La recente esortazione apostolica, Amoris laetitia, al capitolo ottavo si occupa della situazione irregolare di chi divorziato ha contratto un nuovo matrimonio. Questa tematica, credo, interpelli tutti su come accedere all’ Eucaristia con le disposizioni dovute. Il Catechismo della Chiesa cattolica al n° 1385 citando le parole che Paolo rivolge alla comunità di Corinto ( 1 Cor 11,27-29) richiama: “ Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione”.
Il Direttorio di Pastorale familiare, pur con una chiara trattazione sul discernimento pastorale, sull’ attenzione che “ i presbiteri e l’ intera comunità cristiana aiutino questi fratelli e sorelle a non sentirsi separati dalla Chiesa; li invitino e li sollecitino, anzi a prendere parte attiva alla sua vita” al n° 219 recita:
“ Fedele al suo Signore comunque non può ammettere alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi stessi a non poter esservi ammessi dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita sono in oggettiva contraddizione con la fede annunciata e celebrata nei sacramenti, sono in aperta contraddizione con l’ indissolubile patto di amore tra Gesù Cristo e la sua Chiesa, significato e attuato all’ Eucaristia; sono in netto contrasto con l’ esigenza di conversione e di penitenza presente nel sacramento della riconciliazione.
Proseguendo al n° 220.
“ Solo quando i divorziati risposati cessano di essere tali possono essere riammessi ai sacramenti. È necessario, perciò, che essi, pentitesi di avere violato il segno dell’ alleanza e della fedeltà a Cristo siano sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’ indissolubilità del matrimonio o con la separazione fisica e, se possibile, con il ritorno all’ originaria convivenza matrimoniale, o con l’ impegno per un tipo di convivenza che contempli
l’ astensione dagli atti propri dei coniugi. (…)
Queste le disposizioni, che non sono state abolite.
Vi è, però, un rispetto che dobbiamo alla Santa Eucaristia che va ben oltre a quelle che sono le norme, sempre da rispettare in vero spirito di carità, che è costituito dalla consapevolezza di quello che Essa stessa è: la presenza vera, reale di Cristo. Riprendo a questo proposito alcuni stralci dell’ articolo di Riccardo Barile, apparso nel Dossier de Il Timone del Gennaio 2016.
La presenza di Cristo nell’ Eucaristia appartiene alla fede della Chiesa e il punto “non negoziabile” è che “ nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino hanno cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il sangue adorabile del Signore Gesù”( Paolo VI, Professione di fede del 30.6.1968).
(…) Il mistero della presenza è all’ origine di atteggiamenti, la contemporaneità dei quali è più facile da affermare che da spiegare: la confidenza nel Dio vicino, consolatore, salvatore, amico, ma insieme l’ adorazione profonda di stare alla presenza: “ Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo santo” ( Es 3,5).
La citazione di Esodo 3,5 potrebbe collegarsi a 1Cor 11,28: “ Ciascuno esamini se stesso”,
prima di accedere alla Eucaristia. Togliersi i sandali significa “ anche” se c’è consonanza tra quanto si riceve nell’ Eucaristia e l’ orientamento della propria vita, senza dire che l’ Eucaristia non è un premio per i perfetti: è vero, ma non c’entra. Se l’ orientamento della propria vita comporta peccati gravi o una condizione non secondo l’ insegnamento della Chiesa, cade la consonanza tra ciò che si è e ciò che si riceve. Accostarsi all’ Eucaristia diventa “ oggettivamente” un sacrilegio. Astenersene diventa una spinta a camminare sulla via della conversione”. ( dqy)