V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».(Gv. 15,1-8)

Parola del Signore

______________________________________________________

 

Ritiro di Prima Comunione- Uniti a Gesù per dare frutto – Parrocchia San Rocco sopra Principe

 

“Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore.”
Potremmo tradurlo così in un linguaggio che vada bene per credenti e non credenti. Oggi si parla spesso di amore ma ci siamo mai fermati a riflettere su questa parola per la quale sono stati sparsi fiumi di inchiostro? La nostra cultura odierna tenta di relegarlo alla sfera dell’emotività, del sesso, dell’emozione a pelle.

Fra le tante cose che si possono dire, amare significa donarsi a chi ti viene incontro sulla strada della vita nelle sue situazioni, nelle sue gioie, nei suoi dolori credendo che esiste un progetto di bene per la tua vita e per quella degli altri. Amare senza distinzioni e senza etichette. Difficile, questo per tanti, anche per tanti credenti.

Facile parlare d’ amore, non altrettanto vivere l’amore, renderlo presente qui ed ora nel tuo tempo e nella tua storia con fatti concreti facendolo trasparire nei piccoli gesti quotidiani, magari anche ripetitivi. Mi vengono in mente, ad esempio i gesti che compie una mamma quando prepara il proprio figlio/a piccolo per andare a scuola la mattina e poi l’accompagna. Routine, potrebbe dire qualcuno, ma una routine che è dettata da un legame profondo che ha la sua radice nel mistero stesso della vita, che è un atto d’amore. Come si fa a parlare d’ amore? Esclude la ragione e la consapevolezza? Oggi vi è un detto: “Va’ dove ti porta il cuore” , ma questo non esclude responsabilità

Vivere e praticare l’amore, quando lo si fa veramente, porta a misurarci anche con le nostre inadeguatezze, con le nostre inadempienze, con le nostre fragilità, per noi cristiani con il peccato che insidia continuamente il nostro cuore.

Questo non ci deve fare disperare, la disperazione è infatti colei che chiude il nostro cuore all’ esperienza dell’amore. Vi è Qualcuno, Dio, che è più grande del nostro cuore e che conosce ogni cosa, dice sempre l’apostolo Giovanni. Proviamo a pensare all’ amore coniugale e a vederne le conseguenze.

Quando insegnavo e parlavo di questi argomenti ai miei alunni dicevo: l’ amore è come un diamante che ha molte facce. Una l’ abbiamo presa in considerazione ed è quella dell’ amore dei genitori, in particolare quello materno. Vediamo ora l’ amore di coppia, l’ amore coniugale. Quali sono le sue caratteristi, che si possono ritrovare in ogni modo in cui l’amore si manifesta. Riconoscere l’altro, rispettandolo, pazienza oblartività, dono si sè, gratuito, perdono, anche dopo tanti anni di vita assieme.

Misurandosi  con l’Amore che “rassicura”, che “non misura”, che è “più grande dei nostri difetti”. E così, colui/colei che ama scopre di essere nato/a “dalla verità”, cioè dall’Amore che lo precede, dalla rassicurazione che esistiamo perché siamo stati amati. E così sparisce ogni ombra di narcisismo, ogni auto protezione: protetti dall’Amore che ci consente, ogni volta, di ri-cominciare.” Continue reading

Pensiero della sera – Arriveremo …

Arriveremo con quanto di più prezioso abbiamo, le molte ferite della nostra storia. Le ferite ci hanno scavato. Ci hanno costretto a prendere distanza dalla ricchezza esteriore. La realtà più preziosa che abbiamo è un cuore capace di amare. Le ferite ci hanno messo in contatto con il nostro cuore.

I pezzi scartati

 

Leonardo faceva le prove di una parte della recita della scuola. Ci teneva moltissimo a parteciparvi, ma la mamma temeva che non sarebbe stato scelto.
Il giorno in cui si annunciavano le parti, andò a prenderlo dopo la scuola. Leonardo le corse incontro con gli occhi che gli brillavano per l’ orgoglio e l’emozione. “Indovina, mamma” urlò, e poi disse quelle parole che rimangono per tutti una lezione: “Sono stato scelto per applaudire” .  (Le lacrime rigarono il volto della mamma)

Nella creazione di Dio non ci sono scartati.

Da è:” E’ di notte che si vedono le stelle” di B. Ferrero

 

 

 

La promessa – una storia d’amore

 

Un professore sognava di diventare rettore dell’ Università in cui insegnava da molti anni. Per questo studiava giorno e notte, si preparava, teneva conferenze e pubblicava libri.
Un giorno, finalmente, realizzò il suo sogno. Gli arrivò la nomina a rettore. Prese possesso del suo ufficio e incominciò con decisione il suo compito. giornali e studenti avevano accolto con favore la sua nomina. Ma dopo pochi mesi, fra lo stupore di tutti, diede le dimissioni. Il motivo era semplice: si era dimesso dalla carica di rettore per potersi dedicare a tempo pieno a sua moglie. Sua moglie aveva cominciato a mostrare sintomi del morbo di Alzheimer. La malattia avanzava velocemente e nel giro di pochi mesi le conseguenze furono drammatiche: non solo sua moglie non ricordava più nulla di tutti quegli anni che avevano trascorso insieme, ma non era neppure in grado di riconoscerlo. Non si rendeva  più conto che era suo marito.
Praticamente tutti gli dissero che questa sua decisione non aveva senso. Chiunque avrebbe potuto prendersi cura della sua povera moglie, che tra l’altro non lo riconosceva nemmeno quando entrava in camera sua per aiutarla, mentre non tutti potevano ricoprire la carica di rettore per cui tanto aveva sacrificato e lottato.
Lui rispondeva semplicemente: “E’ vero, mia moglie non sa più chi sono io. Ma io so chi è lei, e in lei riconosco sempre la donna meravigliosa che ho sposato tanti anni fa. C’è soltanto una cosa più importante di una chiamata, ed è una promessa. Ed io promesso di rimanere al suo fianco “finche morte non ci separi”.

da  “è di notte che si vedono le stelle”
Bruno Ferrero

PROFANAZIONE A PADOVA Vaccino in chiesa: falsa carità, vera idolatria

A Padova il vescovo acconsente senza batter ciglio alla richiesta di un medico di vaccinare in chiesa, contravvenendo alle stesse disposizioni della Cei. Non c’erano altri luoghi? «Sì, ma io frequento quella parrocchia», dice il medico alla Bussola. Una falsa carità che svela come ormai il vaccino sia un idolo di fronte a cui inginocchiarsi.

Quando il vaccino chiama tutti si mettono sull’attenti. Un esempio di come la campagna vaccinale rappresenti ormai una priorità su tutto e tutti ci arriva da Padova dove il parroco della chiesa di San Paolo ha messo a disposizione la chiesa per effettuare gli inoculi. “Vaccino in chiesa”, titolano entusiasti i giornali locali. Non è la prima volta che accade, ma è la continuazione di quella che ormai sta diventando un’abitudine che calpesta il sacro ed eleva il siero a nuovo idolo di fronte al quale tutto si deve fermare e tutto si deve regolare senza neppure interrogarsi.

Siamo nel quartiere Sant’Osvaldo di Padova. È qui che il parroco don Paolo Rizzato ha ricevuto la richiesta di un medico di medicina generale di poter utilizzare la chiesa per effettuare le vaccinazioni dei suoi pazienti. Il sacerdote, ben contento della richiesta e per nulla dubbioso circa l’inopportunità della cosa, oltre che la sua legittimità secondo le norme canoniche, ha sottoposto il quesito al vescovo patavino Claudio Cipolla e in men che non si dica, la dottoressa ha ottenuto il placet di poter vaccinare i suoi pazienti dentro il tempio. Appuntamento per questa mattina, tra le due messe del giorno.

Problemi? Neanche uno, stando a quanto riferisce Daniela Toderini alla Bussola. Tutto avviene sull’onda della vaccinocrazia che come un rullo compressore schiaccia tutto, figuriamoci le perplessità. Continue reading

MALIKA: L’OMOFOBIA NON C’ENTRA, IL VERO PROBLEMA E’ L’ISLAM Giornali e televisione usano questo caso per promuovere il ddl Zan, ma così si discriminano le altre donne islamiche vittime in Italia di violenze in famiglia

Da diversi giorni si parla molto di Malika Chalhy, la 22enne di Castelfiorentino (comune nelle vicinanze di Firenze) cacciata di casa dopo aver rivelato di avere una relazione omosessuale. Un caso che capita a proposito per spingere la causa del ddl Zan sull’omofobia, che dovrebbe essere discusso in Senato dopo essere già stato approvato alla Camera. Il caso, all’apparenza, è perfetto: una giovane che confessa un amore lesbico, discriminata e ripudiata dalla propria famiglia, minacciata di violenza, cacciata in strada. Ecco dimostrato che ci vuole la legge Zan. Uno schema classico: il caso pietoso che assurge a emergenza nazionale, la legge già pronta per mettere fine all’ingiustizia.
Senonché per far funzionare lo schema bisogna nascondere una parte della realtà. Non solo riguardo al ddl Zan che, come abbiamo detto molte volte, non c’entra affatto con la tutela delle persone omosessuali da atti di violenza e ingiusta discriminazione: per questo c’è già la legge italiana attualmente in vigore che, punendo i vari atti di violenza contro ogni persona, prevede l’aggravante per motivi futili e abietti, usata anche nel caso di motivi legati alle preferenze sessuali. Il ddl Zan invece ha lo scopo di punire chiunque non approvi l’ideologia Lgbtq… (e chi più ne ha, più ne metta).
No, la parte di realtà nascosta riguarda proprio il cuore del caso Malika, un fatto che da solo smonta tutto il castello che intorno alla vicenda è stato costruito per promuovere il ddl Zan. Lasciamo stare anche il fatto che il fratello di Malika racconti tutt’altra versione dei fatti, e diamo pure per buona la versione della ragazza. Continue reading

Quando la Chiesa sceglie Giuda

Dietro la scrivania dello studio personale di papa Francesco sono posti una fotografia, che ritrae un capitello della basilica romanica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, in Borgogna, dove, secondo una certa interpretazione, il Buon Pastore porterebbe sulle spalle il suicidato Giuda, e un dipinto donatogli da un francese, il quale, dopo aver letto il libro di Bergoglio, Quando pregate dite Padre Nostro (2018), ha deciso di raffigurare Gesù nudo che abbraccia e accarezza il viso di Giuda morto, disteso atterra e ricoperto da un panno rosso, colore richiamante il sangue di Cristo. Questo dipinto è stato pubblicato in prima pagina il 1° aprile scorso, Giovedì Santo, dall’Osservatore Romano, con il titolo Giuda e lo scandalo della misericordia. La Tradizione della Chiesa ha sempre spiegato che Giuda, con il suo disperato atto finale, non si è salvato, perché non ha creduto nella possibilità del perdono divino e della relativa salvezza attraverso lo scandalo della Croce.

San Paolo non parla di scandalo della misericordia, ma della Croce, solo attraverso la quale ci si può convertire, si può cambiare vita, rinascere nello Spirito e, dunque, arrivare alla misericordia di Dio: «La parola della Croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio… è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,18-23). Dal Concilio Vaticano II in poi il peccato è diventato non strumento di Satana, ma una chance.

Quando la Chiesa di Roma sceglie Giuda per dire che Cristo non si è preso i nostri peccati sulla Croce, ma è si è «fatto peccato» per salvare tutti, indistintamente, significa che si è davvero luteranizzata. Le pagine dei Padri della Chiesa sono ricche di rimandi alla sorte definitiva di Giuda, già annunciata nel Vangelo. È Cristo stesso che giudica: «Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto» (Mt 26, 24-25). Continue reading

IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO B) – Pastore e pastori

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

___________________________________________________________________________

 

Il Sacerdote e la sua missione - IV Domenica di Pasqua (B) | Giobbeling

 

Oggi il Vangelo di Giovanni ci presenta la figura del pastore, ma non è un pastore qualsiasi è il “buon pastore”. Questo significa che vi possono essere anche pastori che non sono buoni. I Mercenari che nomina il Vangelo. Oggi è anche la giornata delle vocazioni, vorrei soffermarmi, allora, su quali devono essere i sentimenti che all’ interno della comunità ecclesiale dovrebbero animare coloro che sono chiamati ad essere pastori. Non solo però. Anche su coloro che in un certo modo sono chiamati a guidare la comunità civile, perciò in un qualche modo ad essere guida e punto di riferimento, come fa il pastore per il suo gregge.

Io penso che innanzitutto dovrebbero essere delle persone estremamente libere nell’uno e nell’altro caso, capaci di pensare con la loro testa e amare con il loro cuore e non temere la verità. In più per i futuri pastori della Chiesa, persone che cercano di vivere con coerenza i valori evangelici. Servizio, disponibilità, dono di sé e del loro tempo agli altri, anche se so che se cominci dopo non resta il tempo per te, se non lo rubi al riposo, al sonno.

Sapersi compromettere con quelli che chiamiamo gli ultimi, ma non dimenticando anche quelli che ultimi non sono per posizione sociale, non è la ricchezza che arricchisce il cuore dell’uomo.

Ma non è così semplice, sia nella vita ecclesiale, sia anche nell’ambito della comunità laica. “Purtroppo si trovano persone preoccupate di coprirsi le spalle, di incrementare e frequentare amicizie che contano, quelle che: sai non si sa mai. Persone preoccupate di non immischiarsi troppo, che non prendono una chiara posizione perché se no come fare a fare carriera”.
Dobbiamo fare i conti con le nostre debolezze umane, le nostre fragilità e con il nostro peccato, con quell’ insondabile mistero della libertà che Dio lascia all’ uomo. Continue reading

3 Domenica di Pasqua : Riconoscere

 

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Al centro della riflessione che vorrei fare metterei la parola riconoscere.

 

Meditazione di mons. Pizzaballa: III Domenica di Pasqua, anno B

Cosa significa questa Parola?
Individuare qualcosa o qualcuno precedentemente conosciuti, identificare Distinguere con sicurezza, discernere queste sono le definizioni che ci possono essere date consultando un dizionario.

Nella nostra vita ci sono cose, persone, che riconosciamo, altre che riconosciamo solo in parte, altre ancora che non riconosciamo affatto.
Sappiamo riconoscere le persone che ci sono care, quelle che fanno parte dei nostri affetti, ma anche quelle dalle quali abbiamo subito qualche torto o qualche ingiustizia. Questo nonostante le maschere che siamo obbligati a portare. Sappiamo parzialmente riconoscere molto spesso i pregi e le doti degli altri, mentre i loro difetti li identifichiamo subito.

Qualcosa che facciamo fatica a riconoscere e ad ammettere sono i nostri limiti e i nostri difetti per questo facciamo così fatica a migliorarci.

Il vangelo ci narra una delle apparizioni del Signore risorto ai suoi. Ancora una volta il saluto è: “Pace a voi”, “Shalom”. Amo questo saluto perché oggi molti cuori hanno bisogno di riappacificazione, non solo con gli altri, ma anche con sé stessi. Quante frustrazioni, delusioni, insoddisfazioni vi sono in tanti cuori, in tante persone che pur sorridendo hanno dentro tante amarezze.

State in pace, siate in pace e non è solo un auspicio, un augurio che il Signore fa, ma per chi crede è una realtà che viene donata, se accolta.

Eppure cosa accade?
I discepoli sono turbati, hanno dei dubbi. Credono di vedere un fantasma.
Ma cosa significa questo farsi vedere. Ci vediamo perché desideriamo incontrarci, e se ci pensiamo bene accade così anche nella nostra vita. La pedagogia del Signore non esclude la vita, non è al di fuori, ma è al di dentro. Ci vediamo perché vogliamo avere una relazione personale, non mediata.
Oggi purtroppo con la nostra situazione questo diventa complicato, ma niente può sostituirla, provate a pensare a due innamorati che si tengono la mano e si guardano negli occhi senza dirsi nulla, e non ne hanno bisogno perché si stanno già dicendo tutto. Comprendiamo così come il vedere, e anche il farsi vedere dal Signore ai suoi significhi attenzione, riflessione, interiorizzazione. Ma per credere bisogna andare oltre l’apparizione.
Molti, anche cristiani, attendono momenti esaltanti, fuori dal comune, riducendo il quotidiano a una banalità, ma è proprio lì che avviene
l’esperienza della fede, quando si cerca di viverla umilmente e intensamente. Vedete vi sono molte persone che pensano di essere state derubate dalla vita di determinate cose, ciò fa sì che vi sia in esse una profonda amarezza che gli impedisce di essere felici e, magari senza rendersene conto, portano un certo astio nei confronti della vita. Questo può accadere perché non è stato possibile fare, concretizzare ciò che si sperava o si sognava. Può essere anche il risultato di una scelta della vita che ci ha disilluso e ci lascia frantumati sotto tutti i punti di vista.

Ecco che quel “Pace a voi” risuona come ciò che attendevamo e speravamo.

Un commentatore scrive: “I cristiani devono(…) ritrovare ogni giorno il senso della scoperta,(…) Invitiamoci alla piena felicità, magari scrivendo su un foglio cos’è che ci sembra sia mancato alla nostra piena felicità di vita o ciò in cui ci sentiamo ingannati da essa. Scriviamolo e poi …diamoci da fare per recuperare quell’ esperienza.”

Riconoscere il Signore significa poi quello che ci dice S. Giovanni ( II Lettura)
“Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.”

I comandamenti del Signore si riassumono nel vivere l’Amore/Carità/Servizio

Riconosciamo quindi il Signore e viviamo il grande comandamento
dell’ amore.

Deo gratias, qydiacdon

 

Cos’è la felicità?

Felicità, parola affascinante e misteriosa, che accompagna, assieme alla sua ricerca la storia dell’uomo.

Penso che la sua definizione sia molto soggettiva, ma non può essere banalizzata perché è cio a cui più aspira il cuore umano.

 Aristotele e la felicità metafisica

Per Aristotele, il più importante tra i filosofi metafisici, la felicità è la massima aspirazione di tutti gli esseri umani. Il modo per raggiungerla, secondo il suo punto di vista, è la virtù. Vale a dire che se si coltivano le virtù più elevate, si raggiungerà la felicità.

Più che uno stato concreto, Aristotele ritiene che si tratti di uno stile di vita. La caratteristica di questo stile di vita è quella di allenare e potenziare le migliori qualità che ogni essere umano possiede.

 

Epicuro e la felicità edonista

Epicuro era un filosofo greco in grande contraddizione con i metafisici. Il filosofo greco, infatti, non credeva che la felicità provenisse solamente dal mondo spirituale, ma che avesse a che vedere anche la dimensione terrena.

Di fatto, fondò la “Scuola della felicità” e giunse a conclusioni molto interessanti.

Postulò il principio secondo cui l’equilibrio e la temperanza danno luogo alla felicità. Questo concetto è racchiuso in una delle sue famose citazioni: “Niente è sufficiente per chi il sufficiente è poco”

Pensava che l’amore avesse poco a che vedere con la felicità, invece l’amicizia sì. Inoltre, era convinto del fatto che non si deve lavorare per ottenere beni, ma che bisogna farlo per amore di ciò che si fa.

 

Nietzsche e la critica della felicità

Nietzsche oppone il concetto di “benessere” a quello di felicità. Benessere vuol dire “stare bene”, grazie a circostanze favorevoli o alla buona fortuna. Tuttavia, si tratta di una condizione effimera che in qualsiasi momento può terminare. Il benessere è come uno “stato ideale di pigrizia”, cioè senza preoccupazioni, senza sussulti.

La felicità, invece, è forza vitale, uno spirito che lotta contro qualunque ostacolo che limiti la libertà e l’affermazione di sé.

Essere felici, allora, significa essere capaci di provare forza vitale attraverso il superamento delle avversità e la creazione di modelli di vita originali.

 

José Ortega y Gasset e la felicità come confluenza

Secondo Ortega y Gasset, si raggiunge la felicità quando la “vita proiettata” e la “vita effettiva” coincidono, cioè quando c’è una corrispondenza tra ciò che desideriamo essere e ciò che siamo in realtà.

Questo filosofo afferma:

“Se ci chiediamo in cosa consista lo stato ideale spirituale denominato felicità, troveremo facilmente una prima risposta: la felicità è trovare qualcosa che ci soddisfi pienamente.

Questa risposta, però, non fa altro che spingerci a chiederci che cosa sia questo stato soggettivo di piena soddisfazione. Ci chiederemo anche quali condizioni obiettive debba avere qualcosa per riuscire a soddisfarci“.

Così, tutti gli esseri umani hanno la potenzialità e il desiderio di essere felici. Questo significa che ciascuno di noi definisce quali realtà possono portarlo alla felicità. Se riusciamo a costruire queste realtà, allora saremo felici.

 

Slavoj Zizek e la felicità come paradosso

Questo filosofo ritiene che la felicità sia una questione di opinione e non di verità. La considera il prodotto di valori capitalistici, che in modo implicito promettono la soddisfazione eterna attraverso il consumo.

Tuttavia, negli esseri umani regna l’insoddisfazione, perché in realtà non sanno cosa desiderano.

Chiunque creda che avere o ottenere qualcosa (comprare una cosa, cambiare status, etc.) possa portare alla felicità, in realtà, inconsapevolmente, vuole raggiungere qualcos’altro e per questo si ritrova sempre insoddisfatto.

Secondo Slavoj Zizek, “il problema è che non sappiamo ciò che vogliamo davvero. Quello che ci rende felice è non avere quello che vogliamo, ma sognarlo”.

 

In psicologia

l’uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità . Quest’ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta. ( questo è solo un accenno)

Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l’età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura. Al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e il proprio futuro.

 

Un’ altra definizione

 

La felicità è l’integrale dello stato emotivo rispetto al tempo.

 

Per chi non ha presente il concetto matematico di integrale, si può dire in maniera più semplice che la felicità è la somma di tutti gli attimi della nostra vita valutati rispetto alle emozioni che noi proviamo; quanto più tale somma è positiva quanto più la nostra vita è felice.

Alcuni detti

 

 

“A rendere felici non è l’amare, ma l’essereamati.”

MICHELE SCIRPOLI

 

“Bimbo mi chiedi cos’è l’amore? Cresci e lo saprai. Bimbo mi chiedi cos’è la felicità? Rimani bimbo e lo vedrai…”

JIM MORRISON

 

“Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.”

KHALIL GIBRAN

 

“Pensa a tutta la bellezza ancora rimasta attorno a te e sii felice.”

ANNA FRANK

 

“Quando avevo cinque anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi: felice. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita.”

 

“La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice.”

ALDA MERINI

 

“Guardandoti dentro puoi scoprire la gioia, ma è soltanto aiutando il prossimo che conoscerai la vera felicità.”

SERGIO BAMBARÉN

 

Queste sono alcune, volutamente non ho messo definizione pronunciate da esponenti religiosi, e si potrebbe continuare.