Author: maprampo
LA FRATELLI TUTTI DI BERGOGLIO Più che un’Enciclica, è un manifesto politico del pontificato
Nella Fratelli tutti, la terza Enciclica di Papa Francesco, la parola politica compare 66 volte oltre ad avere un capitolo dedicato. Ma tra antiliberismo, antinazionalismo e immigrazionismo, diventerà il manifesto del pontificato di Bergoglio. Resterà delusa la Sinistra europea, però: non mancano gli accenni alle ideologie di Sinistra che sono individualistiche. Il modello è l’idea di pueblo alla sudamericana.
La Fratelli Tutti, firmata sabato ai piedi della tomba del santo di Assisi, è la terza enciclica del pontificato di Papa Francesco. Dedicato alla fraternità e all’amicizia sociale, il documento si apre con un’introduzione in cui, dopo l’omaggio alla memoria del Poverello d’Assisi, viene riconosciuta l’influenza dell’incontro del 2019 con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Il tentativo di chiarimento dell’aspetto più controverso della Dichiarazione di Abu Dhabi, quello sul «pluralismo e le diversità di religione», si trova nell’ultimo degli otto capitoli in cui è articolata la Fratelli Tutti. Bergoglio scrive che “la Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni (…) tuttavia come cristiani non possiamo nascondere che è “la musica del Vangelo” a “vibrare nelle nostre viscere” . “Altri bevono ad altre fonti – continua il Papa – per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo”.
CONTRO I NAZIONALISMI
Ma il dialogo interreligioso occupa solo una parte di questa nuova Enciclica sociale che raccoglie molte delle idee-guida dell’attuale pontificato. Non sono poche le bacchettate che vi vengono rifilate agli attori principali della società contemporanea: ai “gruppi populisti chiusi”, certo, così come ai “nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi” ma non risparmia neppure chi si trincera “sotto il rivestimento del politicamente corretto o delle mode ideologiche”. La fraternità auspicata da Francesco, infatti, non ha nulla a che vedere con quella che definisce “una falsa apertura all’universale”. Il Papa se la prende coi “narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura” ma prende le distanze da “chi porta con sé un risentimento non risolto verso il proprio popolo”, ritenendo “necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio”. Tra le righe di Fratelli Tutti si sente non poco l’influenza esercitata sul pontefice regnante dal popolarismo latinoamericano da cui attinge a livello concettuale ed anche lessicale.
POPOLARE O POPULISTA?
La premura dedicata nel testo a distinguere “popolare” da “populista” denota la consapevolezza che il confine tra le due nozioni possa risultare labile, specialmente ai destinatari abituati ad un perimetro eurocentrico. Da qui la necessità di rafforzare la condanna di quella che individua come una degenerazione del “sentire di un popolo”, bollata come “insano populismo”. Francesco, inoltre, critica la tendenza a “classificare tutte le persone, i gruppi, le società e i governi” in base alla “divisione binaria” tra “populista o non populista”.
Anche nel rifiuto di questa polarizzazione, di cui una parte culturale si è servita in maniera ricorrente allo scopo di delegittimare chi la pensa diversamente, si manifesta la distanza di Bergoglio da tanti che, proprio alla luce di questa “divisione binaria”, si sono riscoperti papisti accaniti pur avendo sempre manifestato disinteresse e disprezzo per il magistero della Chiesa. Le idee ed il sentire del pontefice argentino non sono sovrapponibili con gli atteggiamenti elitisti di un progressismo molto in voga da qualche anno a questa parte. E Francesco lo rimarca nell’Enciclica quando scrive che “a volte si hanno ideologie di sinistra o dottrine sociali unite ad abitudini individualistiche e procedimenti inefficaci che arrivano solo a pochi” mentre “nel frattempo, la moltitudine degli abbandonati resta in balia dell’eventuale buona volontà di alcuni”.
L’esaltazione della categoria mitica del pueblo inteso come realtà viva riflette la sua formazione latinoamericana e novecentesca che gli rende estraneo lo snobismo di chi guarda con fastidio il mantenimento del suffragio universale. Un’alterità che si manifesta anche nel capitolo sulle “ombre di un mondo chiuso” ovvero quelle storture della società contemporanea che, a suo dire, ostacolerebbero lo “sviluppo della fraternità universale”.
Francesco inserisce in questa categoria i propugnatori di una “cultura dei muri” che mette sullo stesso piano di chi vorrebbe una società in cui “certe parti dell’umanità” sono “sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti”. Alla luce dello shock provocato dalla pandemia, di fronte a chi s’interrogava se non fosse il caso di cominciare a dare un prezzo alla vita, Francesco riafferma il ripudio della “cultura dello scarto” dove “le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se non servono ancora – come i nascituri –, o non servono più – come gli anziani”.
Fratelli Tutti, nonostante il forte monito a non cedere alla “tentazione di fare una cultura dei muri”, non è l’Enciclica della gauche caviar a cui risulterà incomprensibile l’invito a rifiutare “un modello di globalizzazione che mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità”. Bergoglio, avendo come riferimento la “cultura del popolo” e insistendo su quell’opzione preferenziale per i poveri abbandonata da chi ha sposato la causa dell’austerità a tutti i costi, le preferisce i movimenti popolari espressione tipica della realtà sudamericana, lamentando la loro esclusione da “certe visioni economicistiche chiuse e monocromatiche”.
ANTILIBERISMO ALLA SUDAMERICANA
L’occhio benevolo con cui il Papa guarda a queste realtà riflette, ancora una volta, la sua formazione culturale fortemente legata all’America Latina che, non a caso, lo porta nel testo ad esprimere riserve sui “liberalismi” in cui vede “limiti” dettati da “visioni (…) individualistiche”. Riserve che potrebbero generare stupore nei lettori occidentali, ma che non sono rare nel mondo cattolico argentino abituato ad identificare il sistema liberale con l’ingombrante ‘vicino’ statunitense.
MIGRAZIONI TRA DUE I DIRITTI
In questa Enciclica, però, non c’è soltanto l’impronta della formazione culturale del Papa, ma anche il bagaglio della sua esperienza personale. Lo si nota nei capitoli dedicati al tema delle migrazioni. Nel cercare di capire perché la questione dei migranti abbia assunto sin da subito un interesse prioritario nell’agenda dell’attuale pontificato non bisogna dimenticare che lo stesso Bergoglio, come tanti suoi connazionali, ha alle spalle una storia familiare segnata in tal senso. Da qui la particolare sensibilità per il tema acuita dall’intensificarsi dei flussi negli ultimi decenni e che, come prevedibile, trova largo spazio anche nella Fratelli Tutti. Francesco esprime comprensione per chi, davanti ai numerosi sbarchi, nutre “dubbi” e “timori” considerandolo come “un aspetto dell’istinto naturale di autodifesa” ma attacca duramente la “mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi” che, a suo dire, porterebbe a considerare i migranti “non abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro”.
Una condanna che si fa ancora più dura in casa: “E’ inaccettabile – scrive il papa che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede”. E dall’Enciclica sembra arrivare un assist allo Ius soli quando si legge che “per quanti sono arrivati già da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale, è importante applicare il concetto di cittadinanza”. Tuttavia, il pontefice regnante, menzionandola, ci tiene a ricordare la validità della famosa citazione di Benedetto XVI sulla necessità di riaffermare il “diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”.
Una frase che spesso viene riproposta da quei cristiani con “certe preferenze politiche” precedentemente rimbrottati. Francesco, che sull’integrazione ha un pensiero piuttosto inequivocabile, sottolinea però i lati oscuri dei fenomeni migratori che molti, anche trincerandosi dietro alle sue parole, si ostinano a non vedere: le “aspettative irrealistiche”, l’attività di “trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi”, lo “sradicamento culturale e religioso”, la perdita nelle comunità d’origine degli “elementi più vigorosi e intraprendenti”. L’Enciclica – che esalta l’assai poco politically correct concetto di “amore alla patria” – rimprovera anche un certo tipo di sostenitori dell’accoglienza tout court: “E’ possibile – scrive Bergoglio – accogliere chi è diverso e riconoscere il suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura”.
UN ACCENNO AI PRINCIPI NON NEGOZIABILI
La parola ‘politica’ è protagonista di questa Enciclica con ben 66 menzioni ed un intero capitolo ad essa dedicato, il quinto. La Fratelli Tutti rivendica il primato della politica contro chi vuole “sostituirla con l’economia” o “dominarla con qualche ideologia”. Citando Benedetto XVI, Francesco difende il diritto della Chiesa ad intervenire nel dibattito pubblico e ricorda che se “è vero che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza”. Un boccone amaro da ingoiare per i tanti politici ed intellettuali che, specialmente durante il precedente pontificato, lamentavano in continuazione la presunta ingerenza della Chiesa nella sfera pubblica. E dal sapore ratzingeriano è anche quel doppio riferimento “ai principi etici basilari e non negoziabili” che rappresentano una garanzia anche per gli agnostici e alla necessità di “accettare alcuni valori permanenti” e “mai negoziabili “che “vanno al di là di ogni consenso”.
D’altra parte questo documento, se in taluni passaggi come quello in cui si afferma che “il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario” si richiama alla Laudato si’, in molte parti si aggancia ad un’altra Enciclica sociale del passato, quella Caritas in veritate continuamente citata, specialmente per spiegare che la carità è “molto più che un sentimentalismo soggettivo” ed “ha bisogno della luce della verità (…) senza relativismi.
Concludendo l’Enciclica, Francesco dichiara di essersi ispirato al Poverello d’Assisi e al Beato Charles de Foucauld ma anche ad “altri fratelli che non sono cattolici”. Inserendo tra questi anche il nome di Gandhi, personaggio entrato recentemente nel mirino della cancel culture e bollato dai BLM col marchio d’infamia di ‘razzista’, il Papa dà prova ancora una volta di come, pur nella sua tendenza a ‘rompere gli schemi’, non sia affatto incline ad accodarsi a quelle che giudica “mode ideologiche”.
Nico Spuntoni in La NBQ
XXVII Domenica ciclo A: l’ amore per la vigna…
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti»
La vigna nella Bibbia è riferita al popolo di Israele curata con amore da Dio che non produce i frutti attesi. Dio ha fatto di tutto perché la sua vigna producesse dei frutti. Coltivare una vigna non è facile perché ha bisogno di molte cure. Una potatura opportuna e a tempo favorevole, non bisogna scordare anche il fattore del tempo, che deve essere benevolo. Questo tema della vigna è stato ripreso nei profeti, ma anche nel Nuovo testamento, ne parlano Matteo e Giovanni.
Se nell’ Antico testamento la vigna era il popolo di Israele ora la vigna del Signore si allarga al mondo, e la Chiesa dovrebbe essere il luogo dove i vignaiuoli buoni si preoccupano perché essa dia frutti abbondanti, da condividere per la gioia del cuore dell’uomo.
Anche oggi, però, l’uomo non si comporta come un vignaiolo che deve avere cura della vigna, ma come il padrone della vigna, dimenticando che uno solo è il Signore. Anche oggi si continuano ad uccidere e perseguitare quei cristiani profeti che ci ricordano di non essere Dio e che a Lui solo bisogna servire.
Per la sua vigna, che siamo poi anche noi il Signore ha fatto grandi opere, la più grande è quella di avere mandato il suo figlio Gesù, che, però, “preso, viene cacciato fuori della vigna e ucciso.” Gesù viene preso e crocifisso fuori da Gerusalemme, la città santa di Davide.
La domanda che dobbiamo rivolgerci, quindi, è: “che tipo di vignaioli siamo nella vigna del Signore?” Siamo come quelli della parabola che arrivano ad uccidere “l’erede”, cioè Gesù; e lo facciamo ogni volta che non ascoltiamo la sua voce, che non seguiamo la via che egli ha tracciato che è quella dell’amore gratuito, della carità. Continue reading
Dietro la cortina della notte …
Non crediate che l’ amore….
XXVI Domenica ordinario ciclo A : Fatti e non parole … (omelia con i ragazzi che celebreranno il sacramento della Cresima.)
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
È proprio questo un po’ il titolo che potremmo mettere alla pagina del vangelo che abbiamo letto. La parabola ci fa riflettere se siamo disposti veramente nei fatti e non che le semplici dichiarazioni a voce disponibili a fare quello che Dio ci chiede.
Voi ragazzi farete il sacramento della Cresima e il Signore vi dirà, io vi dò il dono dello Spirito santo perché voi andiate a lavorare nella mia vigna, che vuol dire annunciare il Signore nel mondo. Nella scuola, nel gioco, in qualsiasi cosa facciate.
Quale sarà la vostra risposta?
Quella del primo figlio: “Non ne ho voglia”? E guardate che ci sono tanti che fanno così, tanti grandi (adulti) che si sono scordati di questo mandato che il Signore dà a tutti i cristiani, ma poi vi andò o quella del secondo che dice: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Anche questi sono tanti. Cristiani di nome, ma non di fatto! Si sono scordati del Signore dal tempo della loro Cresima. Continue reading
XXV Domenica ciclo A: “I mei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” – Matteo 20,1-16
Abbiamo letto nel libro del profeta Isaia: “ I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”
Davvero Dio è un Dio di rottura che sconvolge il nostro modo di pensare, che è quello degli operai della prima ora: “I primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’ essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Il comportamento del padrone potrebbe sgomentarci anche un po’ tanto da indurre la persona a disimpegnarsi da ogni sforzo se poi alla fine sia il primo che l’ultimo ricevono lo stesso salario, la stessa ricompensa.
Il Signore non vede le cose come le vediamo noi, e per tanti aspetti dobbiamo dire per fortuna. La parabola ci dice che Dio ricompensa in base alla sua bontà, non tanto per i nostri meriti. In un tempo come il nostro in cui si parla tanto di meritocrazia questo sconvolge un po’. Continue reading
XXIV Domenica ordinario A – Rimetti a noi i nostri debiti come li rimettiamo ai nostri debitori – Vangelo di Matteo 18,21-35
C’è una misura all’ amore? La risposta la conosciamo tutti: no. Il perdono è misura dell’ amore e, siccome non vi è misura, ecco la risposta di Gesù alla domanda che gli viene porta da Pietro: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.” Noi sappiamo benissimo che il fino a settanta volte sette significa sempre. Pietro certamente conosce il pensiero di Gesù sul perdono, ma vuole proporre una misura. Una misura in cui manifesta che lui ha capito: sette volte. Qualcosa di rivoluzionario perché sette è il numero della perfezione.
La risposta di Gesù ci dice però che occorre andare oltre, la misericordia e con essa il perdono non hanno una misura, un confine tracciabile perché essendo espressione dell’amore travalicano quelli che ne sono i confini che noi possiamo imporci od imporre. Se andiamo poi a leggere bene il testo non sono poste condizioni ad esempio come il chiedere scusa.
Quello che ci chiede Gesù ci può certamente sgomentare, perché non è facile il perdonare, penso a tante situazioni che la cronaca pone ogni giorno sotti i nostri occhi, basta ripensare ai fatti di questa settimana, stupri uccisioni.
Come conciliare il perdono con la giustizia? Continue reading
XXXIII Domenica ordinario anno A / Sentinelle e correzione fraterna
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
La liturgia della Parola ci pone di fronte alla figura della sentinella, prima lettura e poi il tema della correzione fraterna. A chi si rivolge Gesù? Pensiamo anche al compito della sentinella!
Cosa possono avere in comune la figura della sentinella e della correzione fraterna? Quale relazione? Cosa dicono alla realtà che viviamo oggi come cristiani e come Chiesa?
Può essere questa la traccia che può guidare la nostra riflessione. Se il tema della correzione fraterna coinvolge tutti i cristiani, che tante volte si comportano anche loro come quelli che non lo sono, non distinguendo
l’errante dall’ errore, di fronte al quale non si può fare finta di niente, ma pretendono di giudicare più che correggere il Vangelo è chiaro. Per il credente vale la legge del perdono. Ricordiamo la domanda di Pietro: “21 Allora Pietro si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?» 22 E Gesù a lui: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt cap 18).
Gesù si sta rivolgendo ai capi della comunità cristiana, (cfr. Biffi), che, riprendendo l’immagine della sentinella, della prima lettura hanno il compito di vegliare, proteggere e custodire di fronte a ciò che scandalizza, pone in pericolo la fede e va contro la legge del Signore. Vi è il dovere di reagire, mettere in guardia, dissociarsi di fronte al male e al peccato che insidia la vita della comunità e il cuore dei credenti Continue reading