Nel III secolo vennero definiti lapsi i cristiani che per sfuggire alle persecuzioni accettarono di bruciare incensi alle divinità pagane pretendendo di mantenere segretamente la fede cristiana. Sono sempre stati condannati dalla Chiesa, ma oggi l’accordo Cina-Vaticano rovescia il giudizio: i veri fedeli cattolici sono i lapsi, questa è la vera svolta storica.
Durante le persecuzioni del III secolo, non tutti i cristiani ebbero la forza di resistere fino al martirio. E siccome l’imperatore richiedeva un certificato che attestasse il ritorno al paganesimo dei cristiani, diversi di loro cedettero. Alcuni tornando effettivamente al paganesimo, ma molti altri compiendo un gesto esteriore (tipo bruciare l’incenso alle divinità pagane) per ottenere il certificato ma mantenendosi cristiani nel cuore (almeno nell’intenzione). Furono chiamati lapsi, cioè “caduti, scivolati”. La Chiesa non ha mai giudicato bene i lapsi, malgrado alcuni sicuramente pensassero in buona fede di poter salvare così la fede cristiana dall’annientamento. Così per coloro che, successivamente chiedevano di rientrare nella piena comunione con gli apostoli, fu prescritto un lungo cammino penitenziale. Dovevano davvero dimostrare il desiderio di una piena conversione.
Nel corso della storia, davanti alle tante persecuzioni che la Chiesa ha dovuto subire in tutto il mondo, la vicenda dei lapsi si è ripetuta molte volte e, pur cambiando nel tempo le modalità di gestire la situazione, la Chiesa ha sempre avuto un giudizio chiaro di condanna, pur mantenendo un atteggiamento di accoglienza per quanti si sono poi pentiti e realmente convertiti. Questo almeno fino ad oggi.
L’accordo tra Cina e Santa Sede sulla nomina dei vescovi (ora affidata al regime cinese) rovescia il giudizio, ed è questa – più ancora che l’accordo in sé – la svolta storica: ora i veri fedeli cattolici sono i lapsi, ovvero coloro che per evitare la persecuzione hanno aderito all’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, organismo creato e diretto dal Partito comunista con lo scopo di porre sotto il proprio totale controllo la Chiesa cattolica così come avviene anche per le altre religioni “ufficiali”. A sbagliare sono i fedeli della Chiesa cosiddetta “clandestina” o “sotterranea”, coloro che in questi settanta anni hanno pagato con il sangue e persecuzioni di ogni genere la fedeltà al Papa.
Racconto un aneddoto, tanto per capirci. Molti anni fa, insieme a un missionario ho incontrato a Shanghai un sacerdote della Chiesa sotterranea; ebbene chiedevamo tra l’altro informazioni su questo o quel vescovo, finché giunto ad un nominativo il nostro prete ci pensa su un po’ e dice: «Mmhh, non è mai stato in prigione, non è buono». Allora in Vaticano la si pensava allo stesso modo (almeno al vertice), oggi il giudizio è rovesciato e a doversi “convertire” sono i fedeli della Chiesa sotterranea: in fondo, si dice, i “patriottici” hanno permesso di tenere aperte le chiese e mantenere un canale aperto con il regime.
Era sostanzialmente anche la posizione del senatore Giulio Andreotti, che da direttore del mensile 30 Giorni trasmise questo approccio alla sua redazione. E forse non è un caso che oggi i giornalisti più accesi nel difendere la realpolitik vaticana e nell’insultare quanti non si adeguano, arrivino proprio da quella “scuola” (e guarda caso sono anche i più determinati “guardiani della rivoluzione” ecclesiale in atto).
Peraltro, il giudizio su Chiesa patriottica e sotterranea non è legato alle mutate condizioni in Cina che oggi potrebbero richiedere un diverso approccio. Anzitutto perché l’accordo avviene non certo in un momento di apertura del regime cinese; al contrario, la presidenza di Xi Jinping, quanto al rapporto con le religioni, ricorda molto da vicino i tempi della famigerata “Rivoluzione culturale” di Mao Zedong. In secondo luogo, gli artefici vaticani dell’accordo con la Cina, condannano anche l’atteggiamento passato di quanti non hanno aderito all’Associazione patriottica. Leggiamo un passaggio illuminante del commento scritto il 22 settembre sul Corriere della Sera da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e certamente tra i “suggeritori” dell’accordo (non a caso sul Corriere egli anticipa e spiega sempre ciò che sta per accadere tra Santa Sede e Cina). Scrive dunque Riccardi spiegando le origini della divisione: «D’altra parte si è parlato di una “Chiesa clandestina”, con vescovi riconosciuti da Roma, che credevano di dover resistere al controllo governativo».
«Credevano di dover resistere»: era evidentemente una impressione soggettiva, magari condivisa dai Papi di allora, ma non necessariamente la cosa giusta, anzi alla luce dei fatti odierni era evidentemente sbagliata. Non bruciare incensi alle divinità pagane su ordine dell’Imperatore, non è più una virtù.
La discontinuità rispetto al passato è così evidente che i soliti “guardiani della rivoluzione” si sentono in dovere di dimostrare che Francesco sta solo attuando ciò che anche i suoi predecessori volevano fare. Anche Giovanni Paolo II – si dice – voleva un accordo con Pechino, anche Benedetto XVI affermava che non si può andare avanti in uno stato di conflitto eterno con le autorità cinesi; addirittura c’è chi si spinge ad affermare che Benedetto XVI era d’accordo perfino sulla nomina dei vescovi da parte del governo cinese (e allora chissà perché, visto che “il chi nomina i vescovi” è sempre stato il cuore del problema, l’accordo non è stato firmato da papa Ratzinger). In realtà, le cose stanno ben diversamente: un conto è il desiderio, un conto che ci siano le condizioni per realizzarlo rispettando la natura della Chiesa.
Giovanni Paolo II certamente aveva a cuore la Cina e la soluzione del problema del rapporto con il regime per il bene dei cattolici cinesi; tante volte ha mandato messaggi in questo senso e lasciava agire sul campo personaggi come il segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano, e il cardinale Roger Etchegaray che si spingevano anche a concessioni molto generose. Ma Giovanni Paolo II conosceva anche come trattare con i regimi comunisti e, mentre mandava segni di distensione, mantenne ferma la decisione di canonizzare il 1° ottobre 2000 (anniversario della fondazione della Repubblica maoista) 120 martiri cinesi, gesto che irritò non poco (per usare un eufemismo) il regime.
Quanto a Benedetto XVI, si cita la sua Lettera ai cattolici cinesi del 27 maggio 2007, come la base degli accordi odierni. Ci spiega infatti una entusiastica Stefania Falasca dalle colonne di Avvenire che Benedetto XVI così scriveva: «Auspico che si trovi un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti sia la scelta dei candidati all’episcopato sia la pubblicazione della nomina dei vescovi sia il riconoscimento — agli effetti civili in quanto necessari — del nuovo vescovo da parte delle Autorità civili». E poi aggiungeva che «la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili».
Siccome la menzogna si nutre di mezze verità, la citazione di Benedetto è ovviamente tagliata su misura. L’auspicio dell’accordo, nella lettera del 2007, è preceduto da numerosi passaggi in cui è assolutamente chiaro che il compito di nominare i vescovi spetti alla Chiesa e non al regime. Lo si intuisce anche dalla frase citata che lascia intendere chiaramente che il problema consiste nel come far accettare le nomine episcopali alle Autorità civili.
E quanto al fatto che la soluzione dei problemi non si trova attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili, la frase di Benedetto XVI così prosegue: «Nello stesso tempo, però, non è accettabile un’arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa».
Se non fosse chiaro, per Benedetto XVI i vescovi non possono essere nominati dal governo cinese.
L’accordo attuale, laddove l’unica cosa chiara è che a nominare i vescovi è il regime – e prova ne è che sono stati subito accettati nella comunione con il Papa i sette vescovi recentemente nominati in segno di sfida dal governo senza il consenso della Santa Sede – è in evidente discontinuità non solo con i Papi precedenti ma con tutta la tradizione della Chiesa.
I nuovi lapsi sono i veri vincitori, non solo in Cina.
Riccardo Cascioli in La NBQ