Martedì 20 giugno, nella città più gay friendly d’Italia, i Cobas (comitati di base della scuola), assieme ad altre 17 associazioni della galassia del Partito Democratico, hanno svolto un presidio davanti all’Ufficio Scolastico Regionale (USR).
Cosa ha chiesto la «rete di associazioni, collettivi, spazi sociali, sindacati» di sinistra? Aprite bene le orecchie, perché la cosa ha dell’incredibile: «una nota ufficiale dell’USR che si esprimesse chiaramente contro le indebite ingerenze nel funzionamento delle scuole da parte di sedicenti associazioni di genitori, che hanno l’obiettivo di provocare ingiustificati allarmi e di condizionare le attività delle scuole, inficiando la libertà di insegnamento e subordinando la stessa al cosiddetto “consenso informato”».
La richiesta trae origine dalla forte reazione di famiglie, associazioni e partiti allo spettacolo teatrale genderista “Afa’ Fafine”, rappresentato nel mese di gennaio a Castello d’Argile (BO). In tale occasione, oltre alla reazione spontanea delle famiglie e di alcune piccole associazioni scolastiche, il locale Comitato Difendiamo i Nostri Figli aveva messo in guardia tutti i dirigenti scolastici della Provincia, coinvolgendo anche i due maggiori partiti dell’opposizione alle Giunte PD. Forza Italia, principalmente grazie all’azione dell’avv. Bignami, aveva portato per circa 20 giorni la protesta delle famiglie sulla stampa locale, in Consiglio Regionale e persino in Parlamento. Il consigliere comunale Polazzi di S. Pietro in Casale, vicino alla Lega Nord, aveva coordinato una importante serie di volantinaggi nei più importanti paesi del circondario. Oltre a queste tre iniziative, molte altre – come ad esempio gesti di forte impatto mediatico di Forza Nuova – avevano provocato un inatteso sconquasso nelle varie riunioni dei dirigenti scolastici di tutta Bologna.
Altre reazioni, benché minori e meno organizzate, sono seguite nei mesi successivi, esasperando i Cobas al punto di parlare di una «azione organizzata di diversi gruppi integralisti cattolici e neofascisti, che attraverso l’attacco alla presunta e inesistente teoria del gender, mirano a colpire la scuola pubblica, laica e pluralista. Le azioni di intimidazione, infatti, hanno già condizionato in alcuni casi le scelte delle istituzioni scolastiche, e non accennano a diminuire». Un presidio e relativa manifestazione delle sinistre è previsto il prossimo 29 giugno, in Piazza Maggiore di Bologna.
L’episodio di Bologna conferma, se ce ne fosse bisogno, il fine delle politiche educative socialiste, dall’Unità d’Italia ad oggi: “fare gli italiani” plasmandoli come vuole lo Stato, anche attraverso la diffusione dell’ideologia del gender. Ma i figli non li fa lo Stato e perciò la «libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile» (CdF, 24/11/2002): anteporre a questo diritto primario la “libertà di insegnamento” è contro natura.
Un ultimo aspetto non va trascurato, quello di chi cerca il “dialogo” con la scuola di Stato e invita ad “immischiarvisi”: tale dialogo non è mai servito né mai servirà. Lo conferma la risposta dell’USR di Bologna: «atti formali dell’amministrazione […] sono stati già messi in atto in diverse sedi istituzionali […] i dirigenti possiederebbero già gli strumenti per affrontare situazioni analoghe […] l’USR è già impegnato nel patrocinio di progetti di educazione all’affettività, alla sessualità e al rispetto delle differenze, come “W l’amore!”».
Gli italiani sono avvisati: qui non si parla solo di scuola ma del futuro del paese. E il presidio davanti all’USR di Bologna è una parte importante della strategia socialista che si svela.
David Botti – Osservatorio Gender