Nelle stesse ore in cui la classe politica tutta e l’opinione pubblica ancora deprecavano il raid razzista di Luca Traini, elevato a modello di quell’intolleranza che ammorberebbe il Paese, la situazione di Innocent Oseghale, il pusher accusato della morte della povera Pamela Mastropietro, diciottenne romana i cui resti sono stati trovati in un due trolley a Macerata, è sensibilmente migliorata. Infatti, benché gli inquirenti lo accusino di tre gravissimi reati – l’omicidio, il vilipendio e l’occultamento di cadavere – il gip, Giovanni Maria Manzoni, ha escluso per lui la contestazione dell’omicidio della giovane.
Alla base di questa decisione, secondo fonti giudiziarie, l’asserita assenza di prove certe per sostenere l’addebito di omicidio per il quale Oseghale, comunque, resta indagato. Nel frattempo un altro spacciatore nigeriano è invece indagato per la cessione di eroina a Pamela, che era scappata da una comunità di recupero. Questo, in estrema sintesi, il quadro attuale. Ora, senza voler nulla eccepire sul versante giudiziario di una vicenda che avrà comunque, e presto, nuovi sviluppi, non ci si può tuttavia esimere dal registrare l’ombra di un odioso doppiopesismo mediatico e non solo rispetto alla situazione di Traini e Oseghale.
Il folle gesto del primo, infatti, è stato subito non solo stigmatizzato ma – come si diceva – additato come esito della politica di odio promossa da alcune forze politiche. Come se simpatizzare per la destra o essere già stato candidato in partiti non di sinistra facesse di un cittadino un potenziale killer. Sragionando allo stesso modo se ne dovrebbe concludere – memori della vicenda di Luca Bianchini, il già coordinatore di un circolo Pd romano rivelatosi stupratore seriale – che votare a sinistra parimenti esponga a pulsioni violente; ma è un’associazione farneticante che ci risparmiamo, anche se nel caso di Macerata è stata invece usatissima dai noti maître-à-penser progressisti.
Curioso, invece, come – a prescindere dalle responsabilità di Oseghale – per l’omicidio della povera Pamela i toni siano stati molto più cauti. Quasi nessuno, per esempio, ha utilizzato il termine «femminicidio». Forse perché di mezzo, stavolta, c’è un sospetto omicida immigrato? Sarebbe interessante capirlo dato che solitamente i mass media, si sa, non brillano per prudenza lessicale. Tutt’altro. In questo caso invece sì. Pura casualità, c’è da sperare. Esattamente come c’è da sperare che la magistratura e le istituzioni tutte non si rendano conto dell’effetto socialmente detonante che potrebbe avere quel singolare garantismo che aleggia attorno nigeriano.
Non perché non vadano, anche a costui, riconosciuti tutti i diritti di qualunque indagato e imputato. Ma perché questa vicenda rischia di portare davvero all’esasperazione, in quanto emblematica di fenomeni più ampi e trasversali. Anzitutto, quelli di flussi migratori fuori controllo al punto che uno come Oseghale – come giustamente ha dichiarato la madre di Pamela – semplicemente non doveva essere in Italia, non avendo nessun titolo per soggiornarvi. Da non sottovalutare, inoltre, la dimensione economica che accompagna l’immigrazione.
Basti qui ricordare, per rendere l’idea, che la Onlus che in passato aveva ospitato il nigeriano vanta centinaia di dipendenti e, solo nel 2016, ha superato i 20 milioni di euro di fatturato, totalizzando un volume d’affari superiore a molte aziende del luogo. Non è forse abbastanza, questo, per indignarsi? Si fanno giustamente, anche in casa cattolica, costanti richiami contro la logica disumanizzante del profitto: ma cos’è di diverso quella di un sistema dell’accoglienza che prospera su un fenomeno migratorio che, almeno nella sua genesi, è indistinguibile dal traffico schiavista e poi riversa sulle strade agguerriti spacciatori?
Come si fa a non capire che rilanciare la retorica dell’antirazzismo e dell’accoglienza, senza nulla dire sulla gravità di una realtà de facto fuori controllo – e senza adottare provvedimenti conseguenti -, comporti non il spegnere bensì il soffiare sul fuoco del cosiddetto populismo? Sono evidentemente quesiti impegnativi e politicamente assai scorretti, ma che chi rappresenta le istituzioni, chi ha responsabilità nel mondo dell’informazione e anche in quello ecclesiastico deve iniziare a porsi. Altrimenti gli orrori di Macerata potrebbero essere prodromici a qualcosa di peggio. Dinnanzi al quale, mai accadesse, e ovviamente non ci si augura, nessuno potrà dire che non sapeva.
Giuliano Guzzo – La NBQ