Ecco la via polacca all’Amoris Laetitia

Ieri avevamo annunciato l’esistenza del documento e le linee guida, ora siamo in grado di proporvi i passaggi fondamentali delle linee guida proposte dal Consiglio episcopale per la Famiglia e in attesa di ratifica dalla Conferenza episcopale dai vescovi polacchi per l’attuazione dell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia.

La Conferenza Episcopale polacca infatti, riunita a Lublino in Assemblea, ha preparato un documento che riguarda il matrimonio, e, in pratica indica ai presuli e ai sacerdoti quelle che sono linee guida di comportamento alla luce della Amoris Laetitia. Si intitola: “Indicazioni pastorali dei vescovi polacchi nel campo della famiglia alla luce dell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia”. È un documento ampio e approfondito, in cui si esamina il problema a partire da prima del matrimonio. Fra l’altro si considera necessario, quando ci si trova davanti a dei fidanzati, l’aiuto a far crescere la fede e i legami con la comunità ecclesiastica; l’approfondimento del concetto della vita familiare; l’aiuto a conoscersi reciprocamente e a maturare il legame dell’amore; l’aiuto a riconoscere le discrepanze e a scoprire le sfide nei rapporti. Per fare questo si devono mettere in conto incontri prolungati e parecchi incontri di carattere di seminario-esercizi spirituali.

Una larga parte è dedicata all’accompagnamento delle persone che vivono in situazioni irregolari. Al N.39 del documento si afferma che «I vescovi nelle diocesi e nei decanati o regioni nomineranno sacerdoti assistenti per le persone che vivono in situazioni irregolari. Dovrebbero essere pastori ben preparati e esperti. Il compito degli assistenti diocesani sarà quello di condurre la formazione in questo campo per gli altri sacerdoti e di sviluppare e coordinare questo ministero nella diocesi. Il compito degli assistenti parrocchiali e regionali sarà quello di organizzare il lavoro pastorale locale, in particolare la formazione di gruppi e di incontri per persone in situazioni irregolari. Le congregazioni religiose si impegnino a creare i centri pastorali per le persone che vivono in situazioni irregolari in grandi centri urbani o presso dei santuari. Il loro ministero deve essere tenuto in stretta collaborazione con i pastori diocesani».

Il testo è particolareggiato, e preciso, a seconda delle situazioni. Per esempio, per i cattolici che abitano insieme e vivono “more uxorio” senza impedimenti canonici, si raccomanda un accompagnamento graduale fino a piena accettazione e del Vangelo; la preparazione al matrimonio; e se possibile, fino a quel momento la pratica della castità e della separazione.
Per i cattolici legati dall’unione civile senza ulteriori impedimenti si consiglia l’accompagnamento con pazienza, ma non l’accesso ai sacramenti.
E poi naturalmente c’è il problema del divorzio e della separazione. Per  i cattolici separati e divorziati, che non hanno contratto la nuova unione si raccomanda: «rispetto, solidarietà, aiuto, accompagnamento, cura da parte della comunità ecclesiastica. Una pastorale della riconciliazione; e se non sono altrimenti impediti, l’accesso ai sacramenti».

Infine ci sono «I cattolici dopo la disintegrazione di un matrimonio sacramentale che vivono insieme senza una regolazione legale oppure in una nuova unione civile». Il N.44 del testo afferma: «Dopo la disintegrazione di un matrimonio sacramentale può sorgere un trauma all’istituzione del matrimonio. Succede che gli individui, avendo sperimentato il dramma della disintegrazione del matrimonio, abbiano intrapreso una nuova relazione informale. Alcuni hanno impegnato nuovi impegni attraverso il matrimonio civile.
In entrambi i casi, attraverso la vita more uxorio, si trovano in una situazione irregolare che impedisce loro di ricevere l’assoluzione e di ricevere la Santa Comunione. Tuttavia, si dovrebbe ricordare la pratica della Chiesa, con la quale, la riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, ‘assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi’. […] Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità (FC 84). I pastori dovrebbero prestare particolare attenzione a queste persone (vedi AL 297)».

Il documento (N.45) ricorda che «Il primo passo nel percorso di accompagnamento dovrebbe essere quello di invitare e aiutare a discernere la propria situazione e ascoltare pazientemente e comprendere le razioni soggettive. Le persone che hanno riconsiderato la propria situazione alla luce del Vangelo, sono incoraggiate a prendere la via della riconciliazione e il ritorno al coniuge sacramentale. Utili su questo cammino possono essere associazioni che sostengono matrimoni difficili, vari ritiri o laboratori gestiti da pastori esperti, coniugi e specialisti.
Se la persona non è pronta o è soggettivamente convinta dell’impossibilità di tornare al coniuge sacramentale (cfr. AL 298), un prete dovrebbe incoraggiarla a partecipare alle riunioni di comunità per le persone che vivono in situazioni irregolari. Inoltre, quando non c’è possibilità di tornare al coniuge sacramentale, è comunque necessario perdonare e riconciliarsi con lui e riparare ogni danno possibile».

Nel caso ci siano dubbi sulla validità del matrimonio, il pastore dovrebbe aiutare a rivolgersi al tribunale ecclesiastico. «Alcune persone sono resistenti a questo passaggio, anche se sospettano che il loro matrimonio canonico non sia valido. Il compito della diocesi è quello di fornire servizi di informazione, consulenza e mediazione e garantire l’affidabilità della ricerca in corso sulla validità dei matrimoni. Il corretto funzionamento dei tribunali è essenziale, che è legato alla necessità di preparare il giusto numero di operai, del clero e i laici (vedi AL 244)».

Il testo insiste molto sulla necessità di un accompagnamento pastorale, e sulla non esclusione dalla comunità ecclesiale​​. «Coloro che vivono in nuove relazioni more uxorio, hanno bisogno dell’aiuto del sacerdote, della cura della comunità parrocchiale e del sostegno del gruppo pastorale. La Chiesa vuole dare loro a disposizione i mezzi di salvezza e li circonda con la preghiera. Li invitiamo ad essere coraggiosi nella fede e nella speranza.  [..] e li incoraggiamo ad usare la leadership spirituale e condurre conversazioni oneste con il sacerdote, che li aiuterà a comprendere l’azione di Dio nella vita e trovare un modo di riconciliazione con Lui».

In questo campo il testo sottolinea quanto Amoris Laetitia afferma sulla necessità di uno studio più profondo della complessa situazione spirituale e della responsabilità morale dei fedeli. Anche se «La Chiesa ribadisce ‘la pratica basata sulla Sacra Scrittura (cfr . Mc 10,2-12), di non ammettere divorziati risposati ai sacramenti, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, che si esprime e nell’Eucaristia’ (SC 29, cfr. FC 84). Rimanere nel peccato di adulterio impedisce loro di ricevere l’assoluzione e ricevere la Santa Comunione».

«Papa Francesco insegna che ‘Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione’(AL 79). Il discernimento della responsabilità dovrebbe tener conto della differenza tra coloro che hanno sinceramente cercato di salvare il loro primo matrimonio e sono stati ingiustamente abbandonati, e coloro che per la propria colpa ha distrutto un matrimonio valido». È quindi necessario elaborare il discernimento individuale della responsabilità e cercare il modo per correggere gli errori.

«È importante riconoscere innanzitutto quale sia l’attuale ostacolo al compimento della volontà di Dio – afferma il N.50 del testo -. Può essere una vita more uxorio dei divorziati, nell’attuale volontà di questi, senza il pentimento e senza la conversione come anche senza la volontà di vivere come ‘fratello e sorella’ (SC 29). Tale stato è oggettivamente incompatibile con la legge di Dio e quindi le persone non possono accostarsi alla Comunione finché questa situazione persiste. Se non è possibile separarsi, ma sono sinceramente pentiti e decidono davanti il confessore ‘di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi’, possono ricevere l’assoluzione sacramentale e ricevere la Comunione, cercando di evitare lo scandalo [Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo la Santa Comunione per i fedeli divorziati che vivono in nuovi rapporti (14.09.1994)]».

 Il documento raccomanda che «Ogni comunità parrocchiale dovrebbe mostrare  la fantasia della carità e di vedere i fratelli e sorelle che, a causa della rottura del rapporto sacramentale vivono in una situazione irregolare, ed a volte si sentono respinti. Hanno bisogno di essere aiutati a trovare il loro posto nella Chiesa (AL 312)». Quindi «C’è la necessità di ‘un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità (AL 243). Queste persone possono essere i membri del consiglio pastorale, diocesano e parrocchiale e prendere parte al Sinodo particolare. Non ci sono ostacoli ad impegnarsi nella vita e nelle attività delle associazioni religiose, partecipando al coro parrocchiale o parrocchiale. Inoltre, la loro presenza può contribuire a sviluppare programmi pastorali efficaci per le persone che vivono in situazioni irregolari. L’Ordinario del luogo può permettere a loro di condividere la sua esperienza di crescere nella fede durante le azioni pastorali tipo ritiri, missioni parrocchiali, ritiri per divorziati risposati. I pastori possono anche discernere altri modi di coinvolgere questi individui e coppie nella vita della comunità».

«Non intendiamo né escludere né discriminare nessuno – affermano i vescovi polacchi -. Tuttavia, ‘se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità”(AL 297). Oltre alla missione della predicazione e della catechesi, anche alcuni ministeri liturgici e le responsabilità che ne derivano sono incompatibili con lo stato oggettivo della vita delle persone che vivono dopo il divorzio in una nuova relazione. Quindi non possono eseguire il ministero del ministro straordinario della Santa Comunione». E inoltre, «Data l’importanza dell’esempio personale di fede nell’educazione cristiana vivente, a queste persone non dovrebbe essere consentita anche la dignità della madrina o padrino».

L’accoglienza non deve però dare luogo ad ambiguità: «I pastori non possono fare gli atti, le cerimonie e le gesti, pubblici e privati, per i divorziati, che potrebbe essere intesi come un avallo, il riconoscimento o la benedizione di un nuovo rapporto». «Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto (FC 84)».

Marco Tosatti – La NBQ

 

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