Voi chi dite che io sia? Questa è la domanda che il Signore Gesù pone ai suoi. Questa domanda, che è come un pugno nello stomaco, ci interpella: sei sicuro della risposta che dai?
Qual’é questa risposta ciascuno di noi la conosce, sta dentro al suo cuore, dentro alla sua vita, nei gesti e nelle scelte di ogni giorno. Per rispondere a questa domanda occorre aver fatto esperienza di Gesù. Proprio poco prima le folle hanno visto, sono state oggetto del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci con cui è stata soddisfatta la loro fame. Hanno incontrato Gesù come taumaturgo, come guaritore e lo sono andate a cercare … noi cerchiamo Gesù? E, se lo cerchiamo ci siamo chiesti chi è per me e perché lo cerco?
Per rispondere alla domanda: chi è per me, con una professione di fede come quella che pronuncia Pietro occorre incontrare e sapere riconoscere Gesù, anche oggi in cui Egli ci passa accanto in un modo che non è evidente agli occhi.
Questo spazio che mi permette di riconoscerlo è quello della preghiera, del silenzio. In questo che è lo spazio dell’intimità con il Signore, faccio esperienza di Lui e veramente posso permettere che il mio cuore si apra ad un’ esperienza profonda di dialogo, di relazione, di ascolto. Forse non vi saranno visioni mistiche, come i grandi santi contemplativi, queste sono particolari esperienze donate solo a certe anime, ma, anche in questo caso non per se stesse, infatti doni che il Signore fa non sono mai per noi stessi, ma per essere offerti al servizio del Regno. La preghiera mi permette di instaurare un rapporto personale con il Signore e questo rapporto mi consentirà, poi, di dare una personale risposta non tanto basata su quello che è il sentito dire!
«Le folle, chi dicono che io sia?» Che cosa dice il mondo di Gesù? Quante risposte insufficienti o mistificatrici! Un maestro … certo, un profeta …certo, un uomo eccezionale, sicuro, ma Gesù è molto, molto di più.
Cosa significa dire tu sei il Cristo, come ha fatto Pietro? Come ci dice la Chiesa?
Dire che Gesù è il Cristo significa riconoscerlo come il Signore,
l’ atteso che, se io accolgo, mi apre una possibilità nuova di vita.
Egli diventa il motore pulsante che guida la mia esistenza, la cambia, la rinnova, la orienta ecco perché la risposta di Pietro è giusta , ma … Anche noi potremmo dare la stessa risposta, che rimane incompleta se non è accompagnata dalla vita, cioè imitare Gesù nel nostro vivere quotidiano, ciò significa fare proprie quelle parole che abbiamo sentito:
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà»
Parole dure quelle di Gesù, quasi brutali rinnegare, perdere, prendere la croce …
La croce è pesa e schiaccia. Proprio ieri sono andato a trovare una cara amica, che è malata, una malattia psichica, di cui è ben consapevole e mi chiedeva perché. Il perché di quella croce e mi diceva la sua fatica nel portarla. Che dire? L’ unica cosa che mi è venuta in mente è stata l’ immagine di Gesù, che salendo il Calvario ad un certo momento non ce la fa’ più e allora i soldati prendono Simone di Cirene, perché aiuti Gesù a portare la croce. Le ho detto, che mi piace pensare, ( ma lo credo profondamente), trovare conforto nel fatto che Gesù si fa Lui Cireneo quando le nostre croci quotidiane ci schiacciano e noi non ce la facciamo più.
Per scoprire questa realtà bisogna abbandonarsi. Abbandonarsi al Signore, affidarsi al Signore, è quel perdere, quel rinnegare, la crosta dura del mio egoismo, delle mie sicurezze, dei compromessi, anche nella vita di fede, della mia superbia, mettendomi al di sopra di tutto e di tutti, anche di Dio, ma soprattutto lasciando il peccato.
Per trovare cosa?
Ce lo dice Gesù: la salvezza, la vita e quella pace interiore che nessuno ci può dare se non il Signore, che è accanto a noi, anche quando saliamo la via del Calvario.
Voglio concludere con le parole che il cardinal Biffi scriveva commentando questo vangelo: “Vale a dire la strada della sconfitta umana, della apparente sterilità sociale e politica, della sofferenza, è anche la strada obbligata dei suoi discepoli, la strada della Chiesa.
A chi riceve il mandato di evangelizzare e di catechizzare viene sempre consegnata la croce, come segno materiale e come programma ideale. Questa croce ci ammonisce e giudica il mondo, ma è un ammonimento salutare, e un giudizio che salva. È il solo varco che ci è dato, per giungere al Regno, cioè alla felicità senza confini e senza tramonto”.
Ma non dimentichiamo la domanda che Gesù ci ha posto e chiede la nostra risposta ogni giorno:
“Lascia stare cosa ne pensa la gente. Chi sono, io per te?”(Curtaz)
Deo gratias, qydiacdon