Con il libro Compagno mitra hanno nome e volto quei partigiani che uccisero nemici politici e innocenti padri di famiglia. Molti fatti raccontati dallo storico Gianfranco Stella sono noti. Quel che non era noto erano i nomi dei killer e delle bande di gappisti che agivano indisturbati in nome della giustizia proletaria con omicidi, razzie, sequestri ed estorsioni riuscendo a sfuggire alla giustizia o salvandosi con pochi anni di carcere. Come il partigiano Drago: un killer spietato che ammazzò 150 persone, tra cui il sacerdote don Dante Mattioli, il cui corpo non venne mai trovato. Coperto dal Pci, sconosciuto ai libri di storia, nessuno lo disturbò mai e morì nel suo letto con al collo una medaglia al valor militare.

Molti di loro vennero decorati con la medaglia d’oro, altri diventarono persino deputati del Pci o segretari dell’Anpi locale. Ad altri ancora la vita non fu facile, dovettero conoscere la dura fatica nei campi di patate nella Cecoslovacchia sovietica, ma poi dopo pochi anni tornarono a casa dove poterono così ricominciare la loro vita, come se niente fosse.
C’è anche chi fu condannato all’ergastolo subito dopo la fine della guerra, ma potè godere dell’amnistia di Togliatti già dal 1950 e così ripulirsi per gli anni a venire. La carrellata di killer spietati raccolta nel libro Compagno mitra (in uscita su Feltrinelli e Amazon il 15 novembre; per info stella.gianfranco46@libero.it) rappresenta un documento impressionante di come la Resistenza di marca comunista si sia macchiata di crimini orrendi che rimasero impuniti allora e oggi sono stati semplicemente derubricati ad azioni di guerra.
Con questo libro, il suo autore, lo storico Gianfranco Stella, ha completato l’anello mancante che serviva per una completa pacificazione nazionale: dire i nomi di chi, approfittando del caos seguito all’8 settembre, regolò i conti in vista di una imminente rivoluzione bolscevica. E’ per questo che la presentazione di sabato scorso a Reggio Emilia ha in un certo senso chiuso finalmente il cerchio. Un cerchio iniziato molti decenni fa con la pubblicazione dei nomi delle vittime della violenza partigiana. Semplici nomi, a quali dopo molti decenni si aggiunsero le dinamiche nelle quali maturarono i crimini più efferati. Tutto questo ha alimentato la cosiddetta storiografia revisionista alla quale però mancava spesso un cappello finale: il nome, appunto, degli assassini.