Dal Vangelo secondo Marco
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
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Tempo fa partenza dei ragazzi per il campeggio estivo. Celebrazione della Messa. Nel primo banco un bimbetto che reggeva fra le mani un pacco di biscotti. Glieli aveva dati la mamma per il viaggio nel caso che gli fosse venuta fame. Anche la nostra vita può essere paragonata ad un grande viaggio durante il quale avere fame.
Una fame materiale di quanto ci è necessario per vivere dignitosamente per noi e per i nostri cari. Per soddisfare la quale ci diamo da fare impiegando tempo, energie, ingegno.
Ma ciò che è materiale non può bastare all’uomo, perché l’uomo non è solo materialità. Pensiamo quanti sentimenti nei nostri cuori gioie, dubbi, dolori, attese e risposte a domande di senso; potremmo fare un lungo elenco.
Una fame che spesso non è avvertita, ma che emerge prepotente di fronte a certi accadimenti che ci toccano da vicino ai quali ci rivolgiamo. Valori come la vita, la giustizia, la verità, la fraternità, la solidarietà; anche qui si potrebbe fare un lungo elenco.
Ma cosa facciamo per soddisfare questa fame? Forse potremmo fare di più. Io penso, però, che tanti nel loro piccolo facciano il possibile
Vi è poi anche un’altra fame che è quella di vita, di eternità che l’uomo cerca di soddisfare, ma a cui non riesce a rispondere da solo, nonostante la scienza e la medicina abbiano compiuto passi da gigante.
La risposta va cercata altrove. Dove? Nell’ esperienza della fede, nell’ esperienza di Dio. Quella che il credente fa nella celebrazione della Messa dove nel pane e nel vino crede vi sia la presenza reale di Gesù. La risposta della teologia non è così complessa come sembra: “Transustanziazione, cioè la presenza reale del Cristo nel sacramento eucaristico, attraverso il passaggio totale della sostanza del pane e del vino in quella del corpo e del sangue di Cristo in virtù delle parole della consacrazione pronunciate dal sacerdote durante la Messa.”
Se la risposta con la formula teologica è abbastanza semplice vi è anche un’altra risposta da dare che non è così scontata e neppure semplice, nè per chi crede, ma nemmeno per il ministro che celebra. Si tratta di darla con e nella vita. Il credere, e il credere in Gesù Cristo non è qualcosa di intellettuale, ma qualcosa di concreto che coinvolge l’esistenza.
Il cambiamento di sostanza del pane e del vino nel Corpo e sangue di Cristo deve essere accompagnato da un cambiamento sostanziale del fedele che partecipa all’ Eucaristia.
Scrive un commentatore: “Se la comunità afferma che Dio è un pezzo di pane e che Dio si fa mangiare da tutti “totalmente”, significa che in Lui alberga la bontà più autentica, la condivisione più completa, la tenerezza più inimmaginabile.” Se questo è vero, e lo è adesso tocca a noi. Tutti dal Papa all’ ultimo dei fedeli. Rimanere in adorazione davanti al SS. Sacramento è certamente una cosa grande e bella, ma comporta la sollecitudine verso i poveri, gli esclusi, gli emarginati, i piccoli e i deboli che non hanno nessuno che li difende.
Ecco, quindi che la festa che celebriamo ricordandoci di un’assenza che si fa presenza, come qualcuno che amiamo parte per un viaggio lontano e non sappiamo quando tornerà ci ricorda che il nostro credere nella presenza del Signore nel pane e nel vino debbono essere coniugati diventando noi stessi nutrimento di tutti quelli che non hanno riconosciuto la loro dignità, del farci fratelli universali di tutti e servilo nei suoi figli meno tutelati.
Chiediamo al Signore quando ci accosteremo alla S. Comunione di avere il coraggio di comprometterci in questo.
Deo gratias,qydiacdon