carrello della spesa, un simbolo si è levato al cielo con una dignità e una potenza inusitate. In mattinata si è svolta la processione di riparazione per il gay pride annunciata dal Comitato beata Scopelli. Anche qui, i lettori conoscono giò la storia, non serve ripeterla.
La Nuova BQ è andata ad assistere a quel Rosario itinerante in vista della blasfemia che di lì a poco sarebbe cominciata ed è proseguita tutta la notte in un circolo Arci con lo scopo dichiarato di irridere la Chiesa e la teologia della riparazione del peccati con il presidente dell’Arci gay di Reggio che con uno sberleffo chiedeva: “Qualcuno conosce il latino?” Alludeva alla lingua della Chiesa con la quale è stato recitato il Rosario. A sfilare col Rosario in mano erano in circa 350 o 400 fedeli. Persone semplici, provenienti da diverse zone del nord Italia e chiamate con il passaparola social dal Comitato Beata Scopelli.
E c’erano i sacerdoti, a parte don Giorgio Bellei della Diocesi di Modena, c’erano i sacerdoti della Fraternità San Pio X. Loro hanno guidato il Rosario, dietro a loro si sono messi i tanti fedeli reggiani e non. Le immagini mostrano una processione con i preti in talare e cotta e dietro in popolo orante. Le preghiere in latino, poi l’atto di riparazione al Sacro Cuore di Gesù pronunciato al termine con il canto sontuoso del Noi vogliam Dio. In mezzo una sosta davanti al Santuario della Basilica della Ghiara, il tempio più amato dai reggiani.
Le parole di don Mauro Tranquillo, nel fervorino iniziale, non lasciano spazio a dietrologie. “Siamo qui per riparare non solo il peccato del Gay Pride, ma tutti i peccati, che sono anche i nostri. Siamo come la Madonna che sotto la scroce stabat, stava. Siamo qui per riparare alle offese che oggi pomeriggio verranno inferte sul corpo di Gesù, come in quella prima flagellazione che ha così duramente colpito Gesù”.
Nessuna contestazione intorno, i reggiani hanno assistito ai margini della strada incuriositi, qualcuno ha urlato passando in bicicletta “vergognatevi”, ma era appunto qualcuno. Cos’è stato? Un popolo che si è radunato sotto un pastore cattolico per pregare e riparare i peccati. Che cosa c’è di più cattolico e per certi versi più democratico?
E che cosa c’è di più sovversivo della tradizione oggi? A giudicare dallo stupore dei reggiani, nulla.
Qualcuno storce il naso su Facebook: sì, ma sono sacerdoti lefevbriani. Certo, loro hanno occupato quel posto. Loro sono scesi in strada e hanno preso le redini di un popolo che chiede insistentmente ai propri pastori una parola di verità sull’uomo, che chiede ai vescovi di non avere paura nel chiamare il male con il suo nome. Che chiede di non assecondare la deriva omoeretica di tanti teologi à la page.
L’effetto è curioso e profetico al tempo stesso. Sembra quasi che esistano ormai due chiese. Da un lato quella che è ormai prona all’ideologia Lgtb, per paura o per ignoranza, poco importa. A volte anche per interesse. Però appare debole, in ritirata, conformista.
E dall’altra sembra esserci un’altra Chiesa fatta di un popolo che non si stanca di rivolgere lo sguardo al cielo per chiedere protezione e grazie. E che non si accontenta dell’irenismo gnostico e secolarismo imperante che buona parte del clero ormai cerca di dar loro da mangiare. Ma a raccogliere questo grido ieri c’erano dei sacerdoti che oggi non sono in piena comunione con Roma.
Se il processo della San Pio X dovesse concludersi con l’istituzione di una prelatura personale, i sacerdoti lefevbriani potranno dire di essersi presentati a Reggio Emilia con il loro biglietto da visita. In ogni caso a prendere per mano questo popolo così affamato ieri c’erano loro. In mezzo c’è un vuoto, che va colmato. E a colmarlo deve essere la Chiesa gerarchica, fatta di vescovi in comunione con Roma, di parroci e di fedeli che non hanno paura a scendere in strada per pregare per riparare un Gay Pride. Quel vuoto oggi comincia a gridare forte e dice: ascoltateci, non conformatevi alla mentalità del mondo.
Andrea Zambrano in La nuova Bussola Quotidiana