Da venerdì scorso padre Samir Khalil Samir fa parte di una lista che comprende Augusto Del Noce, Cornelio Fabro, Joseph Ratzinger, Giacomo Biffi, Luigi Giussani, Eugenio Corti, Ugo Amaldi e altre personalità eminenti del XX e del XXI secolo. Anche a lui, come in passato a loro, è stato assegnato il Premio internazionale Medaglia d’oro al merito della Cultura cattolica di Bassano del Grappa, ed è il primo cattolico di lingua araba al quale viene assegnato. Con pieno merito, dopo una vita trascorsa a insegnare, scrivere libri, aprire scuole per analfabeti, alimentare la conoscenza e il dialogo fra cristiani e musulmani, senza nessun cedimento al buonismo ma anche senza nessuna preclusione settaria. Egiziano di nascita e libanese di adozione (si è trasferito a Beirut quando aveva 31 anni), gesuita dal 1955, più che padre andrebbe chiamato professore, tante sono le università del mondo nelle quali ha insegnato o ancora insegna. In 60 libri e 1.500 articoli ha espresso il suo pensiero e i risultati delle sue ricerche su argomenti politici ed accademici, religiosi e culturali. In Italia hanno avuto discreta fortuna le Cento domande sull’islam (tradotto in sei lingue) a cui rispose in un libro a cura di Giorgio Paolucci e Camille Eid. Lo abbiamo intervistato alla vigilia della consegna del premio promosso dalla Scuola di cultura cattolica di Bassano.
Padre Samir, lei da tempo afferma che l’islam ha bisogno di una profonda riforma che storicizzi i passi più controversi del Corano e più in generale la teologia del jihad. Ma chi ha il potere per farlo, stante la condizione acefala dell’islam?
Anche se non c’è un papa nell’islam, a livello di ogni singolo paese che si definisce islamico ci sono autorità che avrebbero il potere per promuovere una riforma. Se in Egitto l’università di Al-Azhar formulasse un insegnamento che emargina una lettura politico-militare del Corano, che stabilisce che i versetti del Corano relativi al dovere della guerra santa vanno contestualizzati all’epoca in cui il Corano apparve, gli imam del paese si conformerebbero a quell’insegnamento. Nel passato l’islam ha proceduto varie volte a una riforma dell’interpretazione, ma le cose sono cambiate nell’ultimo mezzo secolo, quando l’Arabia Saudita, grazie alle risorse economiche provenienti dalla vendita del suo petrolio, ha potuto imporre in gran parte del mondo islamico la sua interpretazione dell’islam, cioè il wahabismo. Che è il frutto della convergenza fra la teologia di Muhammad Ibn’Abd al-Wahab e gli interessi politici della famiglia Saud. È un islam che comporta precetti terribili riguardo ai non musulmani, alla condizione della donna, agli sciiti, cose che il musulmano ragionevole normalmente non accetterebbe. Ma i petrodollari hanno permesso a Riyadh di penetrare ovunque. In Egitto fino alla fine degli anni Sessanta al Cairo il velo era indossato da pochissime donne, oggi persino le ragazze cristiane nei quartieri popolari devono portarlo, se non vogliono subire rappresaglie. Le nostre autorità islamiche sono timorose: quando va a Grozny, in Cecenia, il grande imam di Al-Azhar, Ahmed al-Tayeb, approva un documento che dichiara che il wahabismo non fa parte della tradizione sunnita. Quando è al Cairo, dove l’influenza economica saudita è forte, tace. Continue reading