Il cardinale Carlo Caffarra è stato nella vita della Chiesa italiana, e quindi anche nella mia vita, una presenza imponente, gigantesca, ma che si esprimeva nella assoluta normalità. Era una grandezza umile, un’umiltà fatta di fede; la fede che aveva ereditato dai suoi genitori e dal sano popolo lombardo in cui era nato e che ha onorato per tutta la sua vita assumendo anche gli atteggiamenti più immediatamente consoni al popolo di cui era espressione. Una fede limpida e profonda, una fede che egli aveva saputo evolvere in maniera critica e sistematica attraverso gli studi lunghi e felicissimi condotti spaziando per vari campi della teologia ma soprattutto della teologia morale.
Sin dai primi momenti egli seppe impartire l’insegnamento con una grande profondità e assieme con una grande semplicità. Lo ricordo, io giovane studente dell’Università Cattolica e lui giovane insegnante nell’introduzione alla teologia morale, per il dispiegarsi nelle sue lezioni della grandezza delle direttive etiche della vita cristiana, delle grandi direttive di intelligenza e di dialogo che ci consentivano poi di essere pronti – proprio per l’insegnamento che avevamo ricevuto – al confronto attivo con il mondo circostante, anche quello più lontano dalla fede o quello direttamente ostile alla fede.
Ha formato generazioni intere di cristiani e di preti alla grandezza dell’intelligenza della fede e alla sua capacità di comunicazione. Ha vissuto perché questo popolo di cristiani che aveva formato recuperasse sempre più profondamente il senso della propria identità e quindi l’impeto della propria responsabilità missionaria.
Ha salito tutti i gradini della straordinaria, si potrebbe dire, carriera ecclesiastica, che l’hanno portato dalla direzione dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia alla felicissima stagione dell’episcopato in Ferrara in cui è stato mio indimenticabile predecessore; fino alla grandezza della fatica dell’episcopato bolognese, un episcopato segnato da una volontà decisa di rendere sempre più viva l’appartenenza alla Chiesa e sempre più capace questa appartenenza di diventare missione. Qui sperimentò un confronto anche duro con la mentalità laicista, che non gli perdonò nulla. Anzi, lo chiamò molte volte a discolparsi pubblicamente della sua forte fedeltà alla tradizione cattolica e alla cultura che nasce dalla fede.
Seppe confrontarsi con tutti. Nessuno ricorda il cardinal Caffarra come una presenza ostile, nessuno lo ricorda – anche i più nemici – come una presenza con cui era difficile confrontarsi. Lo ricordano come un uomo con personalità, un uomo di cultura che proprio per la forza granitica della sua fede sapeva diventare capace di comunicazione sempre più profonda e articolata del tesoro della fede in modo che questa realtà della fede sapesse incontrarsi in maniera significativa, magari polemica ma sempre significativa, con il mondo circostante. Un mondo che comprese con rara profondità nella sua tensione anti-cattolica.
Aiutò generazioni di cattolici a leggere le linee di questa tendenza anti-cattolica che poi negli anni ultimi del suo episcopato bolognese si espresse con la volontà di emarginare ed escludere la Chiesa e la famiglia dal novero della vita sociale.
Allora, quando l’età avanzava e le forze declinavano si prese la responsabilità di diventare l’assertore più limpido della dottrina cattolica sulla famiglia e di denunciare tutti gli equivoci, i tradimenti che erano perpetrati nel cosiddetto mondo cattolico nei confronti della grande tradizione della famiglia cristiana, fondamento insieme della vita della Chiesa e della società. Con una energia quasi giovanile, negli ultimi anni consacrò la sua esistenza, il suo magistero e la sua presenza pubblica dovunque lo chiamassero a difendere il dogma cristiano della famiglia.
Quando si sono poi venute evidenziando le nubi nella vita e nella gestione della Chiesa, che ormai sono sotto gli occhi di tutti; e quando scoprì che il magistero non era più adeguatamente proposto e percepito – proposto dalle guide e percepito dal popolo – come corrispondente alla propria esigenza di formazione; con vero scandalo – lo scandalo della sua coscienza di prete e di vescovo formato con indiscussa adesione al magistero pontificio – si sobbarcò la responsabilità di essere una presenza caritativamente critica della vita della Chiesa, e di proporre al Papa quei punti di dubbio che soltanto il Papa avrebbe potuto o potrebbe risolvere adeguatamente.
Credo che il cardinal Caffarra abbia portato con grande dolore – silenzioso ed umile ma un grande dolore – la situazione di fatica e di confusione nella Chiesa. E credo che – come mi confidava sua sorella quando nel pomeriggio mi sono recato a venerare la sua salma – egli di questo dolore della Chiesa e per la Chiesa è morto.
Rimane nella nostra vita ecclesiale e sociale uno dei più strenui difensori della verità della fede cattolica, della verità dei diritti della Chiesa e del popolo, l’assertore di quella dottrina sociale della Chiesa che è fondamento indiscutibile per una evoluzione democratica della vita sociale del paese, di questo e di ogni altro paese.
Arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio
In La nuova BQ