USA Inchiesta-choc: i cattolici non sanno cosa sia l’Eucaristia

Un rapporto del Pew Research Center rivela che solo un terzo dei cattolici americani crede che la comunione sia il Corpo e Sangue di Cristo. Il 69% ritiene invece che pane e vino siano solo simboli, e molti sono anche convinti che questo sia l’insegnamento della Chiesa. Dati inquietanti, che non riguardano soltanto gli Stati Uniti, anzi: ci sono diversi elementi per ritenere che in Europa, e anche in Italia, i risultati sarebbero anche peggiori. È questa la vera emergenza per la Chiesa, di cui dovrebbero preoccuparsi i pastori. Tutto il resto viene molto dopo.

Da qualche anno, pare che il problema numero uno della Chiesa sia fare in modo che tutti, indistintamente, possano fare la comunione, nessuno escluso. D’accordo, ma quanti fedeli sono oggi consapevoli del valore e del significato del sacramento dell’Eucaristia? Ha senso chiederselo dato che già padre Pio di Pietrelcina (1887-1968), presagendo una certa ignoranza al riguardo, aveva a suo tempo sentenziato che, se si sapesse del reale valore della Santa Messa, ci vorrebbero i carabinieri per coordinare le folle che vi accorrerebbero.

Una battuta, quella del santo, che inquadrava una situazione allarmante già decenni or sono, figurarsi oggi. Chi non si è fatto troppi pensieri e ha provato a scrutarla, la situazione odierna, è stato il Pew Research Center che dal 4 al 19 febbraio di quest’anno ha effettuato una rilevazione proprio sulla conoscenza religiosa nel popolo americano, condensando quanto scoperto nelle 70 pagine di un report poi eloquentemente intitolato What Americans Know About Religion (Cosa sanno gli americani della religione). Continue reading

LA TESTIMONIANZA – Famiglia, quella di Wojtyla era una “pastorale integrale”

Le radici dell’Istituto Giovanni Paolo II, ora soppresso, affondano nel cammino che il giovane prete Karol Wojtyla ha fatto insieme alle giovani coppie a lui affidate, condividendo la loro stessa vita. È lì che ha imparato ad “amare l’amore umano”, un confronto continuo fra dottrina e vita, per condurre l’uomo a Dio. La sua pastorale non era la traduzione nella pratica di un progetto elaborato a tavolino, e sono stati proprio gli sposi – lui diceva – ad insegnargli che l’amore puro, l’amore per sempre è possibile. È da questa esperienza feconda, e di fronte agli attacchi al matrimonio e alla famiglia, che nacque l’esigenza di un istituto che aiutasse pastori e laici a realizzare l’insegnamento della Chiesa. E in 39 anni in tanti ne hanno sperimentato l’utilità. Una testimonianza esclusiva.

Pubblichiamo in esclusiva per l’Italia un testo preparato dai professori Stanislaw e Ludmila Grygiel, una testimonianza personale che ben spiega il retroterra culturale ed ecclesiale da cui nascono l’amore e l’impegno di san Giovanni Paolo II per la famiglia. Ed è quindi fondamentale per comprendere il senso che san Giovanni Paolo II ha dato al Ponitificio Istituto per gli studi sul matrimonio e la famiglia, ora rivoluzionato dal nuovo Gran Cancelliere monsignor Vincenzo Paglia, in attuazione del Motu Proprio di papa Francesco Summa Familiae Cura.

Per capire bene l’identità dell’Istituto soppresso bisogna conoscere la sua origine e la sua storia.

L’Istituto è frutto della sollecitudine del suo santo Fondatore per le sorti del matrimonio e della famiglia oggi e domani. La sua genealogia comincia alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, quando il giovane sacerdote Karol Wojtyla, nominato il vicario della parrocchia di San Floriano a Cracovia, incontrò dei giovani che gli posero domande fondamentali sull’amore dell’uomo e della donna. Wojtyla, parlando e pregando con loro, ha imparato ad “amare l’amore umano” e così ha elaborato le risposte alle loro domande, risposte che si trovano nel libro “Amore e Responsabilità”, nell’altro libro “Persona e Atto” e poi nei suoi documenti pontifici. Continue reading

La verità su san Giovanni Paolo II

La testimonianza dei coniugi Grygiel che abbiamo pubblicato ieri, permette di spazzare via la grave menzogna sul Magistero di san Giovanni Paolo II. Non era un rigido moralista, che imponeva regole astratte, ma un uomo che fin dai primi anni di sacerdozio è stato profondamente immerso nella realtà delle famiglie, che ha aiutato a scoprire e seguire la loro vocazione. Liquidare l’eredità di san Giovanni Paolo II significa consegnare la famiglia alla cultura dominante.

– QUELLA DI WOJTYLA ERA UNA “PASTORALE INTEGRALE”, di Stanislaw e Ludmila Grygiel

San Giovanni Paolo II
Dobbiamo essere grati a Stanislaw e Ludmila Grygiel per la testimonianza su san Giovanni Paolo II, che abbiamo pubblicato ieri (clicca qui). Anzitutto perché ci ridona un Wojtyla vero, raccontato da chi ha avuto il privilegio di una stretta amicizia con lui, prima a Cracovia, poi a Roma dove i Grygiel furono invitati a trasferirsi, per lavorare, proprio dal neo eletto Giovanni Paolo II. Dunque, non le teorizzazioni del pensiero o del Magistero, ma un Wojtyla in carne ed ossa, che meglio ci fa apprezzare anche il suo pensiero vero.

E qui è l’altro punto fondamentale: il racconto della genesi della grande cura per la famiglia che ha caratterizzato il prete e il vescovo Wojtyla e che, negli anni del Pontificato, ha portato tra l’altro alla fondazione dell’Istituto teologico per gli studi su matrimonio e famiglia, permette di spazzare via la grave menzogna sul Magistero di san Giovanni Paolo II.

Una certa narrazione oggi in voga vorrebbe che prima di Amoris Laetitia, la Chiesa fosse ossessionata con norme astratte di morale, ovviamente molto rigide, imposte alle povere coppie di sposi. Un giogo insostenibile – dimostrato dalla scarsa adesione dei cattolici alla morale insegnata dalla Chiesa – da cui ci avrebbe finalmente liberato l’attuale pontificato, molto più vicino e attento alla realtà delle famiglie. Il tutto dentro una scissione concettuale tra dottrina e pastorale, come fossero due realtà antagoniste. In questo modo si giustifica anche la soppressione del vecchio Istituto Giovanni Paolo II e la sua sostituzione con uno nuovo che di Giovanni Paolo II ha soltanto il nome. Continue reading

URSULA VON DER LEYEN, PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA: LA PEGGIORE SCELTA POSSIBILE La neo presidente della Commissione porterà avanti la parità di genere, l’ambientalismo stile Greta e porte aperte ai migranti (ovviamente il cristianesimo è assente)

Se il buongiorno si vede dal mattino, l’avventura della tedesca Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea non è cominciata molto bene. Non solo perché ha strappato l’approvazione del Parlamento europeo per appena nove voti, con il determinante appoggio del Movimento 5 stelle (quelli del cambiamento che sferzavano il Ppe), non solo perché è stata scelta con «una poco trasparente manovra di palazzo» (Corriere), ma anche perché dalle priorità indicate, e da come le ha esposte, si deduce una «sostanziale assuefazione allo status quo» che «non riavvicina l’Europa ai cittadini» (ancora Corriere).

SE VOTARE CAMBIASSE QUALCOSA NON CE LO LASCEREBBERO FARE
Nella nomina di Vdl, spiega Paolo Lepri sul Corriere, «l’unica innovazione minore partorita negli anni passati, cioè l’indicazione agli elettori dei capilista candidati alla guida della Commissione», è stata sconfessata. Ma rendere il governo dell’Unione Europea più democratico non era uno degli obiettivi? Come sottolineato da Andrea Bonanni su Repubblica, «dietro il pasticciato paradosso di una candidata che non prende tutti i voti dello schieramento in cui si riconosce, e ne prende invece dal fronte teoricamente avverso, c’è il peccato originale della scelta operata dai capi di governo al vertice che l’ha nominata. In quella riunione, i leader hanno di fatto affossato il sistema degli “Spitzenkandidaten”, che riconosceva al Parlamento il diritto di indicare i concorrenti dei vari partiti per la guida della Commissione. Questa scelta ha lasciato ferite profonde».
Il governo italiano si è spaccato sull’elezione di Vdl (M5s ha votato sì, la Lega ha votato no), così come quello tedesco. Speriamo che questa scelta del partito di Matteo Salvini non pregiudichi l’affidamento all’Italia di un commissariato di peso. Di sicuro non fa ben sperare il fatto che Vdl, che nel suo discorso programmatico ha lisciato il pelo a tutti (ma proprio a tutti) gli schieramenti per implorarne i voti, abbia voluto tracciare un’unica linea di demarcazione: quella tra europeisti e populisti. Quelli cioè che, a ragione o a torto, hanno interpretato i timori della maggioranza dei cittadini europei a riguardo di un’Unione troppo fissata sul rapporto deficit/Pil e poco attenta alle esigenze dei singoli paesi. Non è un buon segnale. Continue reading

LE ONG NON SALVANO VITE UMANE, MA LE METTONO APPOSTA IN PERICOLO Lo scopo è solo di favorire l’invasione (ad es. la Sea Watch costa 3 milioni di euro l’anno, ma con questi soldi si potevano mantenere 200 mila africani

Io continuo a pensare che l’impossibilità di confrontare serenamente e razionalmente le opinioni dipenda da Internet. […] È quello che sta succedendo con la vicenda della Sea Watch.
La moltitudine dei difensori della Ong (di tutte le Ong che operano nel Mediterraneo) e del capitano Carola Rackete sostiene questo sillogismo:
a) Premessa maggiore: la vita umana è bene primario.
b) Premessa minore: le Ong salvano vite umane.
c) Conclusione: per salvare vite umane (beni primari) si può violare ogni norma che tuteli beni secondari.
Si tratta in realtà di un paralogismo: la premessa minore è erronea. Le Ong non salvano vite umane. Al contrario le mettono intenzionalmente in pericolo. Quello che vogliono è favorire la migrazione. A questo scopo ogni Ong si è data una struttura economica e operativa.
Fausto Biloslavo su Il Giornale, ha fornito informazioni impressionati: «Sea Watch è costata nel 2018 oltre un milione e mezzo di euro (lavori in cantiere dell’anno prima e due gommoni). Si devono aggiungere 304.069,65 euro per spese equipaggio e personale amministrativo a Berlino e Amburgo. Ancora: viaggi e voli di equipaggi e attivisti: 61.980,36 euro, assicurazione, ormeggi e tasse portuali: 100mila euro, viveri per equipaggio e migranti: 36.456,76 euro, telecomunicazioni: 22.661,23 euro, carburante: 80mila euro, manutenzione: 77mila euro, «fornitori di servizi esterni» (?): 102.172,57 euro, spese burocratiche: 192 mila euro, team italiano (lobbisti): 62.815,17. Ci sono poi due aerei, uno costato 100.000 euro che ha compiuto un’operazione (?) 262.435,00 euro. Carburante e tasse aeroportuali: 162.360,00 euro. Totale, circa 2.700.000 euro, pagati dalla federazione evangelica tedesca.» Continue reading

MÜLLER «Donne diacono? Non nella Chiesa cattolica»

In una dichiarazione diffusa in tre lingue, l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede torna su uno dei temi di cui si parlerà al Sinodo sull’Amazzonia: nessun sinodo, papa o concilio «potrebbe rendere possibile l’ordinazione delle donne come vescovo, sacerdote o diacono».

Il cardinale Müller con papa Benedetto XVI
Il cardinale Gerhard Müller, già Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha diffuso un documento pubblicato in tre lingue – tedesco, spagnolo e inglese – per controbattere alcune delle idee e delle proposte avanzate da vescovi e teologi in relazione al Sinodo sull’Amazzonia, che si terrà a Roma nell’ottobre prossimo, e che ha già provocato pesanti critiche e perplessità a tutti i livelli nella Chiesa, visto il tono e i contenuti dell’Instrumentum Laboris. Come è noto qualche vescovo, di origine tedesca, ha lanciato l’idea che dal Sinodo possa uscire un’approvazione del diaconato femminile. Müller risponde nel suo testo che nessun sinodo, papa o concilio “potrebbe rendere possibile l’ordinazione delle donne come vescovo, sacerdote o diacono”.

Il testo preparatorio del Sinodo è già stato oggetto di critiche severe da parte del cardinale , ma in questo documento si focalizza soprattutto sul tema dell’ordinazione femminile, sul sacerdozio, e sul fatto che le donne non possono accedervi. “Il Magistero del Papa e dei vescovi non ha alcuna autorità sulla sostanza dei Sacramenti”, afferma il cardinale. “Pertanto, nessun sinodo – con o senza il Papa – e nemmeno nessun Concilio ecumenico, o il solo Papa, se parlasse ex cathedra, potrebbe rendere possibile l’ordinazione delle donne come vescovo, sacerdote o diacono. Sarebbero in contraddizione con la dottrina definita della Chiesa”. E un tale passo di conseguenza “sarebbe invalido”.

Il cardinale Müller ha definito il prossimo Sinodo una “palla da demolizione” che mira a una “ristrutturazione della Chiesa universale”.
La scorsa settimana, il cardinale Müller aveva pubblicato una sua prima valutazione del documento di lavoro del Sinodo dell’Amazzonia, criticandolo per la sua “inversione radicale nell’ermeneutica della teologia cattolica” e per il suo “falso insegnamento”.

Müller pone in questo testo tutta la sua grandissima competenza teologica in difesa del sacerdozio cattolico. Ricorda che “il triplice ufficio – come si è sviluppato storicamente dall’apostolato nella Chiesa primitiva istituito da Cristo – esiste in virtù di una “istituzione divina “(Lumen Gentium 20)”. Questo ufficio è esercitato dai vescovi, presbiteri e diaconi. Continue reading

UNA VIA PER I BAMBINI Bibbiano, come guarire dall’orrore

Per l’inchiesta “Angeli e Demoni”, sulla criminale follia di bambini strappati alle loro famiglie e dati in affidamento o adozione a persone certamente non idonee, per usare un termine eufemistico, con la complicità delle istituzioni di Bibbiano, sui giornali si è parlato a torto di elettroshock.

La terapia elettroconvulsivante (TEC), comunemente nota come elettroshock, è una pratica medica caratterizzata dal passaggio di corrente elettrica attraverso il cervello, con conseguente induzione di convulsioni nel paziente. Ha attualmente pochissime indicazioni, tra cui la depressione gravissima, ed è da somministrare in anestesia. Ha una pessima fama purtroppo meritata, perché in passato era usata senza anestesia, con indicazioni troppo ampie, spesso inutilmente e a volte per motivi punitivi. Onestamente senza anestesia può essere considerato una tortura. Ed entra anche nella pratiche di “controllo mentale”.

Un enorme numero di elettroshock per paziente, insieme alla somministrazione di droghe allucinogene, sonniferi, droghe paralizzanti, e sequestro in cella di isolamento, per mesi furono usati dal dottor Donald Ewen Cameron, allora presidente dell’Associazione Psichiatri Americani, per azzerare completamente la memoria delle persone nell’ambito del progetto della CIA MK sul controllo mentale. Pare che funzioni. La memoria è azzerata. Ci sono stati alcuni piccoli effetti collaterali: persone rese per sempre incontinenti, disabili, incapaci di riconoscere i loro stessi figli, affetti da amnesia continua e qualche defunto. Cameron sognava un mondo perfetto dominato dalla psichiatria. È morto nel suo letto senza aver mai fatto un giorno di galera, quindi ricordatevi il suo nome quando qualcuno vi dirà che è così perché lo ha detto lo psichiatra o lo psicologo o il cosiddetto esperto di turno, o l’assistente sociale. Sono campi dove la maggioranza delle persone sono perbene, ma dove quella che non lo è può fare disastri. La psichiatria, e ancor più la psicologia, non hanno il controllo dell’anatomia patologica. Non hanno strumenti tecnici di controllo.

A Bibbiano dichiarano di aver usato la tecnica EMDR, con l’ausilio di una stimolazione elettronica ottenuta tramite gli stimolatori elettronici EMDR prodotti dalla NeuroTek Corporation. L’elettroshock non c’entra nulla. Per fortuna. Ci sono abbastanza crimini anche così.

La tecnica EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è una tecnica psicofisica per la desensibilizzazione dei postumi dei traumi o di esperienze stressanti, basata su una stimolazione bilaterale degli emisferi ottenuta preferenzialmente mediante il movimento orizzontale degli occhi, da cui il nome. Molto raramente è usata l’apparecchiatura neuroTek, in Italia quasi sconosciuta: l’EMDR nasce sfruttando il movimento orizzontale degli occhi simile a quello del sonno REM; dall’inglese Rapid Eye Movement. Testimonio, perché la uso, che, se usata correttamente, l’EMDR può avere risultati spettacolari e velocissimi nella risoluzione del disturbo post traumatico da stress. Durante l’EMDR addirittura si hanno modificazioni dell’elettroencefalogramma, è una cura vera che funziona veramente, come è una cura vera somministrare la digitale ed eseguire un intervento chirurgico, e come ogni cura vera, digitale e intervento chirurgico, se usata male può fare danni.

Deve essere usata in maniera rigorosa. Ha risultati spettacolari e veloci proprio perché causa una modificazione del cervello, l’aumento di sinapsi in alcune zone. Durante la stimolazione bilaterale il terapeuta deve restare rigorosamente in silenzio. È una fase di stimolazione cerebrale. Se durante questa fase il terapeuta parla, suggerisce, inventa, può essere semplicemente fastidioso ma potrebbe creare e instillare false memorie. Una terapia e un interrogatorio devono essere fatte sempre con domande neutre e aperte (Cosa è successo? Come ti sei sentito?), mai con domande che possano suggerire qualcosa (qualcuno ti ha toccato? Quella persona ti ha fatto male?) altrimenti c’è il rischio di creare false memorie. Il cervello compiacente, e quello dei bambini un po’ lo è, non osa contraddire, dire no. In EMDR questo rischio aumenta, come già dimostrato in letteratura .

La tecnica EMDR deve essere appresa in maniera rigorosa e applicata in maniera altrettanto rigorosa. La dottoressa Isabel Fernandez, presidente della Società EMDR, afferma che gli psicologi della onlus Hansel e Gretel non abbiano mai fatto nemmeno il corso base di EMDR, almeno non in Italia, e che non fossero iscritti all’associazione EMDR. Gli psicologi della onlus Hansel e Gretel sono quelli che si sono occupati dei casi di Bibbiano dopo essere stati implicati nell’atroce caso della Bassa Modenese, dove a causa di false memorie in bambini, famiglie sono state smembrate, innocenti hanno fatto anni di prigione e ci sono state morti per suicidio e infarto. La storia è ricostruita nel podcast in 7 puntate Veleno, prodotto da Rai 3. Continue reading

L’ASSISTENTE SOCIALE LGBT TOGLIE I FIGLI PER DARLI A DUE LESBICHE… ALMENO ADESSO TUTTI CAPIRANNO LA PERICOLOSITA’ DELLA LOBBY GAY Gli arresti a Reggio Emilia fanno emergere storie raccapriccianti, come quella di Silvia, tolta ai genitori per abusi inventati dalle assistenti sociali e affidata a due lesbiche militanti (che l’hanno pure maltrattata)

È la famiglia la grande nemica della maxi inchiesta “Angeli e demoni” con la quale la procura di Reggio Emilia ha spiccato 6 ordini di arresto e posto sotto indagine 17 persone. Sono tutti accusati di reati pesantissimi che vanno dai maltrattamenti alle lesioni fino a reati amministrativi come abuso d’ufficio assistenti sociali, psicologi e medici tutti gravitanti attorno al centro La Cura di Bibbiano, una delle strutture considerate più all’avanguardia della Regione nella gestione degli affidi famigliari su bambini vittime di abusi o tolti alla famiglia d’origine per le più svariate criticità. Anche il sindaco Pd di Bibbiano Andrea Carletti è finito ai domiciliari per quello che il sistema mediatico ha già ribattezzato come un pesante macigno sul sistema del welfare “rosso” un tempo fiore all’occhiello della Regione.
Tra le carte della corposa ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Luca Ramponi figura un sistema in cui i servizi sociali, insieme a una Onlus di Moncalieri, la Hansel & Gretel, cercavano di dimostrare nei procedimenti giudiziari che i minori erano stati oggetto di violenze da parte dei genitori e per farlo si era disposti anche a utilizzare strumenti di tortura come una macchinetta a impulsi chiamata dagli psicologi “la macchina dei ricordi”. Violenze che però non hanno mai avuto alcun riscontro fattuale.
I giornali stanno raccontando con dovizia di particolari gli episodi, che mostrano come i minori, quasi tutti provenienti da contesti famigliari critici, fossero sostanzialmente indotti con metodi illegali ad ammettere casi di violenze famigliari per poi giustificare gli affidi famigliari a persone vicine ai dirigenti dei servizi sociali. Un meccanismo che – se venisse confermato l’impianto probatorio – ci rimanderebbe ai figli sottratti dai colonnelli argentini ai genitori torturati nel Garage Olimpo o che, per stare più vicini, ricorda la tragica vicenda della Bassa modenese in cui 16 bambini furono allontanati per sempre dalle famiglie d’origine per accuse mai dimostrate e rivelatesi false.

TOGLIERE BAMBINI A MAMMA E PAPÀ
Leggendo le carte del giudice però, a fronte della mole di materiale raccolto dagli inquirenti, potrebbe sfuggire un filo conduttore che accomuna queste terribili storie. E che il giudice mette nero su bianco a pagina 253 della sua ordinanza: «Costruire un’avversione psicologica dei minori per la famiglia di origine». Togliere bambini a mamma e papà con una facilità estrema, a volte sulla base solo di sospetti e fare di loro ciò che un ente superiore, lo Stato, decide. Per capire l’inchiesta di Reggio Emilia, bisogna accettare di scendere nei bassifondi di questo folle pregiudizio che porta a cosificare il bambino facendolo un oggetto di interessi superiori. Un pregiudizio, quello antifamilista, che investe il ruolo dei genitori, soprattutto maschi, da colpire con ogni mezzo e con ogni scusa, umiliando la loro libertà e amplificando le criticità che ogni famiglia presenta, ma che non sempre deve per forza essere indice di patologia.
I punti focali di questo pregiudizio, che proietta alla lunga l’ingombrante e inquietante immagine di uno Stato, qui rappresentato dai servizi sociali di un Comune, che si prende i bambini, li fagocita in un sistema perverso di dominio e di controllo, è rappresentato dai metodi della Onlus Hansel & Gretel, i cui psicologi «gli assistenti sociali erano convinti che fossero i migliori cui rivolgersi per ottenere il risultato da loro agognato dell’emersione, a tutela dei minori, del ricordo dell’abuso della cui sussistenza erano fermamente convinti». Peccato però che a fronte di questo sforzo non ci fossero abusi da far emergere.
E i servizi sociali di Bibbiano sono così il principale problema di questa storia. E soprattutto la dirigente del servizio finita agli arresti domiciliari, Federica Anghinolfi, perché – come spiegato ieri ai cronisti dal procuratore capo Marco Mescolini – sussistono i requisiti di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Il giudice stesso conferma di ritenerla «il deus ex machina della gestione dei presunti abusi». Lei che si dimostra avversa al contesto famigliare in virtù – dice il giudice – anche delle sue «profonde convinzioni e condizioni personali a sostenere con erinnica perseveranza la causa dell’abuso da dimostrarsi ad ogni costo». Da che cosa deriva questa testardaggine? Ad esempio dalla sua carenza di equilibrio nel definire le figure maschili in famiglia dei «predatori maschi» e perché lo stesso fondatore della Hansel & Gretel, anch’egli finito ai domiciliari è stato in passato il suo terapeuta.
La donna infatti – e leggendo le carte questo emerge chiaramente – appartiene per ragioni ideologiche ad un contesto che punta alla demolizione della famiglia come è appunto l’universo Lgbt.

LA STORIA DI SILVIA
È lo stesso giudice a rimarcarlo quando dà conto di uno dei sei casi passati al vaglio degli inquirenti. Quello di Silvia (nome di fantasia), una bambina di 11 anni con crisi epilettiche data in affidamento ad una coppia di donne omosessuali unite civilmente da un anno. Due donne – una delle quale legata sentimentalmente in passato alla dirigente dei servizi sociali Anghinolfi – che prendono una bambina su cui ci sono dei sospetti mai dimostrati di abuso o maltrattamenti. Ebbene: alla fine è Silvia che viene maltrattata dalle donne, una delle quali presenta squilibri mentali evidenti.
«La bambina viene fatta oggetto di vessazioni psicologiche del tutto gratuite e nemmeno correlate a comportamenti indisciplinati della stessa, ma esclusivamente condizionati dall’esigenza di denigrare i genitori naturali ovvero dall’utilizzo della piccola come bersaglio di sfoghi o di rabbia dell’una o dell’altra affidataria». Insomma: la bambina viene allontanata dai genitori sulla base di presunti indizi di abusi, viene data in affido a una coppia di donne omosessuali, legate alla dirigente dei servizi, e viene – stavolta davvero – maltrattata dagli affidatari e fatta oggetto di utilizzo di elettrodi durante le seduta con la psicologa del centro Hansel & Gretel affinché riacquisti la memoria sugli abusi. Abusi di cui non ci sarà mai traccia né prova.
Viene inoltre rimarcato che le donne affidatarie hanno in comune con la dirigente del servizio «gli incentivi all’affidamento di bambini a coppie omosessuali nell’ambito del noto movimento Lgbt». In poche parole: le protagoniste di questa storia sono attiviste del movimento Lgbt che si battono per l’adozione – e l’affido – dei bambini alle coppie omosessuali. Un tema di stretta attualità e che è oggetto di vibrate critiche da parte del mondo psicologico e pedagogico. Ebbene: a Bibbiano e senza tanti problemi questo avveniva con il consenso del Comune. E, come abbiamo visto, avveniva con questi risultati. Un elemento in più per rimarcare che un minore non può crescere in un contesto famigliare con due omosessuali.
«Le due donne – scrive – attivissime nel campo della tutela dei diritti della comunità lesbica hanno condizionato la minore nell’imporre di non portare capelli sciolti ispirate ovviamente dal proprio orientamento sessuale».
D’altra parte la Anghinolfi della sua attività di militante Lgbt, anche in chiave di affido famigliare, non faceva mistero. Internet conserva ancora diversi suoi interventi pubblici (convegni, interviste, manifestazioni) proprio a favore della genitorialità gay. Il punto è perché un Comune si fidi a tal punto di una donna così militante da affidarle un servizio così centrale e delicato ed è su questo che il Pd è chiamato a dare risposte, vista la fiducia concessa a paladini di cause, la genitorialità gay, che è bene tenere lontano dai bambini.
Lo Stato onnipotente che prende i figli fragili o impotenti per farne cosa sua. Abbiamo visto questa ideologia totalitaria all’opera su altri casi legati all’educazione sessuale a scuola o alla precocità sessuale in ambito infantile. Ma anche con i tanti casi di bambini disabili – vedi Alfie Evans o Charlie Gard – in cui doveva prevalere il loro best interest che non ha coinciso con il restare in vita. L’inchiesta di Bibbiano apre uno squarcio inquietante anche su un altro modo di appropriarsi dell’infanzia. Col timbro dei servizi sociali e del “mitologico” welfare targato Emilia rossa.

Andrea Zambrano fonte Basta Bugie

SEA WATCH 3 La Tunisia è un porto sicuro. Il GIP di Agrigento non lo sa?

ll magistrato Alessandra Vella, Gip di Agrigento, non ha convalidato l’arresto di Carola Rackete, partendo dall’unico presupposto che la Tunisia non abbia porti sicuri e che il primo approdo sicuro fosse Lampedusa. Evidentemente non deve aver verificato bene, perché la Tunisia rispetta tutti i requisiti, vi operano sia l’Oim che l’Unhcr e i salvataggi sono numerosi.

Il magistrato Alessandra Vella non ha convalidato l’arresto di Carola Rackete, il comandante della Sea Watch, per insussistenza del reato di cui è accusata: atti di resistenza e di violenza nei confronti di una motonave della Guardia di Finanza. Il fatto contestato – si legge nell’ordinanza – “non può essere atomisticamente esaminato, ma deve essere vagliato unitamente ed alla luce di ciò che lo precede”: ovvero, il soccorso prestato a dei naufraghi che comporta l’obbligo di sbarcarli nel porto sicuro più vicino al luogo di soccorso.

“Il descritto segmento finale della condotta dell’indagata” scrive il magistrato per spiegare la non convalidazione dell’arresto “costituisce il prescritto esito dell’adempimento del dovere di soccorso il quale – si badi bene – non si esaurisce nella mera presa a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione fino al più volte citato porto sicuro”. Siccome il porto sicuro era Lampedusa, l’indagata nel portarci a tutti i costi i naufraghi ha quindi adempiuto al suo dovere e questo la esime dalla pena.

Ma a decidere che Lampedusa fosse il porto sicuro più vicino è stata l’indagata. Invece, secondo quanto riporta l’ordinanza, il 12 giugno, poche ore dopo il trasferimento dei naufraghi a bordo, la guardia costiera libica, uno dei centri di coordinamento consultati, ha detto alla Sea Watch di andare a Tripoli. Ma Carola Rackete ha rifiutato ritenendolo un porto non sicuro. Ha rifiutato anche di andare a Malta, perché più lontana e perché Malta “non ha accettato le previsioni che derivano dalle modifiche introdotte nel 2004 alla SAR, la Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca ed il salvataggio marittimo del 1979. Infine ha escluso di fare rotta sulla vicina Tunisia perché “in Tunisia non ci sono porti sicuri”.

Carola Rackete ha dichiarato di aver appreso che i porti tunisini non sono sicuri da “informazioni di Amnesty International” e di sapere che un mercantile stava aspettando da 14 giorni davanti a un porto senza poter entrare. Con una decisione che si spera sia del tutto insolita, il magistrato Vella ha preso per vera l’affermazione dell’indagata che la Tunisia non è un paese sicuro, aggiungendo di suo che “la Tunisia non prevede una normativa a tutela dei rifugiati, quanto al diritto di asilo”. Continue reading

GAY PRIDE: ORGOGLIO DI COSA?)

Adesso, a prescindere dal tipo di inclinazione sessuale – solo per un momento, facciamo finta che esista qualcosa di diverso dal sesso, maschio e femmina – a me pare che organizzare delle parate per celebrare l’orgoglio della propria inclinazione sia davvero surreale. Uno è orgoglioso perché ha fatto qualcosa di grande, qualcosa che non tutti fanno, o almeno non automaticamente.

I MOTIVI DELL’ORGOGLIO
Uno è orgoglioso perché ha dato la vita a dei figli o ha custodito altre persone, le ha sfamate o aiutate, perché si è speso per qualcosa in cui crede, perché ha combattuto per il bene del proprio paese o ha fatto qualcosa di serio, che ne so, con il suo impegno, nel lavoro, nello studio. Uno è orgoglioso perché ha vinto un oro olimpico, perché ha fatto una maratona sotto il suo tempo limite, ma anche perché ha vinto il torneo parrocchiale di ricamo o la selezione per l’ammaestratore di pulci, qualsiasi cosa, per carità, non è che tutti vincano il Nobel o il Pulitzer o l’Oscar o l’oro (io no per esempio), però per essere fieri di qualcosa bisogna FARE qualcosa. Come si fa a fare una parata per cercare di convincere la gente che si è fieri di una inclinazione, che è peraltro diventata quella più di moda, sponsorizzata da tutto il mondo della finanza, dai grandi marchi commerciali, dunque funzionale in fondo, banalmente, tristemente, a un modello di consumo che ci vuole pecoroni omologati? C’è qualcosa di cui essere fieri? C’è qualcosa che si è fatto, un risultato conseguito, un limite – fosse anche il proprio, personale – superato? Continue reading