LA POLEMICA Messa di Natale, il problema è chi decide l’orario

L’orario non è un problema, l’importante è avere la Messa, ci dicono alcuni lettori. Ma quello che noi diciamo è che il problema non è l’orario in sé, ma chi lo decide, e perché. E tacere o assecondare il dispotismo dello Stato è una pessima idea. 

Vogliamo davvero metterci a fare una polemica sull’orario della Messa di Natale? Così alcuni lettori ci scrivono dopo i servizi pubblicati ieri (qui e qui) sulla questione del coprifuoco alle 22 anche per la notte di Natale, con relativo anticipo forzato delle veglie. Ci fa notare ad esempio un prete che anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano anticipato la classica messa di mezzanotte, e per motivi pastorali tanti preti già lo fanno da molti anni. L’importante è poter celebrare la messa con il popolo, continua il nostro amico: «Oltretutto, prima della Riforma liturgica ultima, il sacerdote celebrava di seguito, senza interruzione, le tre Messe di Natale, a prescindere dall’orario. Nel Messale di Paolo VI si raccomanda di distinguere le tre celebrazioni e di farle coincidere il più possibile con l’indicazione temporale, ma non c’è un’indicazione stringente di un orario».

Tutto vero, ma chi pone queste obiezioni a quanto abbiamo scritto, credo non abbia compreso il punto centrale della questione: il problema non è l’orario della messa in sé, ma chi lo decide. E perché. Da una parte, il dibattito che si è creato ci ha spinto a riprendere il perché della Messa di mezzanotte a Natale, riscoprendone le origini storiche e bibliche, cosa ormai che anche molti pastori ignorano. Quindi l’orario non è proprio indifferente.
È vero però che legittimamente molti parroci per motivi pastorali già da tempo anticipano l’orario della veglia: sia perché devono coprire più parrocchie, sia per facilitare la presenza di persone anziane e famiglie con bambini. Ma in questi casi sono appunto i sacerdoti o i vescovi a decidere esercitando il proprio legittimo potere. Con una piccola chiosa: il vice-presidente della CEI, monsignor Antonino Raspanti, in una intervista alla Stampa ha ribadito la stessa noncuranza del coprifuoco affermando che tanto già i Papi e tanti preti lo anticipavano già prima: «chi alle 22, chi alle 21.30, chi alle 21». Giusto, ma tutti costoro sarebbero già in violazione del coprifuoco; per starci dentro è richiesto un ben altro anticipo dell’ora. Quindi la novità c’è, eccome.In ogni caso è un’altra cosa, ed è inaccettabile, se a decidere l’orario della messa è lo Stato; a maggior ragione se il motivo è assurdo. Dovrebbe indignare sentire un qualsiasi membro del governo liquidare la faccenda con battute sull’ora di nascita di Gesù. Si dirà che sono sottigliezze, che alla fine l’importante è che si possa andare a Messa, qualsiasi sia l’ora.

Noi invece crediamo proprio di no: c’è in ballo la libertà religiosa, anzi meglio: la libertà della Chiesa. Libertà che non è il diritto di fare ciò che si vuole in nome della religione. Ma riconoscere anzitutto la dignità della persona umana che trascende la pura materialità e quale, dice la Dignitatis humanae, «l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione». Come ha detto il vescovo Massimo Camisasca (lo abbiamo riportato ieri) «la fede, mai come in questo tempo, è un fatto sociale. In questo tempo abbiamo bisogno di speranza e la fede per molta parte del nostro popolo alimenta la speranza, dona le energie per combattere, sostiene nei momenti difficili».

Allo Stato è chiesto di riconoscere questa realtà. E riconoscere che la Chiesa cattolica ha per questo un ruolo fondamentale che lo Stato deve garantire. Dice il Concordato, recepito dall’articolo 7 della Costituzione, che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica» (art. 2).

Come abbiamo più volte rilevato, purtroppo la Chiesa italiana ha rinunciato al suo ruolo già lo scorso febbraio, lasciando allo Stato il potere di decidere come esercitare il culto, in nome di una concezione distorta di bene comune. Questo peccato originale lo paghiamo anche oggi e lo pagheremo ancor più caro in futuro se non ci si sveglia. “L’importante è che ci lascino andare a messa” è un minimalismo comprensibile dopo mesi passati in bilico, ma evita di affrontare il nodo cruciale e apre le porte a un progressivo e sistematico restringimento della libertà della Chiesa.

Questo per quanto riguarda chi deve decidere l’orario delle messe. Ma c’è anche il perché.
Il problema sarebbero le norme per evitare il contagio del virus e quindi la Chiesa, per tutelare la salute delle persone, si dovrebbe attenere alle norme generali senza chiedere deroghe. Al proposito però si deve dire che già è assurdo il coprifuoco alle 22, quando tutti i locali sono chiusi. Dove vuoi che si assembrino le persone, oltretutto in inverno? Ma è ancora più assurdo, in nome di questa norma irrazionale, proibire che le messe vadano oltre le 22.

Se davvero il problema fosse il rischio di assembramento, paradossalmente il governo dovrebbe obbligare la messa a mezzanotte e oltre: il motivo per cui già tanti parroci la anticipano è proprio per favorire una maggiore presenza, per cui ritardare la Messa sarebbe la garanzia di avere meno persone in giro e quindi meno rischi di contagio. Se davvero il problema fosse il rischio di contagio provocato dagli assembramenti non sarebbero consentite manifestazioni come quelle di Napoli per Maradona o di Roma per l’apertura di un centro commerciale. C’è un evidente contrasto tra le clamorose violazioni delle regole che le autorità accettano senza colpo ferire, e la rigorosità esercitata nei confronti dei cattolici che vanno a messa. Un contrasto che rende tutte la vicenda Covid più vicina alla farsa che al dramma.

Nel caso che stiamo trattando evidentemente il problema non è il bene comune, ma ancora una volta è la volontà del governo di affermare il suo dispotismo nei confronti della Chiesa. Tacere o accontentarsi di un guinzaglio un po’ più lungo è una pessima idea.

Riccardo Cascioli in La NBQ

 

 

 

 

La colpa del cristiano…

“La colpa del cristiano
non è quella di non essere informato.
Ma quella di non essere preparato.
Dunque al posto della curiosità, Cristo raccomanda la vigilanza”

A. Pronzato  

Colui che dice no all’ingiustizia, colui che per vero amore…

“Colui che dice no all’ ingiustizia,
colui che per vero amore, a scapito di ogni profitto, va a servire anzitutto il più piccolo,
sa bene che l’ irragiungibile,  Eterno lo raggiunge e
che lui, minusculo frammento di libertà,
giusto abbastanza per essere capace di amare,
in questo inizio d’ amore è amato dall’ Amabile infinito”

Abbé Pierre

I Domenica di Avvento Ciclo B – Parole di Avvento: Vegliare, prendere coscienza della propria insufficienza, cambiamento … preghiera

• Vegliare è una delle parole che ci vengono proposte in questa liturgia della 1 Domenica di Avvento, tempo di speranza. Avvento che cade in un momento particolare di sofferenza, di dolore per tanti. Un vegliare che non è solamente guardare ai numeri, ai dati che quotidianamente ci vengono proposti dai media per vedere come è la situazione pandemica, a detta degli esperti. Un vegliare solamente terreno, umano terreno ma un vegliare alzando anche gli occhi al cielo, come ci ricorda il profeta Isaia nella prima lettura: Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti.
Vegliare che significa allo stesso tempo essere certamente all’ erta, ma anche attendere. Un attendere qualcuno, perché il grido del profeta Isaia non è rimasto inascoltato, Dio lo ha accolto è ha mandato il suo Figlio, che venuto storicamente oltre 2000 anni fa continua a venire quotidianamente nella nostra storia e occorre sapere cogliere i segni della sua presenza. Tornerà il Figlio alla fine del tempo e della storia e a Lui dovremo rendere conto di quel “potere e di quei compiti che il Signore ci ha affidato ordinando di vigilare” come dice il Vangelo.

Non dobbiamo dimenticare che, venendo fra noi, Dio ha superato quelle distanze che l’uomo, anche se va su Marte non riesce a superare e che in questo modo si coinvolge totalmente con la famiglia umana. Continue reading

Preghiera per la prima Domenica di Avvento

Gesù ti sto aspettando, voglio dirti di non tardare.
Ti sto aspettando tu mi vieni a cercare.
Ti aspettano i bambini che hanno fame,
porta loro il pane.

Ti aspettano le persone che soffrono,
portagli la cura, stringigli la mano.
Gesù ti sto aspettando, voglio dirti di non tardare.

Ti sto spettando, tu mi viene a cercare.
Ti aspettano i bambini che hanno già tutto,
porta loro un desiderio in fondo al cuore:
aiutali ad accoglierti con amore.

Ti aspettano e vegliano le famiglie unite e quelle divise,
semina in tutte la concordia, la pace la serenità.
aiutami a vegliare.
AMEN

( da mess.  LDC 2011)

 

COME FIDARSI DI UN GOVERNO CHE DA’ LA CACCIA AI SANI INVECE DI CURARE I MALATI? Curare subito a casa coloro che hanno i primi sintomi eviterebbe ricoveri, collasso di ospedali e morti (perché abbiamo medicine efficaci, ma non

“Non si capisce dove stiamo andando”, ha dichiarato ieri Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, dopo l’ennesimo Dpcm di Conte. È l’impressione generale. E i costi di questa deriva sono altissimi. Le sole cose certe, concrete e utili che si dovrebbero fare, non si fanno. Sono in particolare due.
Primo: curare subito a casa (invece di abbandonarli alla sorte) coloro che hanno primi sintomi non gravi di Covid con i farmaci efficaci (che ci sono) sulla base di un protocollo nazionale: queste cure precoci – dicono gli specialisti – scongiurerebbero aggravamenti, ricoveri, collasso di ospedali e pure morti.
Secondo: predisporre un numero di letti adeguato nelle terapie intensive e nuove strutture con nuovo personale (cosa che non è stata fatta in cinque mesi: se ne parla ora).
Sul primo punto, in queste ore, è stato il governatore veneto Zaia a intervenire decisamente: “chiedo che a livello nazionale si stabiliscano protocolli di cura efficienti per la terapia domiciliare nei primi giorni perché sono quelli che ci evitano i ricoveri. E non parlo solo di cortisone” ha aggiunto “ma di altri principi attivi che hanno funzionato e che sono stati messi in discussione”. Continue reading

Fratelli, ma non tutti

 

L’idea di una fratellanza universale, veicolata dalla modernità e confluita anche nell’ultima enciclica di papa Francesco, più che un sogno è una menzogna, che non ha alcun reale fondamento né nell’ordine naturale né in quello soprannaturale. Nell’ordine naturale non vi è chi non veda che, dopo la caduta originale, l’inclinazione dell’uomo è più verso il male che verso il bene, se si considera che il primo discendente dei nostri progenitori fu molto emblematicamente un fratricida. L’ordine soprannaturale ha instaurato – con la redenzione – il regno della grazia e della carità, ma non in modo univoco e forzato, dunque non universale, ma a seconda dell’accoglienza che ciascuna anima fa a quella grazia, che pure è offerta a tutti. Se il Sangue del Redentore è stato versato per tutti, non gioverà a tutti, poiché non tutti vorranno liberamente giovarsene.
Ma al di là delle speculazioni sulla teologia della grazia, basta sfogliare il Vangelo per comprendere come l’idea di una fratellanza universale sia sconosciuta al testo sacro. In nessuna pagina, in nessuna parabola, in nessun versetto troviamo espressa l’idea di una fraternità universale, che è piuttosto contraria all’insegnamento evangelico. La fraternità universale non è di questa terra e non è un valore cristiano. L’«amatevi gli uni gli altri» di Gv 13,34 non è un generico invito al volersi bene, come la modernità lo intende, ma alla carità soprannaturale, che ha il suo fondamento nella grazia e nella verità.

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Così gli angeli proteggono i corpi di defunti in fama di santità

Bagliori, luci strane, particolari prodigi si sono manifestati vicino ai cadaveri, per evitarne la profanazione. Numerosi testimoni hanno assistito a questi episodi
Una missione degli angeli presso i corpi dei defunti consiste nel sottrarre il corpo d’un santo personaggio – sovente un martire – alla profanazione.

1) I corpi dei defunti abbandonati sul Danubio
E’ quello che accadde per il francescano Ladislao Tomaso Da Foligno ed i suoi compagni, martirizzati nel 1369 a Widdim, in Bulgaria. Al di sopra dei loro corpi lasciati vicino al Danubio, un chiarore accompagnato da intermittenze di canti celesti sussistette fino a che si furono inumati i loro resti.

2) Le luci che seguirono il martirio dei francescani
Dopo il martirio del francescano Friedrich Bachstein e dei suoi tredici compagni, messi a morte a Praga dagli ussiti nel 1611, gli spiriti celesti fecero sentire i loro canti al di sopra dei loro cadaveri. Gli angeli agirono nella cappella dove erano inumati i corpi dei defunti. Mentre il coro cantava, si videro tra l’oscurità della luci misteriose. E una fiamma abbagliante si mostrò nel campanile.

3) I bagliori nelle stanze della morte
Gli eventi che seguirono la morte del sacerdote Marc Kruzeckavin e di due gesuiti, uccisi dagli ussiti cechi il 7 settembre 1619, si ripeterono durante una quindicina d’anni, fino a che la contessa Forgach ebbe ottenuto per essi una sepoltura decente nella chiesa di Hennek. Più d’una volta, si vide una viva luce risplendere nelle stanze dove essi erano stati uccisi. Talvolta, dei canti melodiosi accompagnavano quel chiarore celeste, che si attribuì agli angeli. Continue reading

Spunti di meditazione – 34 Domenica ciclo A: Gesù Cristo re dell’ universo… – rivestitevi della carità…

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

Nel rito del Battesimo l’unzione con il sacro Crisma è accompagnata da queste parole: “Dio onnipotente, Padre del nostro Signore Gesù Cristo,
vi ha liberato dal peccato
e vi ha fatto rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo,
unendovi al suo popolo;
egli stesso vi consacra con il crisma di salvezza,
perché inseriti in Cristo,
sacerdote, re e profeta,
siate sempre membra del suo corpo
per la vita eterna.”

Cristo sacerdote, re e profeta … ma che tipo di re è questo Cristo al quale noi pure dobbiamo assomigliare? E ’un re che torna per condurre i suoi al regno nella sua pienezza. E’ un re pastore che si identifica con i più piccoli, i più deboli, i più poveri è un re che è amore e su come abbiamo amato ci chiederà conto. Continue reading

XXXIII Domenica tempo ordinario A – talenti: doni di Dio

 

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Anche oggi il Signore si rivolge a noi attraverso una parabola. Una persona facoltosa dovendo assentarsi per un certo periodo di tempo non vuole che il patrimonio resti infruttifero. Lo affida ai sui servi perché lo facciano fruttificare. La distribuzione avviene in parti ineguali, il padrone conosce bene i suoi servi e non vuole correre rischi. I doni sono divisi in base alle capacità dei servi.

Applichiamo a noi la parabola:

Dio distribuisce i suoi doni come vuole, ma ci conosce profondamente. Sa che ognuno di noi è un caso a parte, ciascuno di noi ha povertà e ricchezze pregi e difetti, ogni paragone è inutile e ogni giudizio è improprio.

Altro aspetto: tutto è dono! Tutto quello che siamo e tutto quanto ci è stato dato: la nostra intelligenza, il carattere, le nostre capacità, e si potrebbe fare un lungo elenco, insomma la nostra personalità è dono di Dio.

Non ha, però, importanza l’entità e il numero di regali che ho avuto da Dio, ma l’impegno che abbiamo messo per farli fruttificare a gloria di Dio e per il bene del prossimo.

L’ impegno diventa, quindi discriminante. Spesso, anche da parte di tanti cristiani si sente dire “non ho fatto niente di male”. In questa frase vi è una insidia estremamente pericolosa. Ci si crede a posto con la propria coscienza davanti a Dio e ci si dimentica di un peccato che è molto grave: il peccato di omissione, che non ci rimorde, poi, più di tanto. Il Signore, però, non ci chiederà solo se abbiamo evitato il male, quando ci presenteremo davanti a Lui, ma quanto abbiamo fatto di bene. Quel bene che opera attraverso la carità, cioè quell’amore disinteressato e gratuito con cui ci ha amato Gesù che ha dato la sua vita per noi.

Molti vivono come se non dovessero rendere conto a nessuno di quello che fanno. La parabola ci ricorda che non sarà così. Alla fine il padrone torna e i servi sono chiamati a rendere conto dei talenti che sono stati a loro affidati.
Mi vengono in mente le parole tuonanti di Giovanni Paolo II ai mafiosi “”Mafiosi convertitevi. Un giorno verrà il giudizio di Dio e dovrete rendere conto delle vostre malefatte”.
Tutti noi alla fine dovremo affrontare il giudizio e sarà sulla fede e sull’amore non tanto su quanto abbiamo accumulato in beni materiali.
Fede e amore non si possono custodire in cassaforte o sottoterra, sta a noi manifestarli nella vita con generosità, liberi da ogni paura e da ogni calcolo, ma anche da ogni pigrizia.

Scrive il cardinal Biffi: “Se lasciamo impallidire dentro di noi il pensiero di questo giudizio o lo lasciamo sottointeso e inoperante nella nostra coscienza, non siamo veri discepoli del Signore”

Chiediamo al Signore che ci conceda di vivere vigilanti in una carità attiva, una fede operosa e un amore a Dio e al prossimo come Lui ci ha insegnato per poi poterci sentir dire quando ci sarà la sua venuta alla fine della nostra vita terrena e definitiva alla fine dei tempi: “prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Deo gratias,qydiacdon