L’ultima World Watch List, il rapporto annuale redatto dall’associazione Porte Aperte, parla chiaro: la persecuzione di cristiani a livello globale, in 12 mesi, è cresciuta di 2,6 punti. Oltre 7.100 persone sono state trucidate a motivo della loro fede (circa il 61% in più dell’anno precedente, quando furono 4.344) mentre le chiese assalite sono state 2.400 (il 125% di attacchi in più rispetto ai 1.062 accertati nel 2014). Coprendo il periodo che va dal 1 Novembre 2014 al 31 Ottobre 2015, la WwList ha dunque misurato il grado di libertà dei cristiani nel vivere la loro fede in 5 sfere della vita quotidiana: nel privato, in famiglia, nella comunità in cui risiedono, nella comunità che frequentano e nella vita pubblica del Paese in cui vivono.
Il quadro tracciato è a tinte fosche. Il principale fattore persecutorio è rappresentato dall’estremismo di matrice islamica. Basti pensare che esso riguarda ben 35 dei primi 50 Paesi inseriti da “Porte Aperte” nella sua classifica. Decisiva è stata, in questo senso, l’ascesa dell’Isis in diverse nazioni arabe del bacino del Medio Oriente. Come in Iraq, passata dal terzo al secondo posto, o in Siria, che, in confronto al 2015, è scesa di una sola posizione (era quarta mentre ora è quinta) nonostante l’attacco incrociato di Russia, Damasco e coalizione a guida americani che ha strappato intere regioni al Califfato. Dove non c’è il Daesh ci sono altri gruppi a spargere terrore e distruzione. A colpire in Pakistan a Pasqua sono stati i Talebani, attivi anche in Afghanistan. Nei due Paesi asiatici le prevaricazioni anti cristiane sono cresciute, con la conseguenza che entrambi hanno guadagnato posizioni nella Wwl e restano nella Top 10. Stesso scenario in Africa. In Nigeria, ad esempio, le violenze di Boko Haram e dei temibili mandriani Hausa-Fulani hanno costretto migliaia di persone alla fuga. Anche in Kenya molti cristiani stanno progressivamente lasciando le zone a maggioranza musulmana. Un esodo biblico, un fiume di persone che cerca asilo in Paesi più tolleranti e verso il Mediterraneo.
Non è solo l’integralismo a rendere aspra la vita di chi crede in Gesù. A volte è la politica a fomentare l’odio. Da una parte c’è il “nazionalismo religioso”, folle residuo della teocrazia che trasforma i non appartenenti alla fede di Stato cittadini di serie B. Così vediamo l’India di Narendra Modi, leader dei nazionalisti Indù, passare dal 21esimo al 14esimo posto. Dall’altra c’è la “paranoia dittatoriale”, propria di regimi socialisti e comunisti. Lo Corea del Nord, con i suoi campi di prigionia, resta prima nel ranking. Ma ci sono anche il Laos e la Cina, che non crescono e non calano. Restano lì, tra i 50 Paesi in cui adorare la Croce e professare il Vangelo è ancora un reato che può costare la libertà e, a volte, la vita.
Da CACCIA AI CRISTIANI
di Luca La Mantia – in: In Terris