La Passione, in san Marco (come negli altri sinottici) ci dice che il Signore esteriormente l’ha subita, ma interiormente e volontariamente l’ha presa su di sé. Noi subiamo, talvolta giungiamo ad essere rassegnati, ma non accogliamo con amore, non affrontiamo.
Siamo ben lontani dall’atteggiamento che D. Bonoffer qualificava come “resistenza e resa”. Non siamo davanti al dolore, all’ingiustizia e alla morte, degli eroi titanici, ma dobbiamo saper resistere proprio quando ci arrendiamo a Dio, che è l’ultima parola. In tutta la nostra debolezza diventiamo forti se ci affidiamo con Gesù al Padre.
Per chi soffre, per gli apostoli scoraggiati, per gli sposi e i genitori, per i religiosi o le religiose, la Passione è un invito alla “resa” e alla “resistenza”, è un invito a riflettere: non si dice più nulla quando si è fatto tutto quello che si doveva fare.
Un ultimo aspetto della croce da accogliere, che mi sembra tale da riassumerli tutti. Leggo che la matita è caduta su queste parole, le ultime di P. Valery: “Dopo tutto nessuno prima del cristianesimo aveva detto che Dio è amore”. Uno scrittore commenta: “Prima non esisteva chi aveva detto una parola per chi pensava di essere morto invano”.
Perciò davanti alla Croce facciamo silenzio, ma col cuore pieno del mondo diciamo piangendo come Pietro dopo il tradimento: “Tu sei l’Amore”.
Se lo comprendiamo, comprendiamo che il racconto della Passione è un Vangelo, cioè “una buona notizia”.
Da ascolta La Parola ed. Messaggero Padova