Sulle controverse interpretazioni di AL interviene il benedettino Meiattini: «Il matrimonio in quanto Sacramento possiede un carattere pubblico, ecclesiale e liturgico. Ciò che impedisce ai “divorziati risposati” di partecipare pienamente all’Eucaristia, è la dimensione simbolica della loro vita, che contraddice la dimensione simbolica del sacramento. Impostare le questioni morali a prescindere dalla natura e struttura dei sacramenti, significa ledere qualcosa di fondamentale nella stessa forma della rivelazione».
Don Giulio Meiattini è monaco dell’Abbazia benedettina Madonna della Scala di Noci (Bari) con dottorato in teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana. Insegna al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, nella specializzazione di Teologia Sacramentaria e nella Facoltà Teologica Pugliese nella specializzazione di antropologia teologica. Di recente è intervenuto, proprio su La Nuova BQ, sull’iniziativa di don Gianluca Carrega di organizzare ritiri per promuovere la fedeltà tra “coppie” omosessuali. Lo scorso mese è uscita, per le edizioni Lindau, la sua ultima pubblicazione Amoris Laetitia? I sacramenti ridotti a morale, sulla quale lo abbiamo intervistato.
Nel suo libro, fresco di stampa, Amoris Laetitia? I sacramenti ridotti a morale, lei afferma che la debolezza dell’impianto di Amoris Laetitia (AL) è la sua univoca direzionalità che va dalla morale al sacramento, invece che dal sacramento alla morale (come sarebbe giusto), e si esaurisce nella triade norma – attenuanti – imputabilità. Può spiegare in modo semplice questa affermazione?
Il ragionamento di AL è questo: esiste una norma, ci sono delle attenuanti che riducono la nostra responsabilità nel violare quella norma, perciò il tale peccato non è pienamente imputabile; se qualcosa non è pienamente o per nulla imputabile, e dunque nonostante la materia grave non costituisce peccato mortale, viene aperta la strada verso la possibilità di ricevere i sacramenti.
Perché questo ragionamento non funziona?
Non funziona per tanti motivi. Innazitutto la valutazione morale di una condotta di vita non può attuarsi solo dal punto di vista dell’imputabilità soggettiva. Inoltre, il matrimonio in quanto sacramento possiede un carattere pubblico ed ecclesiale, perciò la violazione notoria del vincolo matrimoniale, che si fa condizione di vita permanente, richiede una prassi penitenziale corrispondente, che non trascuri questa valenza comunitaria. Questo vale per ogni peccato che sia appunto pubblico. Una situazione di peccato, in generale, non può essere perdonata se perdura senza pentimento e impegno di cambiamento; a fortiori, un peccato pubblico non può ottenere l’assoluzione semplicemente in foro interno, mentre la condizione di peccato notorio rimane invariata sotto gli occhi di tutti. Il confessore, in queste situazioni, non può rimettere i peccati dispensando il penitente da segni visibili e riconoscibili di conversione. Continue reading →