In un contesto dove non si capisce più bene cosa sia la famiglia perché si tende a definire con questo termine unioni senza alcun vincolo, unioni fra persone dello stesso sesso, famiglie allargate; ma anche famiglie frantumate, dove quello che era un progetto iniziato con tanto entusiasmo purtroppo è naufragato. Una definizione che ho trovato su un dizionario recitava: “Nucleo sociale rappresentato da due o più individui che vivono nella stessa abitazione e, di norma, sono legati tra loro col vincolo del matrimonio o da rapporti di parentela o di affinità.”
Di fronte a questa “babele” che tenta di definire la famiglia nei modi più disparati, mentre ancora stiamo vivendo la gioia e il mistero del Natale, noi contempliamo la famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe che diventa punto di riferimento e che Papa Paolo VI descriveva così. “Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo … Essa ci insegna il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricorda cos’è la famiglia, cos’è la comunione d’amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile … Infine impariamo la lezione del lavoro. Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana …”
La famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe sta davanti a noi come un’icona di riferimento, ma vediamo alcune caratteristiche di questa icona a cui ogni famiglia si può ispirare e sviluppare per essere famiglia secondo il cuore e il progetto di Dio. Una delle due preghiere di colletta di questa festa recita: O dio nostro Padre, che nella Santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa’ che nelle nostre famiglie fiorisca le stesse virtù e lo stesso amore…”
- È una famiglia in cui tutti accolgono la volontà di Dio. Gesù che viene per compiere quanto il Padre gli affidato, Maria e Giuseppe che si rendono disponibili nella fede anche se questo significa rinunce e sacrifici, situazioni di difficoltà e di persecuzione. Il Vangelo che abbiamo letto ci presenta la partenza per l’Egitto, la condizione di esuli che sono chiamati a vivere e il ritorno alla morte del loro persecutore. Non è una famiglia fuori dal tempo, ma dentro le vicende favorevoli e sfavorevoli trova nell’adempiere quanto il Signore gli chiede nell’ obbedienza e nella fede, anche in situazioni difficili trova la pace
- Questa famiglia è inserita nella grande famiglia umana di cui Gesù diventa membro. Questo dovrebbe farci riflettere sul grande mistero della vita come dono. L’ uomo non è né il proprietario, non può manipolarla a suo piacimento come accade nelle varie pratiche di fecondazione, nell’ utero in affitto, né delle madri surrogate: non sono secondo quello che è la natura e non sono secondo il disegno di Dio. Così riguardo i figli, che come altre volte ho detto non sono né proprietà né il prolungamento dei genitori, ma ci sono affidati perché li facciamo crescere educandoli!
- Compito difficile educare! Ma educare a cosa? Sempre una delle preghiere di colletta, la seconda, dice: “crescano in sapienza, pietà e grazia rendendo lode al tuo santo nome”. La sapienza non nel senso che possiamo intendere noi, certo la sapienza umana è buona ed è anche questa dono quando usata per l’uomo e non contro l’uomo, ma quella sapienza che è dono dello Spirito e che ci fa fare esperienza di Dio, ci fa vedere gli altri e le situazioni della vita leggendole alla luce del Vangelo e di tutta la Parola di Dio. La pietà che non è la mera compassione, ma quel sentimento che ci rende consapevoli di essere Figli di Dio amati. Rendere lode a Dio riconoscendo che tutto viene da Lui e tutto a Lui deve essere ricondotto. Tutti aspetti che nell’ educazione cristiana e umana dei figli vanno curati, ma sono davvero presenti? Li proponiamo ai nostri figli? Come li proponiamo?
- Ultima parola, facendo riferimento alla prima lettura, il rispetto che i figli devono avere anche quando i genitori, e non solo per il padre: “Sii indulgente, anche se perde il senno,
e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore.” Un rispetto e un amore che non sempre è dato, perché non di rado i figli si dimenticano di essere stati figli e disconoscono i loro genitori, anche se non tutti.
Il Concilio ha parlato della famiglia come “chiesa domestica”, (Lg 11) non fuori dalla Chiesa ma ben inserita e per farla crescere, anche a questo senso di appartenenza noi dobbiamo auto educarci ed educare.
Concludo con quanto dice S. Giovanni Paolo II: “La famiglia fondata e vivificata dall’ amore, è una comunità di persone: dell’ uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Suo primo compito e di vivere fedelmente la realtà della comunione nell’ impegno costante di sviluppare un’autentica comunità di persone” (Familiaris consortio, 18)
Deo gratias, qydiacdon