Aurelio Porfiri nei suoi dispacci di oggi si dedica in maniera particolare al tema della libertà, di stampa e di pensiero, in Cina. Con qualche annotazione personale di grande interesse, perché dimostra che la libertà di coscienza e di fede proclamata sulla carta dal governo comunista nella realtà è ampiamente disattesa. Niente di nuovo, direte voi, e avete ragione; ma c’è chi a questa controparte, con un accordo segreto, affida la scelta dei vescovi. Vi pare normale e ragionevole?
Il controllo subliminale di Pechino
Mi viene da riflettere sul tema della libertà di opinione nella Cina. Papa Francesco nel suo Messaggio ai Cattolici Cinesi dopo la firma dell’accordo provvisorio parlava della “fatica di dire una parola critica”. Per la mia esperienza posso rassicurare sul fatto che il governo cinese quella fatica la fa risparmiare. Nel senso che subliminalmente sa come scoraggiare ogni possibilità di critica. Qui da noi, abbiamo stampa di regime e stampa contro il regime. Le due coesistono legalmente. Ma in Cina? Vediamo due esempi personali da Macao e Hong Kong.
Anni fa sono stato incoraggiato a mandare il curriculum per collaborare con un’università non cattolica. Mi ha risposto un mio ex collega che mi ha riferito che non potevo essere considerato per via del mio background cattolico (ma non c’è libertà di professare la propria religione?).
Hong Kong: ho chiesto ad un media di Hong Kong di fare una recensione di un libro che parla di Cina e Vaticano. Mi hanno detto che erano interessati ma che dovevano leggerlo in quanto questo media era sostenuto dal governo e che quel tema era un poco “sensitive” (ma non c’è libertà di opinione?).
Potrei fare altri esempi solo per dimostrare che in questo tipo di controllo da quelle parti sono maestri. E si pensi che stiamo parlando di Macao e Hong Kong, dove il controllo esiste ma ancora è di tantissimo più rilassato di quello che abbiamo nella Cina continentale. Ognuno può fare le sue valutazioni.
Nomina dei vescovi, il nodo dell’ingerenza…
Articolo interessante di Ines A. Murzaku su “The Catholic Thing” riguardo all’accordo fra Cina e Vaticano. Ecco il passaggio finale in una mia traduzione: “Quindi, tornando all’accordo provvisorio sino-Vaticano e al discorso del Santo Padre: il Santo Padre sta andando contro l’insegnamento del Vaticano II e sta andando indietro di cinquanta anni? Questo spiega perché ha detto che le relazioni sino-vaticane stanno prendendo “due passi avanti e uno indietro, due avanti e uno indietro”. Il passo indietro è di cinquant’anni, e potrebbe avere conseguenze devastanti per la Chiesa cattolica cinese. Nel 1906 Vladimir Lenin pubblicò One Step Forward, Two Steps Back – Crisis in Our Party. Lenin era meno ottimista nel prendere provvedimenti per porre rimedio alla scissione nel suo partito. Dovremmo dire “due passi indietro e uno avanti” è sintomatico di una profonda crisi nelle relazioni sino-vaticane?”. L’autrice nell’inizio dell’articolo aveva ben ricostruito le ingerenze dei poteri civili del passato nelle nomine dei vescovi. La storia sembra ripetersi.
Un tweet di Raymond Arroyo
Raymond Arroyo è un noto giornalista della EWTN americana, molto vicino a Madre Angelica, fondatrice del network. Conduce “The World Over”. In un tweet ha affermato: “Mons. Gou, il vescovo cinese lodato al Sinodo a Roma, è un membro votante del Parlamento comunista cinese. Ha votato per limitare i diritti di coloro che dovrebbe servire. Il cardinale Zen aveva ragione. Pregate per i fedeli della Cina” (mia traduzione).
Vescovi al Sinodo: non lo hanno neanche seguito tutto…
Mi è venuto un dubbio ma sicuramente ho torto io. Si è molto parlato della partecipazione dei due vescovi cinesi al Sinodo. Ad un certo punto, per impegni presi in precedenza, tutti e due (mi sembra) hanno lasciato Roma prima. Ma insomma, essendo questa una partecipazione storica, non era proprio possibile lasciarli a Roma fino alla fine? Non lo so, forse quello che dovevano fare era proprio imprescindibile, ma allora perché non scegliere altri due vescovi che sarebbero stati liberi per tutto il tempo previsto per i lavori? Sarebbe stato bello averli fino alla fine.
Mediazione nel contesto
Da “Pillole di Cina” di Massimo Donda: “I cinesi sostituiscono al nostro principio di “veridicità” un principio di “mediazione nel contesto”, che tenga conto delle relazioni interpersonali e del fatto di salvaguardarle evitando l’esposizione al conflitto. La comunicazione è dunque strategia del nascondere e del far intravedere, quindi anche strategia del leggere tra le righe”. Queste interessanti osservazioni sulla Cina, che trovo molto profonde (ecco perché ne riporto varie) ci fanno riflettere su come il cinese si relaziona in modo profondamente diverso rispetto all’occidentale con l’idea di verità. Per loro la verità dipende dal contesto e non dal fatto oggettivo. Certo, questo non significa che i cinesi non riconoscano la verità dei fatti oggettivi in assoluto, ma la loro prospettiva culturale li porta a vedere questo elemento, così centrale nella nostra riflessione filosofica – e non solo in quella – in modo diverso da noi.
Libertà di stampa? Forse, purché…
Tweet di Aaron McNicholas, giornalista che vive vive in Hong Kong: “I dirigenti dei media si sono incontrati oggi [16 ottobre] con il capo della propaganda Huang Kunming a Pechino. Il CEO di Sing Tao [giornale in lingua cinese di larga diffusione in Hong Kong] ha detto ai giornalisti che Huang spera che i media di Hong Kong non interferiscano nella politica della Cina continentale. Questa frase è stata presumibilmente censurata dalla copertura della riunione su pressioni del Liason Office” (mia traduzione). Il Liason Office è il rappresentante degli interessi del governo centrale presso Macao e Hong Kong.
Lo confesso: soffro di mal di Cina
Malgrado quello che a volte dico nei miei Dispacci, distinguendo sempre il governo cinese dal popolo di cinese, devo confessare che amo la Cina, la amo di uno strano amore. Pur non perdendo mai di vista la differenza che esiste fra noi e loro, questa comprensione della lontananza stranamente mi avvicina a questo popolo, come se da lontano fossi in grado di vedere l’insieme, più che le situazioni particolari.
Non ho dubbi che il cinese, pur se con alcune barriere culturali, può coltivare un profondo senso religioso e ne ho visti tanti che mi sono stati e state modello di virtù cristiana e di fedeltà cattolica. La distanza culturale non separa, unisce in un modo differente.
Marco Tosatti in Stilum Curiae